19 gennaio 2015

I cereali integrali sono associati a una riduzione della mortalità cardiovascolare

Secondo uno studio da poco pubblicato su Jama Internal Medicine, nel contesto di un'alimentazione equilibrata il consumo di cereali integrali è correlato a un calo della mortalità, in special modo correlata a eventi cardiovascolari. In compenso, non sembra esserci alcun effetto per quanto riguarda i decessi per cancro. Lo studio è stato diretto da Hongyu Wu della Harvard school of public health di Boston, negli Stati Uniti: «I cereali sono semi di frumento, segale, orzo, avena e riso che da secoli fanno parte dell'alimentazione umana» spiega Wu. «In epoca industriale i progressi in molitura e lavorazione hanno permesso la produzione di farine raffinate ottenute in gran parte dall'endosperma ricco in amido».
Crusca e germe contengono nutrienti che però vanno perduti con la raffinazione, e i risultati di molti studi indicano che il consumo regolare di cereali integrali riduce il rischio di disturbi cardiaci e di
altre malattie croniche come il diabete, oltre a favorire un peso equilibrato. «Meno noti e non sempre coerenti, invece, sono i dati sulla mortalità legata a una dieta ricca in cereali integrali» riprende Wu, che per provare a rispondere al quesito ha preso in esame due grandi trial osservazionali: il Nurses' health study (che tra il 1984 e il 2010 ha coinvolto oltre 70.000 infermiere), e l'Health professionals follow-up study, che ha seguito oltre 40.000 uomini per quindici anni, tra il 1986 e il 2010. Tutti i partecipanti di entrambi gli studi erano liberi da cancro e malattie cardiovascolari al momento del reclutamento. Tra loro, Wu e colleghi hanno documentato 26.920 decessi: dopo aver tenuto conto di età, fumo e indice di massa corporea, il maggiore consumo di cereali integrali è risultato associato a una minore mortalità totale e cardiovascolare, ma non a quella per cancro. «Questi dati supportano le attuali raccomandazioni delle linee guida alimentari non solo per facilitare la prevenzione primaria e secondaria delle malattie cardiovascolari, ma anche per migliorare l'aspettativa di vita» concludono gli autori.


JAMA Intern Med. Published online January 05, 2015. doi:10.1001/jamainternmed.2014.6283