Studio sui topi: un lactobacillo geneticamente modificato induce tolleranza nei confronti delle cellule beta pancreatiche
Un lactobacillogeneticamente modificato preso per bocca è riuscito a “riprogrammare” il sistema immunitario in un modello animale di diabete di tipo 1, quello giovanile, e a riportare i livelli glicemici nella norma. Lo studio, europeo, vede protagonisti ricercatori dell’università di Siena e dell’università di Lovanio. I primi per l’idea, i secondi per la creazione dei lactobacilli modificati. L’interesse è alto, la pubblicazione sulla rivista americana Journal of Clinical Investigation lo conferma. E l’avvio di una sperimentazione sull’uomo già dal primo semestre del 2013 significa che i risultati sull’animale hanno aperto una strada nuova che potrebbe riportare i pancreas autodistruttivi dei diabetici di tipo 1 a ripartire come se fossero stati a riposo. Tutto ciò è accaduto nei topi Nod (un modello animale che esprime il diabete di tipo 1 come nell’uomo).
STRATEGIA – Fondamentalmente, gli studiosi sono riusciti a dimostrare che tale trattamento induce un profondo “resetting” del sistema immunitario inducendo tolleranza nei confronti delle cellule beta pancreatiche in modo sicuro, specifico e duraturo. Lo studio dimostra, infatti, che l’assunzione per via orale di Actiobiotics ingegnerizzati per rilasciare auto antigeni e molecole anti-infiammatorie a livello della mucosa intestinale rappresenta una potenziale nuova strategia terapeutica per ildiabete di tipo 1. Potrebbe funzionare. E sarebbe probabilmente più interessante, e meno costosa, di un’altra via appena sperimentata dagli scienziati statunitensi dell’university of North Carolina school of Medicine che sono riusciti ad “invertire”, con l’immunoterapia, il diabete di tipo 1 in topi geneticamente modificati per sviluppare la malattia e con diagnosi recente. Gli americani hanno utilizzato delle iniezioni di anticorpi (il lavoro è stato pubblicato su Diabetes): ne sono bastate due nei topi per mantenere la remissione della malattia a tempo indeterminato e, sembra, senza danneggiare il sistema immunitario delle cavie. Ovviamente occorrerà verificare se lo stesso accade nell’uomo, nei pazienti con diagnosi recente.
LO STUDIO – Francesco Dotta, endocrinologo e diabetologo del Policlinico “Le Scotte” di Siena, ne spiega i presupposti: «Tutto è partito da precedenti sperimentazioni fatte dal nostro laboratorio e da altri gruppi europei. In sintesi, avevamo osservato che la somministrazione per via orale di probiotici (in particolare una miscela di lactobacilli e bifidobatteri) era in grado di prevenire l’insorgenza del diabete autoimmune nel topo Nod. Tale effetto si manifestava quando il trattamento era effettuato tra la quarta e la sesta settimana di età, ossia prima della comparsa dei primi fenomeni infiammatori e della reazione autoimmune a carico delle beta-cellule (quelle che producono insulina) del pancreas. La miscela di probiotici è poi apparsa in grado di ritardare, ma non di prevenire, l’insorgenza del diabete se somministrata dopo l’ottava settimana di età, ossia successivamente alla comparsa dei fenomeni infiammatori ed autoimmuni anti-isola pancreatica, costituita appunto dalle beta-cellule. Lo stesso trattamento però non aveva alcun effetto nel ripristinare il funzionamento delle beta cellule (ossia la secrezione dell’insulina) quando veniva somministrato in topi Nod alla diagnosi della malattia».
GLI EFFETTI – Ecco alcuni punti chiave: l’infiammazione, la reazione auto-immune e, quindi, la malattia. Spegnere l’infiammazione ed evitare il diabete significa però sapere che è in corso lo sviluppo della malattia. Quando la si scopre è già troppo tardi. Nei topi Nod si sa già che compare e quindi è possibile vedere quanto accade e quanto potrà accadere. Si è visto quindi che gli effetti della miscela di probiotici erano quelli di far aumentare nettamente le citochine anti-infiammatorie ed in particolare una di queste, l’interleuchina-10 (Il-10), sia a livello delle isole pancreatiche sia del sistema immunitario intestinale. Continua Dotta: «Si è anche osservato che, nel topo Nod, era possibile ripristinare la secrezione insulinica alla diagnosi di diabeteattraverso un’immunosoppressione marcata e generalizzata con la somministrazione di alte dosi di un anticorpo monoclonale anti-CD3, ossia diretto contro tutti i linfociti T (cellule chiave del sistema di difesa ma anche in caso di reazioni auto-immuni perché attaccano le cellule amiche come fossero nemiche). Bloccarle significa fermare la malattia ma anche le difese buone. E i test clinici con anti-CD3 nell’uomo alla diagnosi di diabete tipo 1 sono stati interrotti in quanto ad alte dosi si sono avuti importanti effetti collaterali, mentre a basse dosi non si è registrato alcun effetto protettivo».
IL PROBIOTICO – Partendo da queste premesse, si è pensato di “aumentare” quanto di buono dimostrato dai probiotici da soli, aggiungendo loro due capacità: una anti-infiammatoria, l’altra di finti bersagli per i linfociti T. Siena chiama Lovanio (Belgio), con cui già collabora nell’ambito di un grosso progetto di ricerca finanziato dalla Comunità europea, e si “progetta” il probiotico ogm. Nasce così il Lattococco (un Actobiotics) “ingegnerizzato” per gli esperimenti di Siena. Hanno collaborato anche le università di Bruxelles e quella statunitense di Gainesville in Florida. Gli Actobiotics modificati producono, a livello intestinale, sia la citochina anti-infiammatoria IL-10 sia un auto-antigene beta cellulare, come la pro-insulina (ovvero il precursore dell’insulina). Nella nuova sperimentazione sono stati utilizzati nei topi Nod al momento della diagnosi didiabete tipo 1, cioè in quella fase della malattia nella quale il trattamento con i semplici probiotici non era stata efficace. «I risultati che abbiamo ottenuto e pubblicato – dice Dotta – hanno dimostrato che mediante tale trattamento è possibile ristabilire normali valori glicemici. Inoltre, siamo riusciti a dimostrare che tale strategia terapeutica induce un profondo resetting del sistema immunitario, caratterizzato dalla migrazione di cellule T-regolatorie (ossia di cellule T che vanno a sopprimere la risposta auto-immune distruttiva) a livello delle isole pancreatiche, inducendo così tolleranza nei confronti delle cellule beta pancreatiche in modo sicuro, specifico e duraturo».
TEST SULL’UOMO – Insomma, risultati che se si ottenessero con la stessa efficacia nell’uomo significherebbero l’addio alle iniezioni di insulina per chi soffre di diabeteautoimmune. Si è visto anche che isole del pancreas ormai considerate fuori uso hanno ricominciato a svolgere la loro funzione una volta che si è riequilibrato il sistema immunitario dell’organismo. Quindi non distrutte, ma “addormentate” in attesa di tempi migliori. Tutto questo nei topi Nod, ovviamente. Ma così bene da progettare già i protocolli per i test sull’uomo il cui avvio è previsto nel primo semestre 2013. La strada è aperta e, per la prima volta, si intravede la possibilità di far guarire dal diabete di tipo 1 centinaia di migliaia di malati nel mondo: 250 mila solo in Italia.