13 luglio 2012

COME SCEGLIERE LA FRUTTA GIUSTA DI STAGIONE


frutta e verdura km 150x150 Come scegliere la frutta giusta di stagioneImparare a fare la spesa di verdure e frutta di stagione oltre a essere un beneficio per la nostra salute lo è anche per il nostro portafoglio. I Km zero ci permettono di risparmiare, far funzionare l’economia locale e avere anche più gusto nei prodotti che andiamo a consumare. Inoltre teniamo presente che prodotti importati da oltremare – leggi Asia, Africa del Sud, Nuova Zelanda, … – hanno un bilancio ecologico capace di rendere amaro anche la torta più dolce; il consumo di carburante e le relative emissioni sono enormi.
Il trasporto di 1 kg di asparagi dal Sudafrica, ad esempio, consuma 4 litri di cherosene, mentre l’import di 3 kiwi dalla Nuova Zelanda produce 2 kg di CO2.
Pertanto quando fate la spesa non pensate che “l’erba del vicino è sempre più verde” … scegliete i prodotti in base alla loro provenienza regionale e secondo i periodi di raccolta elencati di seguito.

Verdura: gennaio – giugno

GenFebMarAprMagGiu
Asparagixxx
Broccoli
Carote
Cavolfiore
Cavolo neroxx
Cetrioli
Cipolle
Fagiolix
Finocchio
Mais
Melanzane
Patate
Peperonix
Pisellixx
Pomodori
Porrixx
Rape rossexx
Sedanox
Sedano rapa
Spinacixxx
Verzexx
Zucca
Zucchini

Verdura: luglio – dicembre

LugAgoSetOttNovDic
Asparagi
Broccolixxxxx
Carotexxxx
Cavolfiorexxxxx
Cavolo neroxxx
Cetriolixxxx
Cipollexxxxxx
Fagiolixx
Finocchioxx
Maisxxx
Melanzanexxx
Patatexxx
Peperonixxxx
Pisellixx
Pomodorixxxx
Porrixxxxxx
Rape rossexxxxx
Sedanoxxxx
Sedano rapaxxxx
Spinacixxx
Verzexxxxxx
Zuccaxxx
Zucchinixxxxx

Frutta: gennaio – giugno

GenFebMarAprMagGiu
Albicocchex
Arancexxxxxx
Ciliegexx
Fragolexx
Lamponix
Limonixxxxxx
Mele
Mirtillix
Mirtilli rossi
More
Pere
Peschex
Prugne
Ribesx
Uva

Frutta: luglio – dicembre

LugAgoSetOttNovDic
Albicocchexx
Arancexx
Ciliege
Fragolexxx
Lamponixxx
Limonixxx
Melexxxx
Mirtillix
Mirtilli rossixx
Morexxxx
Perexxx
Peschexx
Prugnexxx
Ribesxx
Uvaxx
Speriamo che tutto questo possa tornarvi utile e tornare utile anche all’ambiente riducendo le emissioni…..
Agnese Tondelli

11 luglio 2012

LG della British Dietetic Association per la sindrome dell'intestino irritabile: ancora poche e deboli le evidenze


La sindrome dell'intestino irritabile (Irritable Bowel Syndrome, IBS) è una condizione patologica che, secondo i dati della World Gastroenterology Organisation (2009), interessa il 9-23% della popolazione mondiale. La IBS interferisce in maniera rilevante sulla qualità della vita, essendo spesso associata ad una personalità ansiosa indirizzata prevalentemente verso i disturbi intestinali. La dieta è importante per la terapia, ma data anche la variabilità dei sintomi (prevalenza di diarrea, IBS-D, prevalenza di stipsi, IBS-C, alternanza di diarrea e stipsi, IBS-M), che si associano al dolore addominale, è difficile trovare in letteratura indicazioni univoche e precise sul comportamento alimentare più opportuno, nonostante qualche tentativo di inserire anche consigli dietetici in linee guida terapeutiche più ampie (Linee guida NICE, 2008). È perciò motivo di interesse la lettura delle nuove linee guida dietetiche elaborate dalla British Dietetic Association (BDA), che sono fo ndate sulle evidenze deducibili dall'analisi di 30 studi pubblicati tra il gennaio 1985 e il novembre 2009 nei principali database internazionali. La terapia dietetica si realizza lungo 3 linee
1.    dopo un accurato studio clinico per indagare sulla salubrità dell'alimentazione e dello stile di vita e per definire i sintomi e il sottotipo dell'IBS, va posta l'attenzione sul latte e i suoi derivati, valutando la tolleranza al lattosio con l'esecuzione di un breath test; se tale esame non è realizzabile viene consigliato di prescrivere una dieta a basso contenuto di lattosio e valutare gli effetti a breve, medio e lungo termine; gli studi considerati documentano, sia pure con una evidenza debole-moderata, la scomparsa dei sintomi o la loro attenuazione in una buona percentuale di casi, qualunque sia stata la durata del trattamento, da 3 settimane a 5 anni; la dieta deve porre attenzione anche ai polisaccaridi non amilacei ed essere equilibrata nell'apporto di fibre, cibi grassi, caffè, alcol, liquidi; anche per i polisaccaridi non amilacei vi è un'evidenza non costante e lieve-moderata nella capacità di ridurre i sintomi
2.    in caso di insuccesso dei provvedimenti di prima linea nei soggetti con IBS-C va eseguito un tentativo con fibre vegetali non solubili, che aumentano il peso delle feci senza incrementare in modo significativo i fenomeni di fermentazione; naturalmente va invece ridotta l'assunzione di carboidrati fermentabili, soprattutto nei soggetti con documentata o sospetta intolleranza al fruttosio e nei soggetti con meteorismo, flatulenza e dolore addominale; in questa fase può essere iniziato l'uso dei probiotici, valutando gli effetti di un solo preparato per un periodo di almeno 4 settimane; i probiotici possono  ridurre i sintomi in modo significativo in una discreta percentuale di pazienti (in uno studio hanno ridotto soltanto la flatulenza e in 2 studi dopo 6 e 8 settimane di impiego non hanno avuto alcun effetto sul quadro clinico)
3.    nei soggetti con IBS-D la terza linea terapeutica prevede il ricorso a una dieta empirica che impieghi solo alimenti abitualmente ben tollerati o una dieta di eliminazione, rinunciando in maniera sequenziale a 1 o 2 alimenti per volta; se nell'arco di 2-4 settimane non vi è scomparsa o miglioramento dei sintomi, è poco probabile che essi siano dovuti agli alimenti eliminati (è ovvio che la dieta di eliminazione può richiedere anche tempi molto lunghi per dare risultati terapeutici).
Le procedure terapeutiche sopra riportate sono derivate da uno studio molto attento e rigoroso. In prima istanza sono stati selezionati 1.130 lavori; di essi 112 sono stati considerati utilizzabili, ma alla fine solo 30 avevano i criteri di inclusione individuati dal gruppo di studio della BDA. Questo gruppo perciò, preso atto della scarsa numerosità di studi attendibili e delle evidenze in linea di massima deboli, esprime una corretta conclusione secondo cui la ricerca in futuro s i deve fondare su studi controllati, ben disegnati, con una casistica numerosa e con un lungo periodo di follow up. Inoltre l'obiettivo di valutare il rapporto efficacia/sicurezza di terapie dietetiche richiede una attenta stratificazione dei sottotipi di IBS.

McKenzie YA et al. (per il Gruppo Specialistico Gastroenterologico della British Dietetic Association). British Dietetic Association evidence-based guidelines for the dietary management of irritable bowel syndrome in adults. J Hum Nutr Diet 2012; 25: 260-274 

09 luglio 2012

Probiotico geneticamente modificato per “fronteggiare” il diabete di tipo uno



Studio sui topi: un   induce tolleranza nei confronti delle cellule beta pancreatiche
Un  preso per bocca è riuscito a “riprogrammare” il sistema immunitario in un modello animale di  , quello giovanile, e a riportare i livelli glicemici nella norma. Lo studio, europeo, vede protagonisti ricercatori dell’università di Siena e dell’università di Lovanio. I primi per l’idea, i secondi per la creazione dei lactobacilli modificati. L’interesse è alto, la pubblicazione sulla rivista americana Journal of Clinical Investigation lo conferma. E l’avvio di una sperimentazione sull’uomo già dal primo semestre del 2013 significa che i risultati sull’animale hanno aperto una strada nuova che potrebbe riportare i pancreas autodistruttivi dei diabetici  a ripartire come se fossero stati a riposo. Tutto ciò è accaduto nei topi Nod (un modello animale che esprime il   come nell’uomo).
STRATEGIA – Fondamentalmente, gli studiosi sono riusciti a dimostrare che tale trattamento induce un profondo “resetting” del sistema immunitario inducendo tolleranza nei confronti delle cellule beta pancreatiche in modo sicuro, specifico e duraturo. Lo studio dimostra, infatti, che l’assunzione per via orale di Actiobiotics ingegnerizzati per rilasciare auto antigeni e molecole anti-infiammatorie a livello della mucosa intestinale rappresenta una potenziale nuova strategia terapeutica per il . Potrebbe funzionare. E sarebbe probabilmente più interessante, e meno costosa, di un’altra via appena sperimentata dagli scienziati statunitensi dell’university of North Carolina school of Medicine che sono riusciti ad “invertire”, con l’immunoterapia, il   in topi geneticamente modificati per sviluppare la malattia e con diagnosi recente. Gli americani hanno utilizzato delle iniezioni di anticorpi (il lavoro è stato pubblicato su Diabetes): ne sono bastate due nei topi per mantenere la remissione della malattia a tempo indeterminato e, sembra, senza danneggiare il sistema immunitario delle cavie. Ovviamente occorrerà verificare se lo stesso accade nell’uomo, nei pazienti con diagnosi recente.
LO STUDIO – Francesco Dotta, endocrinologo e diabetologo del Policlinico “Le Scotte” di Siena, ne spiega i presupposti: «Tutto è partito da precedenti sperimentazioni fatte dal nostro laboratorio e da altri gruppi europei. In sintesi, avevamo osservato che la somministrazione per via orale di probiotici (in particolare una miscela di lactobacilli e bifidobatteri) era in grado di prevenire l’insorgenza del  autoimmune nel topo Nod. Tale effetto si manifestava quando il trattamento era effettuato tra la quarta e la sesta settimana di età, ossia prima della comparsa dei primi fenomeni infiammatori e della reazione autoimmune a carico delle beta-cellule (quelle che producono insulina) del pancreas. La miscela di probiotici è poi apparsa in grado di ritardare, ma non di prevenire, l’insorgenza del  se somministrata dopo l’ottava settimana di età, ossia successivamente alla comparsa dei fenomeni infiammatori ed autoimmuni anti-isola pancreatica, costituita appunto dalle beta-cellule. Lo stesso trattamento però non aveva alcun effetto nel ripristinare il funzionamento delle beta cellule (ossia la secrezione dell’insulina) quando veniva somministrato in topi Nod alla diagnosi della malattia».
GLI EFFETTI – Ecco alcuni punti chiave: l’infiammazione, la reazione  auto-immune e, quindi, la malattia. Spegnere l’infiammazione ed evitare il  significa però sapere che è in corso lo sviluppo della malattia. Quando la si scopre è già troppo tardi. Nei topi Nod si sa già che compare e quindi è possibile vedere quanto accade e quanto potrà accadere. Si è visto quindi che gli effetti della miscela di probiotici erano quelli di far aumentare nettamente le citochine anti-infiammatorie ed in particolare una di queste, l’interleuchina-10 (Il-10), sia a livello delle isole pancreatiche sia del sistema immunitario intestinale. Continua Dotta: «Si è anche osservato che, nel topo Nod, era possibile ripristinare la secrezione insulinica alla diagnosi di attraverso un’immunosoppressione marcata e generalizzata con la somministrazione di alte dosi di un anticorpo monoclonale anti-CD3, ossia diretto contro tutti i linfociti T (cellule chiave del sistema di difesa ma anche in caso di reazioni auto-immuni perché attaccano le cellule amiche come fossero nemiche). Bloccarle significa fermare la malattia ma anche le difese buone. E i test clinici con anti-CD3 nell’uomo alla diagnosi di  tipo 1 sono stati interrotti in quanto ad alte dosi si sono avuti importanti effetti collaterali, mentre a basse dosi non si è registrato alcun effetto protettivo».
IL  – Partendo da queste premesse, si è pensato di “aumentare” quanto di buono dimostrato dai probiotici da soli, aggiungendo loro due capacità: una anti-infiammatoria, l’altra di finti bersagli per i linfociti T. Siena chiama Lovanio (Belgio), con cui già collabora nell’ambito di un grosso progetto di ricerca finanziato dalla Comunità europea, e si “progetta” il  ogm. Nasce così il Lattococco (un Actobiotics) “ingegnerizzato” per gli esperimenti di Siena. Hanno collaborato anche le università di Bruxelles e quella statunitense di Gainesville in Florida. Gli Actobiotics modificati producono, a livello intestinale, sia la citochina anti-infiammatoria IL-10 sia un auto-antigene beta cellulare, come la pro-insulina (ovvero il precursore dell’insulina). Nella nuova sperimentazione sono stati utilizzati nei topi Nod al momento della diagnosi di tipo 1, cioè in quella fase della malattia nella quale il trattamento con i semplici probiotici non era stata efficace. «I risultati che abbiamo ottenuto e pubblicato – dice Dotta – hanno dimostrato che mediante tale trattamento è possibile ristabilire normali valori glicemici. Inoltre, siamo riusciti a dimostrare che tale strategia terapeutica induce un profondo resetting del sistema immunitario, caratterizzato dalla migrazione di cellule T-regolatorie (ossia di cellule T che vanno a sopprimere la risposta auto-immune distruttiva) a livello delle isole pancreatiche, inducendo così tolleranza nei confronti delle cellule beta pancreatiche in modo sicuro, specifico e duraturo».
TEST SULL’UOMO – Insomma, risultati che se si ottenessero con la stessa efficacia nell’uomo significherebbero l’addio alle iniezioni di insulina per chi soffre di autoimmune. Si è visto anche che isole del pancreas ormai considerate fuori uso hanno ricominciato a svolgere la loro funzione una volta che si è riequilibrato il sistema immunitario dell’organismo. Quindi non distrutte, ma “addormentate” in attesa di tempi migliori. Tutto questo nei topi Nod, ovviamente. Ma così bene da progettare già i protocolli per i test sull’uomo il cui avvio è previsto nel primo semestre 2013. La strada è aperta e, per la prima volta, si intravede la possibilità di far guarire dal   centinaia di migliaia di malati nel mondo: 250 mila solo in Italia.

Latte d'Asina per dimagrire, gli italiani rilanciano elisir di Cleopatra


 Il segreto di bellezza di Cleopatra potrebbe avere un fondamento scientifico. Leggenda vuole che la regina dell'Antico Egitto fosse solita immergersi nel latte d'asina per conservare lo splendore della propria pelle. Oggi sono gli scienziati a rivalutare questo alimento e a scoprirne nuove doti. Sembra infatti che quello che veniva considerato 'oro bianco' da diverse figure femminili del passato - dalla seconda moglie dell'imperatore Nerone, Poppea, alla sorella di Napoleone, Paolina Bonaparte - faccia miracoli per il girovita.
A rivelarlo è una ricerca 'made in Italy', condotta da un gruppo dell'università di Napoli e presentata all'European Congress on Obesity (Eco 2011), in corso fino a domani a Istanbul (Turchia). I ricercatori sono convinti che il latte d'asina sia un alleato del peso forma per diversi motivi: ha elevate quantità di omega 3 e di calcio, cosa che potrebbe avere effetti benefici anche per il cuore, e sembra aiuti a mantenere alti i livelli di energia per tutta la giornata. Tanto che gli autori della ricerca lo suggeriscono come alternativa al latte scremato e alla soia, e invitano i fan delle diete e gli oversize in continua lite con la bilancia a dare una chance al latte d'asina.
Quella presentata a Istanbul non è la prima ricerca che lo descrive come un elisir di bellezza e salute. Studi precedenti avevano già suggerito che la bevanda ricca di proteine potesse rappresentare una buona alternativa al latte di mucca per i bambini allergici, e che potesse diventare il futuro pilastro nelle diete di chi è attento al proprio peso e alla salute. Nello studio italiano, gli scienziati hanno diviso i ratti in due gruppi e li hanno nutriti rispettivamente con latte d'asina e latte di mucca, in aggiunga alla loro consueta alimentazione. Mentre quelli che hanno bevuto latte di mucca sono arrivati a pesare più dei ratti normali, quelli a cui è toccato il latte d'asina sono risultati più magri della media.
Non solo: anche i livelli di grasso nel sangue e la presenza di altri grassi dannosi per arterie e cuore erano inferiori. E i mitocondri, le 'microbatterie' che alimentano le cellule, erano ultra-ricaricati, riuscendo a convertire il cibo in energia a un ritmo più veloce. La conclusione a cui arrivano gli scienziati è che "bisognerebbe incoraggiare il consumo di latte d'asina".
Certo chi volesse subito sposare la milk therapy, riflettono gli esperti, potrebbe avere qualche difficoltà. Se, infatti, la bevanda ha avuto molta fortuna in passato, oggi non è più di moda ed è quasi impossibile acquistarla in supermercato.

29 giugno 2012

Melanzane e Pomodori buoni per la salute.



Da uno studio di Giuseppe Mennella del Consiglio per la ricerca in Agricoltura di Pontecagnano, Salerno, è emerso che esistono alcune varietà di ortaggi (tra questi alcune varietà di melanzane e pomodori provenienti da diverse parti del mondo) che riescono a contrastare i tumori, a regolare il grasso e frenare la caduta dei capelli. Si tratti di ortaggi i cui semi sono facilmente reperibili in commercio e quindi coltivabili anche in giardino o sul balcone di casa. In occasione della Fascination of Plants 2012 sono stati raccolti dallo stesso CRA il 18 maggio scorso per promuovere il ruolo importante delle scienze vegetali nel comparto agroalimentare, ambientale, farmaceutico e energetico. Se i semi sono di facile reperibilità non si può dire lo stesso per il prodotto confezionato per gli scaffali dei supermercati.
Si tratta di prodotti ricchi di principi attivi sorprendenti, tra questi: antiossidanti più facili da assorbire , utili a livello cardiovascolare e contro le malattie legate alla senescenza e nell'arresto della crescita tumorale, antitumorali e regolatori del glucosio nel sangue; ma anche anti-cellulite, sostanze attive contro il grasso localizzato e persino contro la caduta dei capelli, polifenoli.
Ciò testimonia quanto sia importante il valore della biodiversità anche per l’alimentazione. Tra gli ortaggi super nutrienti ci sono I pomodori del Centro e del Sud America, il Black Cherry ( si tratta di un pomodoro ricco di antociani), diverse varietà di melanzane provenienti da Asia, Turchia, India, Giappone, Africa, Italia, e i pomodori gialli e il pomodoro Giagiù, originari dal Sud America o dall'est asiatico. [Fonte: http://life.wired.it/news/food/2012/]

10 giugno 2012

Zafferano: una spezia millenaria e contemporanea







Antichissima pianta originaria del Mediterraneo orientale e dell'Asia sudoccidentale, coltivata in Iran, India, Spagna e appartenente alla famiglia delle Iridaceae. Il nome botanico è Crocus sativus e deriva dalla parola persiana "asfar", nonché giallo, dal tipico colore che conferisce agli alimenti. Si tratta di una pianta bulbosa perenne, con foglie lunghe e sottili, che fiorisce in autunno. I fiori sono viola pallido e presentano stimmi di colore rosso mattone, che costituiscono la droga vegetale. Gli stimmi rappresentano la parte più pregiata, poiché ricchi di sostanze funzionali. Il valore economico elevato di questa spezia deriva dal fatto che per un solo Kg occorrono ben 100.000 fiori e molta manodopera. Tutto ciò ha portato a numerosi tentativi di sofisticazione della droga, che si presenta sotto forma di fili intrecciati, fragili, di odore molto aromatico e sapore speziato. Lo zafferano si usa per lo più in cucina come esaltatore del gusto, ma in tempi antichi si impiegava anche per preparare unguenti, profumi e tingere vesti. Tradizionalmente è considerato un rimedio sedativo, antispastico e stomachico. Ad oggi numerosi studi hanno reso noto che lo zafferano è dotato di molteplici proprietà, tra le quali antiossidanti e antidepressive. La droga contiene un'elevata percentuale di olio essenziale, ricco in safranale, responsabile dell'odore, e in pigmenti, crocina e picrocrocina, responsabili rispettivamente del colore e del sapore. Il safranale e la crocina sembrano esercitare un'azione benefica sul SNC, per inibizione della ricaptazione di serotonina, dopamina e noradrenalina, migliorando così il tono dell'umore. In letteratura sono presenti diversi studi clinici che dimostrano l'effetto antidepressivo dello zafferano, alla dose di 30 mg/die, (Moshiri, 2006; Akhondzadeh, 2005), sovrapponibile a quello esercitato dai farmaci antidepressivi, imipramina e fluoxetina (Akhondzadeh, 2004; Noobarta, 2005). Secondo un recente trial clinico, lo zafferano sembra anche stimolare il metabolismo, in forma di uno specifico estratto secco, divenendo importante per la perdita di peso in situazioni di stress emozionale (Gout, 2010). L'efficacia dello zafferano è stata dimostrata anche nella terapia della sindrome premestruale (Agha-Hosseini, 2008). Inoltre risultano interessanti le proprietà chemiopreventive attribuite allo zafferano sulla base di diversi studi sperimentali (Gutheil, 2012). Sono però necessarie ulter iori evidenze scientifiche per valutarne il profilo di sicurezza (Schmidt, 2007). La Commisione E tedesca riporta che la dose letale di zafferano è di 20 g, quella abortiva di 10 g, mentre 5 g di droga vegetale sono considerati dose tossica e responsabili di disturbi della coagulazione.

Francesca Mantoan
Centro di Medicina Integrativa
AOU Careggi, Università di Firenze






07 giugno 2012

Cioccolato nero, benefici cardiovascolari con 100g/die




Il consumo quotidiano di cioccolato nero, per via dei suoi effetti di riduzione della pressione arteriosa e della colesterolemia, è benefico nell'ambito della prevenzione cardiovascolare (Cv) in soggetti con sindrome metabolica. Lo sostiene un gruppo di ricercatori di Melbourne (Australia) che ha studiato 2.013 pazienti ipertesi con diagnosi di sindrome metabolica, senza storia di malattie Cv e non in trattamento con farmaci antipertensivi. Con un obiettivo: verificare a lungo termine l'efficacia e il rapporto costo/efficacia del consumo quotidiano di cioccolato nero in una popolazione ad alto rischio Cv. Per stabilire il numero assoluto di eventi Cv con e senza trattamento sono stati impiegati dati sugli effetti del trattamento associati con il consumo di cioccolato derivati da metanalisi già pubblicate. Allo scopo di determinare l'ammontare potenziale della spesa necessaria per la "dark chocolat therapy" e valutare se poterla considerare vantaggiosa in base al rapporto costo/efficacia sono stati considerati i costi associati agli eventi Cv e ai trattamenti. Dall'analisi dei dati, effettuata secondo il modello di Markov, è emerso che il consumo giornaliero di cioccolato scuro (più precisamente un contenuto di polifenoli equivalenti a 100 g di cioccolato scuro) può ridurre gli eventi Cv nella misura di 85 per 10.000 trattati in 10 anni. Una cifra di 31 euro potrebbe essere spesa in modo efficace per una persona all'anno in questa forma di prevenzione. Questi risultati - specifi cano gli autori - assumono una compliance del 100% e rappresentano un "best case scenario".