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20 gennaio 2022

CONSULENZA NUTRIZIONALE ONLINE

                         CONSULENZA NUTRIZIONALE ONLINE : 

UN MODO SEMPLICE, RAPIDO ED ECONOMICO PER AVERE
UNA CONSULENZA ALIMENTARE PERSONALIZZATA E PROFESSIONALE 
SENZA SPRECARE TEMPO E FATICA!


Se per problemi di distanza o tempo oppure se sei in difficoltà per il Covid e non ti fosse possibile usufruire di una mia consulenza in studio, a Messina o a Catania  o se semplicemente ritieni che sia un servizio comodo e più indicato per le tue esigenze allora contattami.

Mi occupo da molti anni di disturbi legati all'Alimentazione, alle Intolleranze Alimentari e di Nutrigenetica, Sovrappeso e Obesità, Nutrizione nello Sportivo, Dieta per il Lipedema, Intolleranza al Nickel, Disbiosi, Dieta per Policistosi Ovarica, Menopausa, Infertilità, Dieta Patologie Autoimmuni e Tiroiditi, Alimentazione in Gravidanza e Allattamento, Magrezze eccessive, Alimentazione nel Bambino, Educazione Alimentare.

Mi sono chiesta per molto tempo se fosse davvero possibile offrire un servizio serio e professionale
anche non vedendo direttamente le persone.

Alla fine la risposta è arrivata dallo svariato numero di persone che mi hanno contattato in questi anni e mi hanno richiesto questo servizio.

Per questo ho deciso di offrire le mie consulenze online!

COME FUNZIONA?
  • Per prima cosa concorderemo un appuntamento telefonico durante il quale cercherò di capire il problema e valuterò la mia competenza a riguardo
  • Ti farò compilare una griglia di domande specifica e dettagliata per ricavare importanti informazioni sulle tue abitudini alimentari e di vita. 
  • Ti chiederò di inviarmi le analisi che hai fatto o ti proporrò un approfondimento compatibilmente con la possibilità che tu abbia modo a farli!

Ti invierò quindi

  •         un programma nutrizionale fatto a misura per te, per insegnarti il corretto comportamento alimentare
  •         indicazioni sugli alimenti da preferire e da evitare
  •     consigli su cosa acquistare e dove comprare
  •     un piano con i migliori integratori 100% naturali che potranno aiutarti a raggiungere più velocemente i tuoi obiettivi e a ritrovare il tuo benessere
        
                Avrai la mia assistenza online per rispondere ai tuoi dubbi e domande con la possibilità di acquistare pacchetti di controlli per essere seguiti e monitorati nel tempo in base alle tue più personali esigenze
      
Per usufruire in modo corretto del servizio di consulenze on-line suggerisco  di avere a disposizione una bilancia, un metro da sarta, importante per la rilevazione delle circonferenze corporee. A tal proposito ti darò indicazioni precise sui punti da misurare.

Di cosa ho bisogno per la consulenza online? Peso e Altezza misurati precedentemente dalla persona senza vestiti e scarpe (se vuoi, altrimenti faremo senza parlare di peso)

COME ACCEDERE AL SERVIZIO

Si potrà avere una consulenza in videochiamata con diversi tipi di piattaforme oppure solo telefonica comunque sarà accurata e completa.

Il pagamento è anticipato tramite Bonifico Bancario o con Carte di Credito mediante SumUp e verrà rilasciata ovviamente una ricevuta sanitaria.

Dopo l’avvenuto pagamento della prestazione, ci si accorderà tramite scambio di email o comunicazione telefonica per fissare l’orario ed il giorno della consulenza online, a seconda delle disponibilità di entrambi.

La consulenza di potrà svolgere dal Lunedì al Venerdì, dalle 9,30 alle 14,00 e dalle 15,00 alle 19,30.

Per ulteriori informazioni o domande potete scrivermi all’indirizzo di posta elettronica cacciolamariastella@.gmail.com

13 settembre 2021

Lipedema: una patologia reale? articolo scritto dalla dott.ssa Cacciola Maria Stella - biologa nutrizionista

 Lipedema: È una patologia reale? Cosa possiamo fare per riconoscerlo e curarlo?

  








 

 Questo articolo nasce per divulgare questa affezione, il Lipedema, che, se pur non abbia ancora il riconoscimento di patologia, acquisisce giornalmente connotati sempre più chiari e scientificamente validati e nella speranza che sempre più i medici, specialmente quelli di medicina generale ed i pediatri guardino con occhi diversi le giovani donne e le adolescenti con problemi di sovrappeso e con squilibri ormonali, in modo particolare tutte quelle con familiarità per Obesità Ginoide aggravata da Linfedema giacché oggi ci sono prove serie sulla “ereditarietà” o comunque sulla predisposizione genetica del Lipedema, quasi esclusivamente in linea femminile.

     Mi sembra necessario chiarire subito i fondamenti di questa affezione per aiutare almeno a dare una connotazione chiara. 

    A tal riguardo preferisco utilizzare una definizione semplice e completa che ho trovato e che di seguito cito: “Il Lipedema è un disturbo cronico progressivo che colpisce quasi esclusivamente le donne. Clinicamente, è caratterizzato da una distribuzione anomala del tessuto adiposo, con conseguente sproporzione pronunciata tra estremità e tronco. Tale sproporzione è causata da un aumento localizzato e simmetrico del tessuto adiposo sottocutaneo negli arti inferiori e/o superiori. Altre scoperte includono edema (aggravato dall'ortostasi), nonché facile ecchimosi a seguito di traumi minori e, tipicamente, aumento della dolenzia con la pressione”

    Oggi è più facile diagnosticare il Lipedema ed aiutare efficacemente chi ne è affetto per l’esistenza di Linee Guida e Documenti di Consenso Statunitensi ed Europei per cui molti professionisti hanno intrapreso percorsi di formazione per la diagnosi ed il trattamento specifico. 

    Un aspetto da non trascurare è, purtroppo la mancanza ancora di un approccio integrato e coordinato fra più figure professionali ed il riconoscimento come patologia dal SSN. 

    In questo momento purtroppo, le donne affette da Lipedema, sono infatti tristemente consapevoli di avere poche possibilità di veder migliorare la propria situazione patologica proprio per la mancanza di strutture adeguate e convenzionate con il SSN. Questa importante lacuna nell’offerta sanitaria pubblica, non fa altro che addossare la gestione e la cura della patologia sulle sole spalle delle donne che ne soffrono e delle loro famiglie, esponendole a sacrifici di natura sia economica che psicologica. 

    È fondamentale che la Sanità territoriale acquisisca piena consapevolezza del problema e che gli stessi medici di famiglia si aggiornino al meglio su questa patologia che ha spesso un esordio precoce.

    Recenti studi condotti dal gruppo di lavoro del Pr Sandro Michelini, Ospedale San Giuseppe di Marino (RM), hanno portato ad una scoperta illuminante in tal senso: sarebbe proprio un gene, e sicuramente anche più di uno, infatti, ad avere una corresponsabilità determinante nell’esordio della patologia e questo è evidente anche alla luce del riconoscimento della patologia anche in ben 4 generazioni di donne della stessa famiglia senza coinvolgimento se non come portatori sani dei maschi della stessa.

    Approcciarla in modo serio e documentato diventa quindi fondamentale per giungere quanto più precocemente possibile ad una diagnosi definitiva che consenta a tutte le giovani donne di intraprendere un percorso corretto e personalizzato al fine di contenere al meglio i sintomi e l’evoluzione.

    L’approccio terapeutico ottimale al Lipedema è sostanzialmente, almeno in gran parte, contenitivo ed è quindi basato sul trattamento nutrizionale, il linfodrenaggio manuale di tipo Vodder, i bendaggi e l’elastocompressione. Chiaramente tutti questi trattamenti vanno personalizzati ed eseguiti da personale altamente specializzato e con documentata esperienza.

    Il punto estremo e finale rimane ancora oggi purtroppo la terapia chirurgica specializzata che comunque oggi è sempre più integrata con gli altri approcci terapeutici.

    Attualmente la dieta insieme con l’attività fisica moderata e personalizzata, il massaggio Vodder  e l’elastocompressione possono essere molto importanti per il controllo dell’affezione sin dall’esordio, che solitamente avviene nel periodo adolescenziale con aggravamenti in gravidanza e in menopausa.

 La dieta chetogenica e la dieta Low Carb, ben conosciuta come DIETA RAD (Rare Adipose Disorders),  con un basso apporto di carboidrati, in particolare da cereali, frutta e patate e particolarmente incentrata sull’utilizzo di carni bianche, uova, pesce, legumi e verdure fresche di stagione, oggi è riconosciuta a livello internazionale ed ha come obiettivo specifico soprattutto quello di regolare i livelli di insulina e ridurre l’infiammazione mirando quindi ad un riequilibrio ormonale.

     Il compito attuale e principale della dietoterapia moderna consiste prevalentemente nella regolazione e controllo dei livelli di insulina, in considerazione soprattutto della testimonianza dei tanti studi scientifici che correlano  l’infiammazione alla gran parte delle patologie a carattere cronico e all’iperinsulinemia prima e al diabete successivamente, determinati dall’eccesso di carboidrati presenti nell’alimentazione quotidiana. 

    Risulta importante consumare in modo ridotto cibi confezionati e prodotti alimentari “industriali” che sono eccessivamente carichi di zuccheri, di grassi trans e dei cosiddetti “interferenti endocrini”, sostanze queste ultime dimostrano di interferire con l’equilibrio ormonale naturale e nel tempo arrivare a provocare diabete e patologie endocrine.

    Credo profondamente che solo la diagnosi precoce del Lipedema possa garantire nuove ed affidabili prospettive di cura a tutte le donne che ne hanno bisogno. 

a cura della
dott.ssa Cacciola Maria Stella - biologa nutrizionista 


18 giugno 2020

LA DIETA RAD, rare adipose disorders, per il LIPEDEMA e per tutte le patologie a carattere infiammatorio

La dieta antinfiammatoria: il modello alimentare per curarsi dall ...







RAD Diet (Malattia adiposa rara)

La Dieta RAD acronimo di “rare adipose disorders” la dieta raccomandata dal Dr. Karen Herbst, un esperto di fama mondiale nelle malattie del tessuto adiposo, ed è indicato per qualsiasi patologia del tessuto adiposo. È anche una dieta anti-infiammatoria

Si raccomanda di ridurre il consumo di carboidrati raffinati, zucchero, prodotti lattiero-caseari pastorizzati ed eliminare gli edulcoranti artificiali e gli alimenti che contengono coloranti o aromi aggiunti, nonché qualsiasi alimento trasformato. Si consiglia invece di aumentare il consumo di frutta e verdura biologica, cereali integrali e fonti salutari di proteine, come proteine ​​magre, come pesce, pollame di carne bianca e uova

Va chiarito che ad oggi non ci sono studi scientifici che dimostrano i benefici di questa dieta nel trattamento specifico delle cosiddette "malattie rare del tessuto adiposo", tra cui il lipedema. Detto questo, una dieta ricca di alimenti che prevengono l'infiammazione offre una serie di benefici per la salute generali, tra cui la riduzione del rischio di malattie cardiache, cancro e altre malattie.

Al link trovate un video tratto dai video del Convegno di novembre della Lio Lipedema a Roma.

https://www.youtube.com/watch?v=3nBl8SWR5c8&feature=youtu.be&fbclid=IwAR0W6YB8DCny1pHXzCYsseeByWGzG_-cuMr350xxcJgBM3-6-OcT8ogP1rI


24 gennaio 2019

SONO CELIACO O NON LO SONO?

Oggi molte persone si chiedono se sono celiache ma quando fanno il test che il loro medico prescrive, il risultato è quasi sempre negativo, e potremmo dire “meno male!” ma purtroppo i sintomi rimangono e queste persone continuano a non tollerare il pane, la pasta e i biscotti.



Alcune di queste persone ricorrono al faidate, cercano su internet, eliminano tutti gli alimenti che contengono glutine e improvvisamente si sentono meglio nonostante il medico ed i test fatti dicessero il contrario.

Altre si rivolgono a nutrizionisti esperti che spiegano loro che è possibile che abbiano una predisposizione genetica alla celiachia ma di non averla ancora sviluppata, grazie a Dio!
E allora perché se non sono celiaci hanno i sintomi e togliendo i cereali con glutine e sostituendoli con quelli senza glutine stanno meglio?
Per spiegarlo con chiarezza vi devo raccontare una cosa.

Nel 2011 in febbraio a Londra c’è stata una Consensus Conference, cioè una conferenza a livello internazionale dove erano presenti tutti gli studiosi ed i professori  che lavorano in tutti i centri del mondo sulla celiachia. Durante questo importantissimo incontro è stato presentato uno studio fatto in collaborazione fra l’Università di Baltimora, pr Fasano (un Italoamericano) e l’Università di Napoli (pr.ssa Sapone).                 

In questo studio si affermava che oltre alla Celiachia e alla Allergia al glutine esisteva una terza patologia legata al glutine che è stata chiamata Sensibilità al Glutine Non Celiaca (SGNC). Nella prima si riscontrano un’alterazione di tutti gli anticorpi collegati alla Gliadina, proteina costituente importante del glutine e danni a livello dei villi intestinali, nella seconda si trovano quasi sempre anticorpi Ig E per la Gliadina alti mentre per la SGNC nella maggior parte dei casi (circa il 56%) si trovano alti anticorpi Ig G AntiGliadina Nativa.
Per fare sintesi e capirci bene in modo da non generare dubbi o preoccupazioni inutili riassumo. Quando qualcuno soffre di Sindrome del Colon Irritabile, nausea, gastralgia, sensazione di stanchezza, diarree ricorrenti, stipsi, dimagramento o obesità, depressione, dolori muscolari, acne ecc. bisogna che prima valuti con il proprio medico se è celiaco oppure allergico al glutine oppure se ha una SGNC ma consideriamo che tutte queste patologie sono presenti in non più del 20% della popolazione italiana quindi non tutti gli Italiani ma solo una piccola parte può avere davvero un problema con il glutine.
E allora se non tutti gli Italiani ma solo il 20% ha direttamente un problema addebitabile al glutine, tutti gli altri di cosa soffrono?
Vi do una piccola anticipazione ma ne parleremo nei prossimi articoli. La cosa più frequente è che si sia sviluppata un’Alterata Permeabilità Intestinale anche conosciuta come Leaky Gut  che è causata da un’infiammazione della parete intestinale.


Articolo scritto dalla dott.ssa Cacciola Maria Stella,  biologa nutrizionista  esperta in Intolleranze Alimentari e Nutrigenetica

17 febbraio 2018

Anche la Sclerosi Multipla ha oggi la sua dieta - a cura della dott.ssa Cacciola Maria Stella - Biologa Nutrizionista


       La domanda è “la dieta  può davvero modificare invertendo l’andamento progressivo di una patologia qualsiasi ed in particolare una a carattere autoimmune come la Sclerosi Multipla?”



               La risposta affermativa  a questa domanda arriva dalla dott.ssa Laura Mendozzi, neurologa appassionata di sana alimentazione, dell’IRCC S. Maria Nascente di Milano della Fondazione Don Gnocchi. E nel mio articolo vi spiegherò come e perché.

        Intanto chiariamo che la Sclerosi Multipla  è una patologia autoimmune a carattere infiammatorio che colpisce il sistema nervoso centrale provocando una progressiva demielinizzazione della guaina lipidica che avvolge la terminazione nervosa e per capirci meglio è come se un filo elettrico venisse scorticato progressivamente e non riuscisse più ad assolvere il suo compito di condurre elettricità, allo steso modo la terminazione nervosa privata della sua guaina esterna fatica a trasportare il messaggio dal cervello ai muscoli e provoca nel tempo una disabilità progressiva.

        Già da tempo esistono molti studi pubblicati su prestigiose riviste scientifiche su modelli animali nella Sclerosi Multipla , che hanno messo in evidenza che il Microbiota,  quel complesso di batteri presenti nel nostro apparato gastrointestinale che comunemente viene conosciuto come flora batterica , in topi ammalati di  Sclerosi Multipla  è particolarmente alterato rispetto a quello di topi sani.

           Il Microbiota, ha affermato la dott.ssa Patrizia Brigidi di Bologna, “è un sistema di adattamento che contribuisce al nostro stesso inserimento nella Natura che ci circonda, come un cloud nel quale siamo immersi e che comunica continuamente con le nostre cellule somatiche apportando modifiche e cambiamenti sia a breve quanto nei tempi lunghi, grazie alla produzione di sostanze che influenzano il metabolismo cellulare”, cioè dobbiamo immaginarci inseriti in una nuvola di batteri che in ogni momento si scambiano messaggi con tutte le nostre cellule e le aiutano a capire meglio il mondo che le circonda con i suoi cambiamenti.

           E’ stato quindi scoperto che il Microbiota è estremamente plastico e subisce importanti modifiche al variare della dieta che risulta essere fondamentale per il benessere e la salute di tutti. E come dice il pr Paolo Riccio la Dieta tiene al guinzaglio il Microbiota
Immagine correlata



         E se la dieta influenza significativamente la composizione del Microbiota e a sua volta quest’ultimo produce sostanze che “parlano” alle nostre cellule va da se che la dieta è in grado di ridurre il dismicrobismo  e aiutare l’organismo a modificare il suo stato da malato a sano.

           Su queste basi si è fondato lo studio pilota condotto dall’IRCC S. Maria Nascente di Milano della Fondazione Don Gnocchi, verificare attraverso l’analisi della composizione del Microbioma intestinale e di indici di laboratorio se una particolare dieta fosse in grado di modificare l’infiammazione ed i parametri clinici.

           Lo studio pilota dell’IRCC ha dimostrato che una dieta organizzata sotto la guida di un nutrizionista esperto, ricca di prodotti vegetali (cereali, legumi, verdure, ortaggi di stagione, frutta fresca, frutta secca, olio EVO) e povera in proteine e grassi animali (carne bianca 1 volta alla settimana, pesce 2 volte, formaggio magro 1 volta, non carne rossa ne latte ne formaggi grassi) fa aumentare la popolazione di batteri con proprietà antiinfiammatorie ed è associata ad un miglioramento della deambulazione nei pazienti seguiti per 2 anni con diagnosi di  Sclerosi Multipla . 
            Questo suggerisce che la dieta modificando il Microbiota induce la riduzione dell’infiammazione anche in patologie a carattere cronico e degerativo.
             Possiamo concludere anche che l’aggiunta di vit D, vit A e probiotici specifici può essere molto utile ad indurre cambiamenti significativi volti al positivo modificarsi di quadri clinici con importanti componenti infiammatorie

#alimentazione #sclerosimultipla #dietasm 
                

10 giugno 2017

CONOSCI LA DIETA CHETOGENICA? articolo della dott.ssa Cacciola Maria Stella


Qualche giorno fa mi hanno chiesto di scrivere un articolo sulla Dieta Chetogenica per aiutare tutte le persone che vorrebbero saperne di più e per far capire loro di cosa si tratta.
Ci chiediamo? E‘ una dieta iperproteica? Può fare male alla salute? E‘ difficile da seguire? La possono fare tutti tranquillamente da soli?
Ed ancora, ma non sarebbe meglio seguire la buona e vecchia Dieta Mediterranea? Non sarà la solita americanata?
Ecco certamente le domande che ci poniamo sono tante e vedremo di rispondere in modo semplice e completo. Io credo che solo dalla buona conoscenza può nascere la buona salute!
Pensate un po‘! la Dieta Chetogenica nasce nel 1920 dalle osservazioni fatte da due pediatri, Rollin Woodyatt e Mynie Paterman, che lavoravano con i bambini colpiti da Epilessia. Questa dieta dimostra infatti di ridurre gli attacchi epilettici sia nei bambini che negli adulti che non rispondono ai trattamenti farmacologici.
E già! Si tratta quindi di un vero trattamento terapeutico che via via ha trovato impiego anche nei soggetti con terribili emicranie.
Ma cerchiamo di capire meglio cosa è e come deve essere fatta ed anche a chi è utile, oltre a coloro che abbiamo detto prima.
La Dieta Chetogenica viene definita normo proteica, normolipidica ed ipoglucidica, cioè in questa dieta si riducono drasticamente tutti gli alimenti del gruppo dei carboidrati, non solo si elimina lo zucchero ma anche pane, pasta, riso, cereali, farine di cereali prodotti che ne contengono anche piccolissime quantità, frutta e persino alcune verdure. In questo modo si costringe il proprio corpo ad utilizzare prima le riserve di zucchero che possiede sotto forma di glicogeno, prevalentemente nel fegato e nei muscoli, successivamente il corpo è costretto a trovarsi un’altra fonte di energia!
Ed ecco che trova i grassi, quelli depositati nel corpo e quelli introdotti con l’alimentazione. Ma i grassi per diventare materiale energetico utilizzabile dalle nostre cellule devono essere trasformati in piccoli corpi chetonici che sono un po‘ acidi ma tanto piccoli che riescono a passare dalla barriera ematoencefalica ed arrivare al cervello e fornirgli l’energia necessaria! Anzi, quando si raggiunge questo stadio, che si chiama Chetogenesi, si è molto lucidi e molto attivi come quando si è bevuto un bel caffè doppio!
Chiaramente se si tolgono tutti i carboidrati e non si sa quanti grassi e quanti cibi proteici consumare si rischia di danneggiare il proprio organismo provocando scompensi che possono danneggiare i reni ed il fegato.
Ho detto prima che questa dieta è normo proteica, cioè bisogna consumare un quantitativo specifico per ciascuno di noi di cibi proteici, come carni, uova, formaggi, pesce ecc.., e bisogna sapere anche quanti grassi utilizzare e quali tipi, ed anche questo dipende dal motivo per cui si utilizza questo regime alimentare.
Esistono due diversi approcci alla dieta Chetogenica:
Uno è quello che la vede utilizzata per ridurre ed anche eliminare attacchi epilettici e crisi emicraniche, l’altro è quello del dimagramento in casi di importate obesità ed in special modo in soggetti candidati alla chirurgia bariatrica, cioè quella chirurgia che riduce lo stomaco per ridurre l’assunzione di cibo nei grandi mangiatori voraci. In questi casi si utilizza un Protocollo dietetico medico VLCKD (Very Low Calory Ketogenic Diet), ideato nel 1971 dal Prof. Blackburn dell’Università di Harvard.
Se qualcuno vuole utilizzare la Dieta Chetogenica per dimagrire pochi chili dovrà fare attenzione ad utilizzare pochissimi grassi ma se ha anche il colesterolo alto ed i trigliceridi mossi dovrà utilizzare solo grassi come l’olio d’oliva extravergine.
Questa dieta è molto utile per chi deve dimagrire molto oppure per chi ha un’intolleranza ai carboidrati ed ancora per chi vuole dimagrire in modo localizzato.
Però è bene che sia studiata da un professionista che valuti tutti i parametri mediante analisi del sangue e test impedenziometrico, per calcolare la massa grassa e quella magra, così da ottenere una perfetta personalizzazione della dieta con il massimo dei risultati senza rischi per la salute.

16 maggio 2017

Genetica: tra uomo e donna la differenza è in 6.500 geni

Tra uomo e donna le differenze partono dai geni. Per l’esattezza sono 6.500 i geni espressi in modo differente. Dall’accumulo di grasso ai muscoli, dalla peluria alla produzione di latte, queste diverse espressioni potrebbero caratterizzare i due sessi anche nella suscettibilità a certe malattie così come nella risposta alle terapie. L’evoluzione con questi geni è stata poco selettiva, favorendo di fatto la diffusione di mutazioni che possono determinare problemi come l’infertilità. A indicarlo è uno studio pubblicato su BMC Medicine dal Weizmann Institute of Science di Israele.
Alla base ci sono i dati raccolti dal progetto GTEx, un grande studio che ha analizzato i geni espressi nei vari organi e tessuti del corpo umano di quasi 550 adulti di entrambi i sessi, portando alla realizzazione della prima mappa delle differenze genetiche tra uomini e donne. I ricercatori Shmuel Pietrokovski e Moran Gershoni del Weizmann Institute hanno usato questo database per valutare nello specifico l’espressione di 20.000 geni, arrivando così a identificarne 6.500 che sono ‘accesi’ in modo diverso tra maschi e femmine in almeno un tessuto del corpo.
Oltre ai geni legati a caratteristiche sesso-specifiche, come la peluria o la produzione di latte, ne sono emersi molti altri insospettabili. E’ il caso di alcuni geni ‘accesi’ solo nel ventricolo sinistro del cuore della donna, tra i quali uno in particolare, legato all’uso del calcio, che tende a spegnersi con l’avanzare dell’età, probabilmente aumentando il rischio di malattie cardiovascolari e osteoporosi dopo la menopausa. E’ stato trovato anche un gene espresso prevalentemente nel cervello delle donne che potrebbe proteggere i neuroni dal Parkinson.
I ricercatori hanno scoperto che la selezione naturale è stata più indulgente con le mutazioni sesso-specifiche contenute in questi geni, soprattutto quelle legate al genere maschile, favorendone di fatto la diffusione. Da qui l’idea che uomini e donne non abbiano seguito lo stesso cammino evolutivo, bensì due percorsi separati e interconnessi fra loro: l’evoluzione umana sarebbe dunque da rileggere come una co-evoluzione.
Mag 09,2017

Cancro al seno: la soia riduce il rischio

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Negli ultimi anni si sono aperte varie controversie sui cibi a base di soia, anche tra i professionisti della salute, aggravate dalla disinformazione veicolata via Internet. Caposaldo delle erronee tesi è l’idea che gli alimenti a base di soia favoriscano lo sviluppo del cancro al seno, poiché contenenti isoflavoni (classe di composti fitoestrogeni). Dal momento che gli estrogeni possono promuovere la crescita del cancro al seno, è stato ipotizzato che troppi fitoestrogeni possano avere il medesimo effetto: ma l’ipotesi è errata, in quanto non tiene conto del fatto che ci sono due tipi di recettori per gli estrogeni nell’organismo umano, alfa e beta, che hanno una diversa distribuzione nei tessuti, diversa funzione e spesso agiscono in modo opposto. I fitoestrogeni della soia preferenzialmente legano e attivano i recettori beta. Questo sembrerebbe essere proprio il caso dei tessuti della mammella, ove l’attivazione dei recettori beta mostra un effetto anti-estrogenico, inibendo gli effetti di promozione della crescita riferibili agli estrogeni. Infatti gli effetti dell’estradiolo, estrogeno naturalmente prodotto dal nostro organismo, sono opposti a quelli dei fitoestrogeni, che hanno effetti antiproliferativi sulle cellule del cancro al seno anche a basse concentrazioni; tali effetti si manifestano già con l’assunzione di una sola tazza di fagioli di soia, mostrando una significativa attivazione del recettore beta. L’ipotesi che i fitoestrogeni potessero essere causa di proliferazione di cellule tumorali si basa su studi eseguiti su topi, dai quali si evince che la genisteina (il fitoestrogeno principale della soia) stimola la crescita del tumore al seno… ma l’essere umano metabolizza gli isoflavoni in modo differente, e questa dunque non è altro che l’ennesima dimostrazione dei danni al progresso scientifico causati dalla sperimentazione sugli animali. La possibile attivazione di recettori alfa da parte della soia può presentarsi solo a fronte di assunzioni del tutto irrealistiche di questo alimento (ad esempio 58 tazze al giorno di fagioli di soia!), ma con porzioni normali l’attivazione a cui si va incontro è quella dei recettori beta, aventi effetti protettivi. Infatti le donne che nell’infanzia, adolescenza ed età adulta hanno assunto soia mostrano un ridotto rischio di tumore al seno. Questi dati potrebbero spiegare perché l’incidenza di tumore al seno è più alta in Occidente che in Asia e il motivo per cui proprio le donne asiatiche americanizzate, con un’alimentazione occidentale presentino un rischio notevolmente superiore di sviluppare tumore al seno. Oltre a queste evidenze, nel 2009 nel Journal of the American Medical Association è stato pubblicato il primo studio che confronta l’assunzione di soia con l’incidenza di tumore al seno, sugli esseri umani: “in numerose donne con cancro al seno, il consumo di alimenti di soia era significativamente associato con una diminuzione del rischio di morte e di recidiva”. Questo studio è stato seguito da altri, tutti riportanti le stesse conclusioni, tali da far produrre una serie di linee guida dall’American Cancer Society, a favore dell’utilizzo di prodotti a base di soia nelle pazienti sopravvissute al tumore al seno. Esistono 5 studi in merito, che prendono in esame più di 10.000 pazienti affette da cancro al seno e i risultati sono unanimi nell’evidenziare una riduzione della mortalità e di recidiva grazie all’assunzione di soia. Cancro al seno: la soia riduce il rischio katemangostar / Freepik 2 Un altro aspetto è legato alle donne che presentano i geni del cancro al seno (anche se meno del 10% dei casi di cancro al seno presenta una familiarità genetica), la cui espressione è causa di una mutazione di uno dei geni oncosoppressori (BRCA1 o BRCA2) che difendono l’integrità dei nostri geni; quando uno di essi è danneggiato o presenta mutazioni, può esporci maggiormente allo sviluppo del cancro. Se fino a poco tempo fa le raccomandazioni dietetiche per le persone con mutazioni a carico di questi geni miravano a ridurre i danni da radicali liberi a carico del DNA, consigliando di assumere importanti quantità di frutta e verdura ricche di antiossidanti, oggi un’ulteriore protezione potrebbe derivare dall’aumento dell’azione dei BRCA. Infatti, in vitro si è visto che i fitoestrogeni della soia potrebbero rispristinare la funzione di protezione dei BRCA, con una “riregolazione” dell’espressione di questi fino al 1000% in 48 ore. Questo sembrerebbe poter essere traslato anche in vivo, poiché si è evidenziato che l’assunzione di soia in persone a rischio di tumore al seno ha comportato una riduzione del rischio del 27% con normali geni BRCA e del 73% in portatori di mutazioni del gene BRCA. D’altro canto, il consumo di carne in pazienti con mutazioni del gene BRCA ha comportato un aumento del rischio del 97% (e del 41% in chi non mostra questa mutazione). 

Fonti: “Is Soy Healthy for Breast Cancer Survivors?”, Nutrition Facts, 1 febbraio 2017 https://nutritionfacts.org/video/ is-soy-healthy-for-breast-cancer-survivors/ “Should Women at High Risk for Breast Cancer Avoid Soy?”, Nutrition Facts, 3 febbraio 2017 http://nutritionfacts.org/video/ should-women-at-high-risk-forbreast-cancer-avoid-soy/

Tratto da Quaderni di Scienza Vegetariana maggio 2017 www.scienzavegetariana.it

14 maggio 2016

Dieta integrata con amminoacidi, folati e vitamina D3: un nuovo approccio nel trattamento della sarcopenia

Con l'avanzare dell'età gli anziani vanno incontro ad una progressiva perdita di massa muscolare e a una diminuzione della funzionalità fisica. Questo tipo di condizione può essere definita "sarcopenia" secondo una definizione proposta da Irwin Rosenberg. Le cause della sarcopenia sono molteplici, ma la malnutrizione e le carenze di specifici nutrienti, in particolare di proteine, sono tra i principali fattori che aggravano questa condizione. La carenza di proteine è infatti dovuta ad una diminuzione della loro sintesi a partire dagli amminoacidi. Secondo alcuni studi osservazionali, un'altra causa importante è il mancato raggiungimento dell'intake proteico giornaliero raccomandato per l'anziano, che corrisponde a 1,1-1,2 g/kg di peso corporeo. L'invecchiamento comporta anche il deficit di alcuni micronutrienti, ad esempio viene riscontrata una diminuzione di vitamina D a livello dei recettori presenti nelle cellule muscolari. Anche per quanto riguarda l'acido folico (vitamina B9), una carenza può ridurre la forza muscolare, in quanto si tratta di sostanze alla base del metabolismo dell'omocisteina.

L'iperomocisteinemia è stata infatti associata a una diminuzione della forza muscolare nel quadricipite e della densità muscolare nel polpaccio e anche ad un aumentato rischio di disabilità nell'anziano, secondo uno studio di Kuo et al. del 2007. Un recentissimo studio di Rondanelli et al, ha sperimentato un'integrazione alla dieta (durante la prima colazione) con amminoacidi (4 g), in particolare leucina, con vitamina D3 (800 IU al giorno) e con folati (400 µg  al giorno) in un gruppo di anziani sarcopenici mostrando un aumento della massa magra e una concomitante diminuzione della percentuale di grasso aneroide. In particolare questi pazienti hanno mostrato un significativo aumento della forza muscolare, tale da permettere classificare ben il 68% dei pazienti sarcopenici come non più sarcopenici; infine è stato evidenziato un aumento delle concentrazioni di Igf (Insulin Growth Factor).

Per approfondimenti:1. Mithal, Ambrish, et al. "Impact of nutrition on muscle mass, strength, and performance in older adults." Osteoporosis international 24.5 (2013): 1555-1566.
2. Rondanelli, Mariangela, et al. "Whey protein, amino acids, and vitamin D supplementation with physical activity increases fat-free mass and strength, functionality, and quality of life and decreases inflammation in sarcopenic elderly." The American journal of clinical nutrition (2016): ajcn113357.
3. Kuo HK, Liao KC, Leveille SG, Bean JF, Yen CJ, Chen JH, Yu YH, Tai TY (2007)
Simone Perna

12 maggio 2016

Da microbiota e metagenomica un aiuto per comprendere le disbiosi intestinali

Mappare la composizione del microbiota intestinale consente di riconoscere le connessioni esistenti fra batteri intestinali e malattia. Ne abbiamo parlato con il Professor Marco Ventura, Responsabile del Laboratorio di Probiogenomica del Dipartimento di Bioscienze dell'Università degli Studi di Parma.

Quali sono le cause di una disbiosi intestinale?
Gli agenti antimicrobici e la dieta sono i principali fattori responsabili di una disbiosi intestinale, cioè un'alterazione della composizione del microbiota intestinale, accompagnata da una rottura dell'omeostasi delle comunità microbiche presenti. In entrambi i casi e con meccanismi diversi, questi due elementi favoriscono il sopravvento di quei gruppi microbici che sono causa o concausa dell'insorgenza di una serie di malattie, anche importanti. Una terapia antibiotica seppure efficace verso uno specifico patogeno, può svolgere un'azione battericida a largo spettro; un'alimentazione non bilanciata con eccesso di certi nutrienti (ad es. grassi e proteine) può avvantaggiare certi gruppi microbici a scapito di altri (ad es. batteri proteolitici, a danno dei saccarolitici).

Quali sono le potenzialità della metagenomica nella mappatura del microbiota?
La coprocoltura, il test di indagine più utilizzato per identificare in vitro uno specifico patogeno è inefficace quando si voglia mappare la composizione del microbiota intestinale. La 16S rRNA Microbial Profiling invece è un'analisi che sfrutta le recenti applicazioni della metagenomica nel campo dell'ecologia microbica: si basa sul sequenziamento del gene 16S rRNA (costituente della subunità minore dei ribosomi dei procarioti) e rappresenta un marcatore molecolare ampiamente utilizzato nella tassonomia batterica. Da un campione biologico (materiale fecale o biopsia intestinale) viene isolato il DNA microbico che poi è sottoposto ad amplificazione del gene 16S rRNA. L'analisi viene poi completata dal sequenziamento del pool di geni 16S rRNA corrispondenti ai microrganismi presenti nel microbiota e quindi dal loro riconoscimento tramite l'impiego di strumenti bioinformatici.

Quali vantaggi?
Questa analisi permette di valutare le concentrazioni relative dei vari microrganismi presenti nel campione originale. Il nostro Laboratorio ha collaborato alla messa a punto di un test, oggi in commercio, che, partendo da un campione di feci e da un database costituito da diverse centinaia di profili microbici intestinali di diversi soggetti, permette di conoscere la composizione del microbiota. È il punto di partenza per capire le relazioni fra le comunità microbiche intestinali e gli stati di malattia e per riequilibrare, anche per mezzo di interventi mirati, le attività metaboliche e le funzioni immunostimolatorie e d'interazione con il sistema nervoso, in cui è coinvolto in larga parte il microbiota intestinale.

Francesca De Vecchi

27 aprile 2016

Intervista al Dott. Keith Grimaldi, uno dei padri della Nutrigenetica

 Dott. Grimaldi Che cos’è la nutrigenetica? 

Scientificamente, la nutrigenetica è lo studio di come la variazione genetica nei geni individuali influenza la risposta di un individuo a particolari nutrienti e tossine nella dieta.

Che cosa sta tentando di fare la nutrigenetica? 

La nutrigenetica aspira ad usare l’informazione genotipica di un individuo per determinare le proprietà delle proteine codificate da certi geni e in questo senso l’effetto sul metabolismo, trasporto ed assorbimento dei nutrienti nella dieta e l’effetto sull’eliminazione delle tossine. Una variazione genetica, p. es. uno SNP, può influenzare l’attività di un enzima che può influenzare il metabolismo di un nutriente come l’acido folico. Questo è esattamente analogo alla farmacogenetica dove la variazione in un gene influenza la velocità del metabolismo del farmaco.
Noi abbiamo linee guida standard del mangiar sano che sono basate su molti anni di prove scientifiche accumulate principalmente da studi epidemiologici e di intervento (e NON prove cliniche). Queste linee guida sono state sviluppate per aiutare a mantenere uno stile di vita salutare più a lungo possibile. Lo scopo della nutrigenetica è di essere capace di modificare le linee guida alimentari in accordo col genotipo e fenotipoindividuali – anche la nutrigenetica è basata su molti anni di prove scientifiche accumulate principalmente da studi epidemiologici e di intervento. Il livello di prove per la nutrigenetica è almeno all’altezza di quello usato per sviluppare e giustificare le linee guida standard.


Che cosa propone al consumatore/paziente? 

L’uso dell’informazione genetica sia per la guida delle scelte alimentari e sia per informare gli individui circa l’importanza dell’alimentazione, del cibo e del metabolismo. La nutrigenetica ci mette in grado di usare il genotipo ed il fenotipo per migliorare la nostra conoscenza di come il cibo lavora insieme con il corpo. L’aspetto informativo di un servizio nutrigenetico è estremamente importante – gli scienziati lo usano e imparano da esso, dunque perché non potrebbe trarne benefici anche il pubblico? Purché l’informazione sia fornita in un modo serio, responsabile e corretto allora il risultato sarà benefico per il paziente/consumatore.


















La nutrigenetica definirà un’alimentazione perfetta? 

No, non si pretende tanto. Usando l’evidenza corrente che è disponibile nella letteratura scientifica “peer reviewed” la nutrigenetica può essere usata per programmare un’alimentazione che è migliore di quella delle linee standard che offre “una taglia unica per tutti” quando in realtà le variazioni genetiche significano una diversità metabolica. Abbiamo ancora tanto da studiare, può darsi che non raggiungeremo mai quella dieta “perfetta”, ma abbiamo accumulato una conoscenza che possiamo usare adesso, stiamo muovendo i primi passi essenziali.

Dunque qual è il punto, sarà realmente di aiuto? 

Lo scopo di tutti i consigli alimentari è di stabilire abitudini del mangiare buono permanentemente perché una buona salute nella vita più tarda dipende molto da come la vita è stata precedentemente vissuta. Piccole variazioni, anche variazioni apparentemente insignificanti, possono produrre una grande differenza nell’arco di 10-20 anni. Per esempio l’eccesso di calorie al giorno richiesto per aumentare di 15 Kg dall’età di 20 anni all’età di 40 anni è soltanto di 10 calorie, che è proprio mezzo cucchiaino di zucchero in più al giorno! L’aiuto che ci offre la nutrigenetica è l’averci fatto capire che ciò non vale per tutti ma solo per coloro che sono geneticamente predisposti.

C’è qualche prova scientifica per la Nutrigenetica? 

Sì, molta. A parte i nostri propri studi ci sono letteralmente migliaia di studi “peer reviewed” che sono stati pubblicati nel corso degli ultimi due decenni e che dimostrano scientificamente le interazioni gene-dieta. Il livello dello studio scientifico è in generale molto alto ed è di qualità simile, se non più rigoroso, delle prove scientifiche usate per giustificare i consigli alimentari standard, come consumare molta frutta e verdura, ridurre i grassi saturi, ridurre gli zuccheri ecc