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08 dicembre 2024

Lipedema: Analisi Clinica completa basata su uno Studio Osservazionale su una popolazione italiana


Il lipedema è una patologia cronica e debilitante caratterizzata da un accumulo anomalo di grasso sottocutaneo, principalmente a livello degli arti inferiori e, meno frequentemente, superiori. Spesso confuso con altre condizioni come l'obesità o il linfedema, il lipedema è una malattia ancora poco compresa, che colpisce principalmente le donne. Questo articolo si basa su uno studio osservazionale condotto su una vasta popolazione italiana, volto a fornire una comprensione più approfondita del profilo biochimico e ormonale dei pazienti affetti da questa condizione, con l'obiettivo di migliorare la diagnosi e il trattamento.



Il Contesto dello Studio

Lo studio in questione ha coinvolto un'ampia coorte di donne italiane, reclutate per investigare le caratteristiche cliniche e biochimiche del lipedema. La maggior parte delle partecipanti allo studio ha riferito una storia familiare di lipedema, suggerendo una possibile componente genetica nella sua eziologia. Tuttavia, non esiste attualmente un singolo marker genetico specifico per la diagnosi del lipedema, rendendo fondamentale l'approfondimento delle correlazioni con altri fattori metabolici e ormonali.

Manifestazioni Cliniche del Lipedema

Il lipedema si manifesta con un aumento anomalo del tessuto adiposo, spesso simmetrico, che colpisce gli arti inferiori, dalle anche fino alle caviglie, lasciando invariata la regione del piede. Questa caratteristica distingue il lipedema dal linfedema, in cui l'accumulo di liquidi coinvolge l'intero arto. Le donne affette da lipedema riportano comunemente dolore cronico, sensibilità al tatto e facilità nella formazione di ematomi. A differenza dell'obesità, il grasso lipedematoso tende a essere resistente alla dieta e all'esercizio fisico, rendendo difficile per le pazienti ridurre il volume degli arti colpiti.

Una delle sfide principali associate alla gestione del lipedema è la diagnosi tardiva. Molte pazienti ricevono diagnosi errate di obesità, il che ritarda l'avvio di trattamenti specifici. Lo studio suggerisce la necessità di sviluppare linee guida diagnostiche più chiare per aiutare i medici a riconoscere la malattia in una fase iniziale.

Correlazioni Biochimiche e Ormonali

Una delle scoperte chiave di questo studio riguarda la forte correlazione tra il lipedema e condizioni metaboliche come l'insulino-resistenza. Le donne affette da lipedema hanno mostrato livelli elevati di insulina nel sangue, suggerendo un legame tra il disordine del tessuto adiposo e la regolazione dell'insulina. Questa correlazione apre nuove strade per comprendere meglio la patogenesi del lipedema e sviluppare terapie più mirate.

Inoltre, molte pazienti hanno riportato disfunzioni tiroidee, in particolare ipotiroidismo. Questo supporta l'ipotesi che il lipedema non sia solo un disturbo del tessuto adiposo, ma una condizione sistemica che coinvolge il metabolismo e il sistema endocrino. Le disfunzioni ormonali osservate in molte pazienti suggeriscono che il trattamento del lipedema potrebbe trarre beneficio da un approccio integrato che includa la gestione delle disfunzioni endocrine.

Proposte per la Gestione Clinica

Alla luce dei risultati dello studio, gli autori propongono un approccio multidisciplinare alla gestione del lipedema. Questo dovrebbe includere non solo interventi estetici o chirurgici, ma anche la valutazione e il trattamento delle comorbilità metaboliche e ormonali. Ad esempio, il trattamento dell'insulino-resistenza potrebbe contribuire a ridurre i sintomi del lipedema e migliorare la qualità della vita delle pazienti.

Tra le opzioni terapeutiche conservatrici, lo studio suggerisce l'uso della terapia compressiva, che può aiutare a ridurre il dolore e il gonfiore associati alla malattia. Tuttavia, si sottolinea che questo tipo di trattamento non influisce direttamente sull'accumulo di grasso lipedematoso, rendendo necessario combinare la terapia compressiva con altri interventi, come la terapia ormonale o la chirurgia, in base alle necessità individuali delle pazienti.

Un altro aspetto importante evidenziato dallo studio è l'impatto psicologico del lipedema. Molte pazienti riportano sentimenti di frustrazione e depressione a causa dell'aspetto fisico alterato e della scarsa risposta della condizione ai trattamenti tradizionali per la perdita di peso. Gli autori dello studio sottolineano quindi l'importanza di includere supporto psicologico nell'approccio terapeutico, aiutando le pazienti a gestire l'impatto emotivo della malattia.

Prospettive Future e Conclusioni

Lo studio suggerisce diverse aree di ricerca futura. In primo luogo, è necessario approfondire l'indagine sulle cause genetiche del lipedema, per identificare potenziali biomarcatori che possano facilitare una diagnosi più rapida e accurata. Inoltre, è essenziale continuare a esplorare il ruolo delle disfunzioni ormonali e metaboliche nella patogenesi della malattia, per sviluppare terapie più efficaci e mirate.

In conclusione, il lipedema è una condizione complessa che richiede un approccio integrato e multidisciplinare per una gestione efficace. Lo studio osservazionale condotto sulla popolazione italiana ha fornito nuove importanti informazioni sul profilo clinico, biochimico e ormonale delle pazienti affette, aprendo la strada a nuovi approcci terapeutici. La diagnosi precoce e un trattamento personalizzato, che tenga conto delle comorbidità metaboliche e ormonali, sono essenziali per migliorare la qualità della vita delle pazienti e ridurre il carico della malattia.

Per chi volesse leggere lo studio originale ecco il link

https://www.mdpi.com/1422-0067/25/3/1599

20 gennaio 2022

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13 settembre 2021

Lipedema: una patologia reale? articolo scritto dalla dott.ssa Cacciola Maria Stella - biologa nutrizionista

 Lipedema: È una patologia reale? Cosa possiamo fare per riconoscerlo e curarlo?

  








 

 Questo articolo nasce per divulgare questa affezione, il Lipedema, che, se pur non abbia ancora il riconoscimento di patologia, acquisisce giornalmente connotati sempre più chiari e scientificamente validati e nella speranza che sempre più i medici, specialmente quelli di medicina generale ed i pediatri guardino con occhi diversi le giovani donne e le adolescenti con problemi di sovrappeso e con squilibri ormonali, in modo particolare tutte quelle con familiarità per Obesità Ginoide aggravata da Linfedema giacché oggi ci sono prove serie sulla “ereditarietà” o comunque sulla predisposizione genetica del Lipedema, quasi esclusivamente in linea femminile.

     Mi sembra necessario chiarire subito i fondamenti di questa affezione per aiutare almeno a dare una connotazione chiara. 

    A tal riguardo preferisco utilizzare una definizione semplice e completa che ho trovato e che di seguito cito: “Il Lipedema è un disturbo cronico progressivo che colpisce quasi esclusivamente le donne. Clinicamente, è caratterizzato da una distribuzione anomala del tessuto adiposo, con conseguente sproporzione pronunciata tra estremità e tronco. Tale sproporzione è causata da un aumento localizzato e simmetrico del tessuto adiposo sottocutaneo negli arti inferiori e/o superiori. Altre scoperte includono edema (aggravato dall'ortostasi), nonché facile ecchimosi a seguito di traumi minori e, tipicamente, aumento della dolenzia con la pressione”

    Oggi è più facile diagnosticare il Lipedema ed aiutare efficacemente chi ne è affetto per l’esistenza di Linee Guida e Documenti di Consenso Statunitensi ed Europei per cui molti professionisti hanno intrapreso percorsi di formazione per la diagnosi ed il trattamento specifico. 

    Un aspetto da non trascurare è, purtroppo la mancanza ancora di un approccio integrato e coordinato fra più figure professionali ed il riconoscimento come patologia dal SSN. 

    In questo momento purtroppo, le donne affette da Lipedema, sono infatti tristemente consapevoli di avere poche possibilità di veder migliorare la propria situazione patologica proprio per la mancanza di strutture adeguate e convenzionate con il SSN. Questa importante lacuna nell’offerta sanitaria pubblica, non fa altro che addossare la gestione e la cura della patologia sulle sole spalle delle donne che ne soffrono e delle loro famiglie, esponendole a sacrifici di natura sia economica che psicologica. 

    È fondamentale che la Sanità territoriale acquisisca piena consapevolezza del problema e che gli stessi medici di famiglia si aggiornino al meglio su questa patologia che ha spesso un esordio precoce.

    Recenti studi condotti dal gruppo di lavoro del Pr Sandro Michelini, Ospedale San Giuseppe di Marino (RM), hanno portato ad una scoperta illuminante in tal senso: sarebbe proprio un gene, e sicuramente anche più di uno, infatti, ad avere una corresponsabilità determinante nell’esordio della patologia e questo è evidente anche alla luce del riconoscimento della patologia anche in ben 4 generazioni di donne della stessa famiglia senza coinvolgimento se non come portatori sani dei maschi della stessa.

    Approcciarla in modo serio e documentato diventa quindi fondamentale per giungere quanto più precocemente possibile ad una diagnosi definitiva che consenta a tutte le giovani donne di intraprendere un percorso corretto e personalizzato al fine di contenere al meglio i sintomi e l’evoluzione.

    L’approccio terapeutico ottimale al Lipedema è sostanzialmente, almeno in gran parte, contenitivo ed è quindi basato sul trattamento nutrizionale, il linfodrenaggio manuale di tipo Vodder, i bendaggi e l’elastocompressione. Chiaramente tutti questi trattamenti vanno personalizzati ed eseguiti da personale altamente specializzato e con documentata esperienza.

    Il punto estremo e finale rimane ancora oggi purtroppo la terapia chirurgica specializzata che comunque oggi è sempre più integrata con gli altri approcci terapeutici.

    Attualmente la dieta insieme con l’attività fisica moderata e personalizzata, il massaggio Vodder  e l’elastocompressione possono essere molto importanti per il controllo dell’affezione sin dall’esordio, che solitamente avviene nel periodo adolescenziale con aggravamenti in gravidanza e in menopausa.

 La dieta chetogenica e la dieta Low Carb, ben conosciuta come DIETA RAD (Rare Adipose Disorders),  con un basso apporto di carboidrati, in particolare da cereali, frutta e patate e particolarmente incentrata sull’utilizzo di carni bianche, uova, pesce, legumi e verdure fresche di stagione, oggi è riconosciuta a livello internazionale ed ha come obiettivo specifico soprattutto quello di regolare i livelli di insulina e ridurre l’infiammazione mirando quindi ad un riequilibrio ormonale.

     Il compito attuale e principale della dietoterapia moderna consiste prevalentemente nella regolazione e controllo dei livelli di insulina, in considerazione soprattutto della testimonianza dei tanti studi scientifici che correlano  l’infiammazione alla gran parte delle patologie a carattere cronico e all’iperinsulinemia prima e al diabete successivamente, determinati dall’eccesso di carboidrati presenti nell’alimentazione quotidiana. 

    Risulta importante consumare in modo ridotto cibi confezionati e prodotti alimentari “industriali” che sono eccessivamente carichi di zuccheri, di grassi trans e dei cosiddetti “interferenti endocrini”, sostanze queste ultime dimostrano di interferire con l’equilibrio ormonale naturale e nel tempo arrivare a provocare diabete e patologie endocrine.

    Credo profondamente che solo la diagnosi precoce del Lipedema possa garantire nuove ed affidabili prospettive di cura a tutte le donne che ne hanno bisogno. 

a cura della
dott.ssa Cacciola Maria Stella - biologa nutrizionista 


10 giugno 2017

CONOSCI LA DIETA CHETOGENICA? articolo della dott.ssa Cacciola Maria Stella


Qualche giorno fa mi hanno chiesto di scrivere un articolo sulla Dieta Chetogenica per aiutare tutte le persone che vorrebbero saperne di più e per far capire loro di cosa si tratta.
Ci chiediamo? E‘ una dieta iperproteica? Può fare male alla salute? E‘ difficile da seguire? La possono fare tutti tranquillamente da soli?
Ed ancora, ma non sarebbe meglio seguire la buona e vecchia Dieta Mediterranea? Non sarà la solita americanata?
Ecco certamente le domande che ci poniamo sono tante e vedremo di rispondere in modo semplice e completo. Io credo che solo dalla buona conoscenza può nascere la buona salute!
Pensate un po‘! la Dieta Chetogenica nasce nel 1920 dalle osservazioni fatte da due pediatri, Rollin Woodyatt e Mynie Paterman, che lavoravano con i bambini colpiti da Epilessia. Questa dieta dimostra infatti di ridurre gli attacchi epilettici sia nei bambini che negli adulti che non rispondono ai trattamenti farmacologici.
E già! Si tratta quindi di un vero trattamento terapeutico che via via ha trovato impiego anche nei soggetti con terribili emicranie.
Ma cerchiamo di capire meglio cosa è e come deve essere fatta ed anche a chi è utile, oltre a coloro che abbiamo detto prima.
La Dieta Chetogenica viene definita normo proteica, normolipidica ed ipoglucidica, cioè in questa dieta si riducono drasticamente tutti gli alimenti del gruppo dei carboidrati, non solo si elimina lo zucchero ma anche pane, pasta, riso, cereali, farine di cereali prodotti che ne contengono anche piccolissime quantità, frutta e persino alcune verdure. In questo modo si costringe il proprio corpo ad utilizzare prima le riserve di zucchero che possiede sotto forma di glicogeno, prevalentemente nel fegato e nei muscoli, successivamente il corpo è costretto a trovarsi un’altra fonte di energia!
Ed ecco che trova i grassi, quelli depositati nel corpo e quelli introdotti con l’alimentazione. Ma i grassi per diventare materiale energetico utilizzabile dalle nostre cellule devono essere trasformati in piccoli corpi chetonici che sono un po‘ acidi ma tanto piccoli che riescono a passare dalla barriera ematoencefalica ed arrivare al cervello e fornirgli l’energia necessaria! Anzi, quando si raggiunge questo stadio, che si chiama Chetogenesi, si è molto lucidi e molto attivi come quando si è bevuto un bel caffè doppio!
Chiaramente se si tolgono tutti i carboidrati e non si sa quanti grassi e quanti cibi proteici consumare si rischia di danneggiare il proprio organismo provocando scompensi che possono danneggiare i reni ed il fegato.
Ho detto prima che questa dieta è normo proteica, cioè bisogna consumare un quantitativo specifico per ciascuno di noi di cibi proteici, come carni, uova, formaggi, pesce ecc.., e bisogna sapere anche quanti grassi utilizzare e quali tipi, ed anche questo dipende dal motivo per cui si utilizza questo regime alimentare.
Esistono due diversi approcci alla dieta Chetogenica:
Uno è quello che la vede utilizzata per ridurre ed anche eliminare attacchi epilettici e crisi emicraniche, l’altro è quello del dimagramento in casi di importate obesità ed in special modo in soggetti candidati alla chirurgia bariatrica, cioè quella chirurgia che riduce lo stomaco per ridurre l’assunzione di cibo nei grandi mangiatori voraci. In questi casi si utilizza un Protocollo dietetico medico VLCKD (Very Low Calory Ketogenic Diet), ideato nel 1971 dal Prof. Blackburn dell’Università di Harvard.
Se qualcuno vuole utilizzare la Dieta Chetogenica per dimagrire pochi chili dovrà fare attenzione ad utilizzare pochissimi grassi ma se ha anche il colesterolo alto ed i trigliceridi mossi dovrà utilizzare solo grassi come l’olio d’oliva extravergine.
Questa dieta è molto utile per chi deve dimagrire molto oppure per chi ha un’intolleranza ai carboidrati ed ancora per chi vuole dimagrire in modo localizzato.
Però è bene che sia studiata da un professionista che valuti tutti i parametri mediante analisi del sangue e test impedenziometrico, per calcolare la massa grassa e quella magra, così da ottenere una perfetta personalizzazione della dieta con il massimo dei risultati senza rischi per la salute.

16 maggio 2017

Cancro al seno: la soia riduce il rischio

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Negli ultimi anni si sono aperte varie controversie sui cibi a base di soia, anche tra i professionisti della salute, aggravate dalla disinformazione veicolata via Internet. Caposaldo delle erronee tesi è l’idea che gli alimenti a base di soia favoriscano lo sviluppo del cancro al seno, poiché contenenti isoflavoni (classe di composti fitoestrogeni). Dal momento che gli estrogeni possono promuovere la crescita del cancro al seno, è stato ipotizzato che troppi fitoestrogeni possano avere il medesimo effetto: ma l’ipotesi è errata, in quanto non tiene conto del fatto che ci sono due tipi di recettori per gli estrogeni nell’organismo umano, alfa e beta, che hanno una diversa distribuzione nei tessuti, diversa funzione e spesso agiscono in modo opposto. I fitoestrogeni della soia preferenzialmente legano e attivano i recettori beta. Questo sembrerebbe essere proprio il caso dei tessuti della mammella, ove l’attivazione dei recettori beta mostra un effetto anti-estrogenico, inibendo gli effetti di promozione della crescita riferibili agli estrogeni. Infatti gli effetti dell’estradiolo, estrogeno naturalmente prodotto dal nostro organismo, sono opposti a quelli dei fitoestrogeni, che hanno effetti antiproliferativi sulle cellule del cancro al seno anche a basse concentrazioni; tali effetti si manifestano già con l’assunzione di una sola tazza di fagioli di soia, mostrando una significativa attivazione del recettore beta. L’ipotesi che i fitoestrogeni potessero essere causa di proliferazione di cellule tumorali si basa su studi eseguiti su topi, dai quali si evince che la genisteina (il fitoestrogeno principale della soia) stimola la crescita del tumore al seno… ma l’essere umano metabolizza gli isoflavoni in modo differente, e questa dunque non è altro che l’ennesima dimostrazione dei danni al progresso scientifico causati dalla sperimentazione sugli animali. La possibile attivazione di recettori alfa da parte della soia può presentarsi solo a fronte di assunzioni del tutto irrealistiche di questo alimento (ad esempio 58 tazze al giorno di fagioli di soia!), ma con porzioni normali l’attivazione a cui si va incontro è quella dei recettori beta, aventi effetti protettivi. Infatti le donne che nell’infanzia, adolescenza ed età adulta hanno assunto soia mostrano un ridotto rischio di tumore al seno. Questi dati potrebbero spiegare perché l’incidenza di tumore al seno è più alta in Occidente che in Asia e il motivo per cui proprio le donne asiatiche americanizzate, con un’alimentazione occidentale presentino un rischio notevolmente superiore di sviluppare tumore al seno. Oltre a queste evidenze, nel 2009 nel Journal of the American Medical Association è stato pubblicato il primo studio che confronta l’assunzione di soia con l’incidenza di tumore al seno, sugli esseri umani: “in numerose donne con cancro al seno, il consumo di alimenti di soia era significativamente associato con una diminuzione del rischio di morte e di recidiva”. Questo studio è stato seguito da altri, tutti riportanti le stesse conclusioni, tali da far produrre una serie di linee guida dall’American Cancer Society, a favore dell’utilizzo di prodotti a base di soia nelle pazienti sopravvissute al tumore al seno. Esistono 5 studi in merito, che prendono in esame più di 10.000 pazienti affette da cancro al seno e i risultati sono unanimi nell’evidenziare una riduzione della mortalità e di recidiva grazie all’assunzione di soia. Cancro al seno: la soia riduce il rischio katemangostar / Freepik 2 Un altro aspetto è legato alle donne che presentano i geni del cancro al seno (anche se meno del 10% dei casi di cancro al seno presenta una familiarità genetica), la cui espressione è causa di una mutazione di uno dei geni oncosoppressori (BRCA1 o BRCA2) che difendono l’integrità dei nostri geni; quando uno di essi è danneggiato o presenta mutazioni, può esporci maggiormente allo sviluppo del cancro. Se fino a poco tempo fa le raccomandazioni dietetiche per le persone con mutazioni a carico di questi geni miravano a ridurre i danni da radicali liberi a carico del DNA, consigliando di assumere importanti quantità di frutta e verdura ricche di antiossidanti, oggi un’ulteriore protezione potrebbe derivare dall’aumento dell’azione dei BRCA. Infatti, in vitro si è visto che i fitoestrogeni della soia potrebbero rispristinare la funzione di protezione dei BRCA, con una “riregolazione” dell’espressione di questi fino al 1000% in 48 ore. Questo sembrerebbe poter essere traslato anche in vivo, poiché si è evidenziato che l’assunzione di soia in persone a rischio di tumore al seno ha comportato una riduzione del rischio del 27% con normali geni BRCA e del 73% in portatori di mutazioni del gene BRCA. D’altro canto, il consumo di carne in pazienti con mutazioni del gene BRCA ha comportato un aumento del rischio del 97% (e del 41% in chi non mostra questa mutazione). 

Fonti: “Is Soy Healthy for Breast Cancer Survivors?”, Nutrition Facts, 1 febbraio 2017 https://nutritionfacts.org/video/ is-soy-healthy-for-breast-cancer-survivors/ “Should Women at High Risk for Breast Cancer Avoid Soy?”, Nutrition Facts, 3 febbraio 2017 http://nutritionfacts.org/video/ should-women-at-high-risk-forbreast-cancer-avoid-soy/

Tratto da Quaderni di Scienza Vegetariana maggio 2017 www.scienzavegetariana.it

04 febbraio 2017

Acne e nutrizione: facciamo il punto

Negli ultimi decenni sono stati pubblicati diversi studi, seppur con caratteristiche diverse, che mettono in luce la relazione tra nutrizione e acne. In Germania con questo lavoro si è voluto valutare la qualità, in termini di ampiezza del campione alimentare e della progettazione, di quanto oggi reperibile in letteratura. Prima conclusione a cui giungono gli autori è che l'attuale sistema di raccolta delle prove relative agli effetti della nutrizione sulle malattie della pelle può essere migliorato soprattutto per ciò che riguarda la metodicità nell'indagare i cambiamenti di abitudini alimentari per sesso ed età dei soggetti che partecipano agli studi di efficacia dei farmaci. Tuttavia, nel rivedere la recente letteratura scientifica, alcuni punti fermi si possono mettere: latte e alimenti con un alto carico glicemico sono i migliori candidati come responsabili dell'innesco del processo acneico, anche se i dati raccolti non permettono comunque di impostare raccomandazioni nutrizionali. Per l'acne sono stati presi in esame oltre 140 alimenti e, all'interno di questo numero, ne esistono una ventina (tra cui latte, cioccolato, formaggio e formaggio light, carboidrati ad alto indice glicemico, pizza) che sono stati valutati in diversi studi presi in esame: questo elenco può, secondo gli autori, essere di aiuto ai professionisti per fornire raccomandazioni ai pazienti con questa problematica dermatologica. Dato il numero sempre crescente di persone che si trovano a dover fare i conti con questa problematica e la crescente evidenza del ruolo della nutrizione in ambito dermatologico, varrebbe la pena partire dai risultati di questa review per progettare uno studio nutrizionale caratterizzato dai criteri più attuali di rigore metodologico.

Bibliografia:
Acta Derm Venereol. 2017 Jan 4;96(7):7-9.

Silvia Ambrogio


http://www.nutrizione33.it/cont/aggiornamento-scientifico/articoli/29963/acne-nutrizione-facciamo-punto.aspx#.WJWpU9LhCHs 

30 settembre 2016

Prebiotici ad alta specificità per lattobacilli e bifidobatteri

da DOTT. F.DI PIERRO il 28 FEBBRAIO 2013



L’intestino di un soggetto adulto ospita circa 500 specie unicellulari. Queste, quasi tutte batteriche, vengono identificate come ‘flora’ o ‘microflora’ intestinale con funzioni fondamentali e vitali per il benessere e la sopravvivenza stessa dell’individuo.
L’intestino umano, sterile alla nascita, viene rapidamente colonizzato da microrganismi (piogeni, patogeni, funghi e altri più rari organismi unicellulari) fino ad ammontare, in un individuo adulto, a circa 1014 cellule vive.
Lo sviluppo della flora intestinale segue uno schema ben noto: all’inizio l’intestino è sterile nell’utero materno, e subisce la prima contaminazione per via orale a partire dalla flora vaginale materna. Tra il 20° giorno dalla nascita, e fino al 4°-6° mese di vita, si sviluppa una flora primariamente costituita da bifidobatteri. Con lo svezzamento si assiste ad una lenta transizione che condurrà infine il giovane intestino ad una composizione  sovrapponibile a quella  tipica di un soggetto adulto.
Una volta stabilizzata nell’intestino adulto, la flora risulterà essere piuttosto segmento-specifica lungo l’asse gastrointestinale: lo stomaco, con meno di 104 microrganismi totali/ml, conterrà essenzialmente i generi candida, helicobacter, lattobacillus e streptococcus; il duodeno e il digiuno (circa 104 /10 5 cellule totali/ml) conterranno bacteroides, candida, lattobacillus e streptococcus; l’ileo (circa 107 /108 cellule totali/ml) conterrà bacteroides, clostridium, enterococcus, lattobacillus e veillonella; il colon (circa 1010/1011 cellule totali/ml) conterrà bacteroides, bacillus, bifidobacterium, clostridium, enterococcus, eubacterium, fusobacterium, peptostreptococcus, ruminococcus, streptococcus.
Un’analisi numerica, non segmento-specifica, consente invece di evidenziare le popolazioni in relazione alla loro presenza quantitativa totale. In base a quest’analisi riconosciamo: 1010 bacteroidi
(organismi patogeni solo nei tessuti al di fuori dell’ambito intestinale); 109 bifidobatteri; 109 eubacteriaceae (tra cui coliformi e clostridi non necessariamente patogeni); 109 streptococchi e 108 batteri lattici. Nel loro insieme compongono la microflora.
Per quanto concerne il trattamento prebiotico, è potenzialmente possibile costituire uno strumento preventivo-terapeutico per le disbiosi in genere, tenendo in attenta considerazione i rapporti quantitativi tra bifidobatteri e batteri lattici che, nel loro insieme, sono il reale bersaglio del trattamento prebiotico (Composizione prebiotica ad alta specificità per lattobacilli e bifido batteri in prevenzione e trattamento delle alterazioni della flora intestinale, F. Di Pierro, A. Callegari, M. Speroni, R. Prazzoli, G. Rapacioli, L’ Integratore Nutrizionale 2009, 12 ).
Largamente riconosciuti dalla comunità scientifica come in grado di influenzare positivamente il benessere intestinale inteso come capacità immunologica, digestiva, di transito, anti-stipsi, anti-diarroica e di assorbimento dei nutrienti, bifidi e lattobacilli possono essere infatti ‘alimentati’ ricorrendo all’uso di fibre prebiotiche, costituendo queste un vero e proprio substrato nutritizio solo per queste due specie batteriche.
Secondo la definizione del Ministero della Salute ‘le fibre prebiotiche sono sostanze non digeribili di origine alimentare che, quando assunte in quantità adeguata, favoriscono selettivamente la crescita e l’attività di uno o più batteri già presenti nel tratto intestinale o che vengono assunti insieme al prebiotico’.
Fibre prebiotiche scientificamente documentate, e quindi impiegabili in sicurezza, per uso umano sono: l’inulina, i galatto-oligosaccaridi  (GOS), i frutto-oligosaccaridi (FOS), il lattosaccarosio, le pirodestrine, i soia-oligosaccaridi, i trans-galatto-oligosaccaridi, gli isomalto-oligosaccaridi, il lattilolo, il lattulosio, gli xilo-oligosaccaridi e il polidestrosio.
  • Fibre bifido-specifiche.
L’inulina è una miscela di oligosaccaridi caratterizzata dalla presenza di fruttosio polimerico a 10-12 subunità (legame beta-2-1-glucosidico); è presente in natura e rintracciabile, ad esempio, nella radice di Cichorium intybus (la comune cicoria) e in altre specie vegetali. L’inulina è una fibra bifido-specifica.
GOS sono invece oligomeri del galattosio (epimero del glucosio), ma anch’essi mostrano elevata ceppo-specificità verso i bifidobatteri.
FOS sono polimeri a corta catena, contenenti alternanza di D-fruttosio e D-glucosio (3-5 subunità). Anche i FOS sono fibre bifido-specifiche.
  • Fibre lattobacillo-specifiche.
Gli isomalto-oligosaccaridi (IMO) sono polimeri dell’isomalto, a sua volta disaccaride costituito da glucosio e mannitolo, fermentabili anche, e principalmente, dai batteri lattici.
Il lattilolo e il lattulosio sono fibre disaccaridiche analoghe (D-lattosio e D-fruttosio) ottenute per via semi-sintetica e normalmente impiegate nel trattamento della costipazione e dell’encefalopatia epatica. Sono anch’esse fermentabili anche dai lattobacilli ad acidi organici a corta catena (lattato, acetato, butirrato e propinato).
Infine il polidestrosio, polimero del destrosio, che è invece particolarmente fermentabile dai batteri lattici.
Già da questa elencazione è possibile notare un certo grado di specificità, per genere, in favore delle fibre con caratteristiche di bifidogenicità, almeno in termini numerici. La conoscenza di questa caratteristica però non è sufficiente per elaborare, sotto il profilo teorico, un optimum nutrizionale prebiotico.
Altre caratteristiche devono infatti essere considerate: il rapporto numerico tra le popolazioni, la loro locazione specifica (soprattutto a livello di colon ascendente, trasverso e discendente) e il grado di fermentabilità di una determinata fibra nei diversi acidi organici a corta catena.
  • Correlazioni numeriche necessarie alla corretta formulazione della miscela prebiotica.
Come già detto, in un intestino sano i due ceppi, bifidobacterium e lattobacillus, coesistono in rapporto 10:1: di conseguenza i componenti prebiotici bifidogenici e lattogenici dovranno essere opportunamente miscelati in rapporto 10:1 così da riprodurre le naturali proporzioni intestinali.
Tra i bifidogenici, particolare attenzione deve essere rivolta soprattutto ai rapporti tra inulina, GOS e FOS; nell’insieme tali fibre risultano essere la scelta d’elezione, se non altro per mole di documentazione disponibile in ambito clinico.
Degno di nota e rilievo, GOS e FOS sono naturalmente presenti, in rapporto 9:1, nel latte materno. Questo rapporto deve essere ritenuto  fondamentale, e quindi mantenuto invariato, se si considera il latte materno come il primo elemento dietetico naturale formante la microflora intestinale bilanciata del neonato.
In considerazione del fatto che GOS e FOS hanno tempi di fermentabilità più brevi, e quindi teoricamente vengono scisse nella prima porzione del colon, rispetto all’inulina, a sua volta fermentata specialmente nel tratto finale di quest’ultimo, la miscela GOS/FOS dovrà risultare in rapporto 1:1 con l’inulina.
Essendo inoltre bifidobatteri e lattobacilli bilanciati, in un intestino sano, in rapporto 10:1, la quota di fibra bifidogenica dovrà essere in rapporto 10:1 con quella lattogenica.
Nel formulare quest’ultima, la miscela con caratteristiche di lattogenicità, bisognerà poi valutare la necessità di avere fibre capaci di determinare da parte loro una equa e proporzionata produzione di acidi organici a corta catena, avendo questi (butirrato, propionato, acetato e lattato) un ruolo trofico per l’epitelio intestinale e anti-patogenico differente. In questo senso la miscela di fibre funzionalmente più attiva è costituita dalla miscelazione, in rapporto 2:1:1, di isomaltooligosaccaride:lattulosio:polidestrosio.
  • Composizione e sicurezza della miscela prebiotica.
Sulla base di quanto fin qui descritto, e con l’obiettivo di ottenere un formulato ad azione prebiotica specifica, è stata sviluppata una miscela costituita da: inulina, GOS, FOS, isomalto-oligosaccaride, lattulosio e polidestrosio.
Su tale formulato, oggetto di brevetto, è stato condotto uno studio di  tossicità orale acuta (dose  fissa) somministrando una dose di 2000 mg/kg/per os ad un gruppo di 5 ratti femmina (SD) mediante sondino gastrico. Secondo i risultati di tale studio la miscela prebiotica risulta priva di tossicità.
Il preparato prebiotico in oggetto è stato sottoposto ad indagine clinica pilota ambulatoriale su 10 pazienti con diagnosi di sindrome del colon irritabile (IBS) già trattata con un preparato a base di olio essenziale di menta microincapsulato e risolta, almeno in termini di manifestazione dolorosa, ma nei quali sussisteva ancora un’evidente produzione di gas intestinale con discomfort e possibile  evidenza di alvo alterno, diarrea e stipsi in linea con un quadro di disbiosi e alterazione della flora.
Questi soggetti (8 femmine e 2 maschi) di età compresa tra i 18 e i 55 anni, in assenza di ulteriore diversa terapia, sono stati trattati con una bustina di prodotto al giorno, al mattino a stomaco vuoto, per 14 giorni.
Ad inizio e fin  trattamento, mediante scala analogico visiva di Scott-Huskisson (score tra 0 e 10), è stata eseguita una valutazione sintomatologica. Da tale valutazione si evince come il prodotto, dopo 14 giorni di terapia riduca sensibilmente la produzione di gas intestinali ed il discomfort conseguente, contrastando efficacemente anche i quadri di alvo alterno e diarrea e, parzialmente, quelli di stipsi che residua evidente in un paziente su due.
Il prodotto inoltre è risultato ben tollerato e, tranne un episodio di cefalea, non sono stati registrati segni avversi sicuramente imputabili al trattamento e, di conseguenza, nessun caso di abbandono è stato registrato.
  • Conclusioni.
Le alterazioni della flora intestinale, secondarie ad IBS, antibiotico-terapia, sbilanciamenti dietetici, stress, colite, diarrea ad eziologia varia, etc, vengono oggi trattate principalmente con farmaci (principalmente OTC) e/o integratori alimentari contenenti ingredienti probiotici e/o prebiotici.
Nonostante i probiotici abbiano nella scarsa vitalità dei ceppi impiegati nel formulato finito, sempre più spesso rivendicato come ‘stabile’ anche a temperatura ambiente, il loro grande limite, i prebiotici vengono, nella maggior parte dei casi, considerati complementi di formula che consentono semplicemente al prodotto probiotico di essere rivendicato come simbiotico grazie alla loro presenza.
Al contrario, oltre ad essere un valido principio attivo, le fibre prebiotiche hanno il grande vantaggio di essere facilmente stabilizzate all’interno del formulato finito.
Per esse, inoltre, non deve essere verificata la vitalità dopo il superamento della barriera gastrica  e di quella biliare e, soprattutto, non devono essere eseguiti test per verificarne la capacità colonizzante. Anche lo svantaggio, non certo loro esclusivo, di provocare gonfiore, meteorismo e flatulenza può essere poi modulato razionalizzando i dosaggi e le posologie giornaliere.
Nonostante ciò, l’attivo a funzione prebiotico non viene considerato con l’attenzione che, quindi, meriterebbe.
Con una evidente inversione di tendenza, il nostro gruppo di ricerca (Velleja Research) ha sviluppato un preparato a base di fibre prebiotiche partendo dalla considerazione che queste sono nutrizionalmente valide esclusivamente per ceppi di bifidobatteri e lattobacilli che, a loro volta, colonizzano l’intestino sano secondo un determinato rapporto.
La miscela prebiotica formulata è frutto di tutte queste considerazioni e, per questo, è da considerarsi il primo esempio nutrizionale di miscela di fibre prebiotiche sviluppata per un’azione specifica sulla microflora intestinale residente.

17 settembre 2016

Nutraceutica Con le Alghe




L’alimentazione nutriceutica con le alghe è un metodo di prevenzione e riequilibrio psico-fisico ed energetico.
Consiste nell’assunzione sistematica e razionale di alghe marine e microalghe allo scopo di apportare all’organismo micronutrienti essenziali alla riattivazione e al corretto funzionamento delle funzioni cellulari e dei processi metabolici.
L’alimentazione nutriceutica con le alghe ha lo scopo di bilanciare la nutrizione incrementandone l’aspetto qualitativo e può essere di per se sufficiente a risolvere rapidamente alcuni aspetti patologici sintomatici, oppure fungere da rimedio diatesico (es. diatesi linfatica) e del terreno, piuttosto che di correzione dismetabolica.
L’alimentazione nutriceutica con le alghe offre un’opportunità a:
  • individui  sani che desiderano aumentare le probabilità di rimanere in salute per il resto della vita;
  • persone disposte a cambiare modo di vita e di alimentazione per conseguire uno stato di buona salute;
  • persone che già soffrono di malattie o di problemi fisici e mentali.

Quest’ultimo gruppo di persone potrà praticare l’alimentazione nutriceutica con le alghe come terapia, mentre per i primi due gruppi i programmi saranno integrati nel contesto di una medicina squisitamente preventiva.
Le malattie dovute ad un eccesso o a un difetto di alimentazione sono provocate dalla malnutrizione. Si può parlare quindi di malnutrizione per eccesso di apporto nutritivo (obesità, diabete e ipertensione), per difetto (gozzo, rachitismo e anemia), e per squilibrio (malattie cardiovascolari, tumori e carie dentali). Un malassorbimento delle sostanze nutritive può causare la Celiachia. Ci sono poi malattie provocate da disturbi psicologici che portano ad un cattivo rapporto col cibo come l’Anoressia e la Bulimia.
Gli squilibri biochimici che derivano da una nutrizione che nel corso di molte generazioni si è mantenuta scorretta, vengono espressi geneticamente come debolezze di uno specifico processo dell'organismo. Se i geni determinano la predisposizione a particolari problemi di salute, il lungo processo necessario perchè si manifesti una malattia cronica degenerativa può venire favorito, ma anche bloccato, dalle condizioni ambientali (cibo, aria, acqua, luogo) e dallo stile di vita (stress, fumo, attività fisica, ecc...). Pertanto a determinare se una predisposizione può trasformarsi in autentico fattore di rischio, dipende dalle consuetudini di vita del singolo.
L'inquinamento ambientale e l'impoverimento nutrizionale degli alimenti causato dalle coltivazioni intensive, concimazioni chimiche, raffinazioni, additivi vari, mangimi scadenti, sono eventi piuttosto recenti che non hanno dato tempo all'uomo di adattarsi perché i geni hanno bisogno di molto tempo per evolversi. L'alimentazione dell'uomo moderno abbonda di calorie vuote e lo stress, che aumenta il fabbisogno di micronutrienti, fa parte della vita quotidiana; pertanto le carenze sono molto diffuse e una cellula malnutrita funzionerà sempre più lentamente fino a deteriorarsi. I fenomeni ossidativi che si accumulano nelle cellule e l'acidosi tissutale sono la causa di molte malattie degenerative e dell'invecchiamento precoce. Gli antiossidanti alimentari e i cibi alcalini (come sono in particolar modo le alghe) svolgono un ruolo essenziale nel mantenimento dell'integrità della cellula. Le sostanze derivanti dall'alimentazione sono in grado di influenzare l'equilibrio cellulare e quindi anche dei sistemi che regolano l'intero organismo. Introducendo quotidianamente nell’organismo le alghe come cibo funzionale si mettono le cellule che compongono il corpo umano incondizione di funzionare al meglio delle loro possibilità consentendo di raggiungere il massimo potenziale di salute.
La natura non fornisce mai micronutrienti isolati, ma solo complessi sinergici, armonici, sì da ottenere il massimo dei risultati con il minimo degli sforzi.
I micronutrienti delle alghe non sono farmaci e neppure integratori. Essi sono, veri e propri alimenti che la natura ha adattato alle esigenze delle cellule viventi attraverso centinaia di milioni di anni di evoluzione.
Con i micronutrienti delle alghe quindi non si hanno controindicazioni; non sono minimamente pericolosi, non danno reazioni collaterali, non creano assuefazione, non producono fenomeni di sommazione nè di interazione con farmaci, prodotti medicinali omeopatici, fitoterapici o floriterapici  che si stanno assumendo.
Se si forniscono costantemente all'organismo tutti i micronutrienti essenziali in quantità ottimale si potenzia l'attività dei sistemi enzimatici. Pertanto si può regolarizzare ed accresce l'azione degli ormoni, aumentare l'efficacia dei sistemi di difesa (sistema immunitario ed altri) e di ricostituzione dei tessuti, l'efficienza di tutti gli organi ed apparati dell'organismo. Si può avere addirittura una rigenerazione delle cellule e un vero e proprio ringiovanimento.
I micronutrienti delle alghe (veri e propri alimenti) sono oggi il mezzo più potente e più naturale per prevenire le disfunzioni ed il logorio dell'organismo, per prolungare la vita mantenendosi in buona salute.
Con l'assunzione regolare di tutti i principali micronutrienti si possono rafforzare le difese dell'organismo e la sua efficienza. L'organismo stesso provvederà, con i mezzi fornitigli dalla natura, ad eliminare le disfunzioni che lo affliggono o a tenerle a bada in modo da poter vivere meglio. E' per questo motivo che i micronutrienti servono, indirettamente, per combattere malattie assai diverse fra di loro, anche contemporaneamente.
L’integrazione nutriceutica con le alghe permette di raggiungere il massimo potenziale di salute utilizzando le molecole di cui è composto il corpo e che si trovano negli alimenti, essendo esse veri e propri alimenti concentrati. Gli effetti della alimentazione Nutriceutica con le Alghe non sempre sono immediati perché i nutrienti influiscono sul rinnovamento delle cellule e quindi dei tessuti organici con un’azione lenta e costante.
Se effettivamente si seguono i rapporti sinergici degli elementi essenziali si dovranno assumere solo micronutrienti effettivamente naturali, solo questa condizione assicura la presenza degli elementi in quantitativi di rapporti sinergici e garantisce inoltre che le vitamine, i minerali e gli oligoelementi contenuti e quindi utilizzati siano tutti bioassimilabili. Infatti, la ricerca scientifica ha appurato che quelle vitamine, minerali, oligoelementi di sintesi, la cui catena chimica differisce da quella di estrazione naturale, non vengono riconosciute dall’organismo come utili, di conseguenza questo non le assimila correttamente. L’alimentazione Nutriceutica con le Alghe, al contrario, garantisce micronutrienti assolutamente naturali, integri e biodisponibili.
La Terapia Nutriceutica con le Alghe è stata ampiamente sperimentata per diversi anni, con risultati estremamente efficaci, sia come prevenzione che come metodo di cura integrata per il riequilibrio fisico, psichico ed energetico.
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