Mi occupo di Nutrizione per patologie accertate, Lipedema, Policistosi Ovarica, Intolleranze Alimentari, Disbiosi, Dieta Chetogenica su misura. Ricevo a Messina e Catania. In queste pagine offro consigli nutrizionali, ricette per tutti coloro che si interessano di Dieta, Nutrizione e Salute. Sono disponibile a consulenze online. Questo blog è collegato alla pagina Facebook Camice&Mestoli ed Instagram Bionutrizionistacacciola
I lupini, conosciuti anche come lupini bianchi o lupini dolci, sono legumi che vantano una storia affascinante e una ricchezza nutrizionale notevole. Originari del bacino del Mediterraneo, questi semi hanno attraversato i secoli, passando da essere utilizzati come foraggio per il bestiame a diventare protagonisti nelle cucine di tutto il mondo, specialmente nelle diete vegetariane e vegane.
La coltivazione dei lupini risale a tempi antichi, con reperti archeologici che risalgono all'Età del Bronzo. La loro presenza nella dieta umana ha continuato ad evolversi nel corso dei millenni. Inizialmente coltivati per la produzione di foraggio animale, i lupini hanno gradualmente conquistato un ruolo importante nella cucina umana grazie alle loro proprietà nutrizionali uniche.
La pianta di lupino è resistente e può adattarsi a diverse condizioni climatiche, il che ne ha facilitato la diffusione in tutto il mondo. La sua crescita è caratterizzata da fiori dal colore vivace che culminano in baccelli contenenti semi di lupino. La varietà di lupino più comunemente consumata è il lupino bianco, noto per il suo sapore leggermente amaro.
Le proprietà nutrizionali dei lupini sono notevoli, rendendoli una risorsa preziosa per chi cerca opzioni proteiche diverse e sostenibili. Questi legumi sono particolarmente apprezzati per il loro alto contenuto proteico e per la presenza di tutti gli aminoacidi essenziali, conferendo loro lo status di proteine complete. Inoltre, sono ricchi di fibre alimentari, promuovendo una buona digestione e contribuendo alla sensazione di sazietà.
Tuttavia, prima di poter godere appieno dei benefici dei lupini, è necessario sottoporli a un processo di preparazione adeguato. La presenza di sostanze amare e indigeribili richiede un preliminare ammollo seguito da una bollitura. Questa pratica secolare è essenziale per rendere i lupini appetibili e facilmente digeribili.
In cucina, i lupini si prestano a molteplici utilizzi. Possono essere aggiunti a insalate, stufati, zuppe o utilizzati come spuntino salutare. La loro consistenza soda e il sapore distintivo li rendono una scelta versatile, capace di arricchire numerosi piatti.
In conclusione, i lupini rappresentano un tesoro nutrizionale che affonda le radici nella storia alimentare dell'umanità. La loro storia antica si mescola con la contemporaneità, poiché sempre più persone scoprono i benefici di questi legumi versatili. Che siano parte di una dieta vegetariana, vegana o semplicemente di una cucina sana, i lupini offrono un'alternativa nutriente e deliziosa che si presta a molteplici interpretazioni culinarie. La loro storia continua a evolversi, dimostrando che il passato e il presente dei lupini sono inestricabilmente intrecciati in un viaggio culinario e nutrizionale senza tempo.
I grani antichi rappresentano un autentico tesoro culinario, portatori di storia e tradizione. Tra le terre fertili della Sicilia e le altre regioni d'Italia, questi cereali preziosi continuano a stupire con le loro caratteristiche uniche, differenze rispetto al grano moderno e i numerosi vantaggi che offrono.
I Grani Antichi Siciliani: La Sicilia, con la sua ricca storia agricola, è una delle regioni italiane che custodisce grani antichi di straordinaria importanza. Tra le varietà più note ci sono il Tumminia, il Maiorca, il Russello e il Perciasacchi, ognuno con caratteristiche distintive e utilizzo tradizionale nella cucina locale. Questi grani hanno resistito alla prova del tempo, mantenendo intatte le loro peculiarità nutrizionali e organolettiche.
Differenze con il Grano Moderno: A differenza del grano moderno, le varietà antiche hanno subito poche o nessuna modifica genetica nel corso dei secoli. Ciò significa che preservare la loro biodiversità originale e non sono stati selezionati per massimizzare la produzione o la resa commerciale. Questi grani sono spesso considerati "grani a basso impatto ambientale", poiché richiedono meno acqua e pesticidi per crescere, contribuendo così alla sostenibilità agricola.
I Vantaggi dei Grani Antichi:
Valore Nutrizionale: I grani antichi sono noti per essere più ricchi di proteine, fibre, vitamine e minerali rispetto al grano moderno. Questo li rende una scelta ideale per una dieta sana ed equilibrata.
Facilità di Digestione: Molte persone con sensibilità al glutine si trovano i grani antichi più digeribili rispetto al grano moderno. Questo può essere dovuto alla diversa composizione proteica e alla presenza di glutine più facilmente digeribile.
Aroma e Gusto: I grani antichi hanno spesso un sapore più ricco e aromatico rispetto al grano moderno. Questo è particolarmente evidente nei prodotti da forno e nella pasta, dove gli antichi cereali aggiungono un tocco di autenticità e sapore tradizionale.
Varietà di Utilizzo: I grani antichi possono essere utilizzati in molte preparazioni, dalla pasta all'impasto per il pane, dai dolci ai piatti salati. Questa versatilità li rende una scelta eccellente per esplorare la cucina tradizionale e sperimentare con nuove ricette.
Conclusioni: I grani antichi siciliani e quelli delle altre regioni italiane rappresentano un patrimonio culinario e culturale da preservare e valorizzare. La loro unicità, i benefici nutrizionali e la sostenibilità li rendono una scelta intelligente per tutti coloro che vogliono abbracciare una dieta consapevole e gustosa. Incamminiamoci sulla strada della ridescrizione della storia del cibo e scopriamo la bellezza e la bontà dei grani antichi.
Il diabete è una malattia cronica che richiede un'attenzione particolare all'alimentazione. Nei pazienti diabetici con piede diabetico, l'alimentazione corretta svolge un ruolo ancora più cruciale per promuovere la guarigione delle lesioni e il benessere generale. In questo articolo, esploreremo gli aspetti chiave dell'alimentazione corretta per i pazienti diabetici con piede diabetico, fornendo utili consigli per una gestione ottimale della condizione.
Controllare l'apporto di carboidrati:
I carboidrati influenzano direttamente i livelli di zucchero nel sangue, quindi è essenziale monitorare attentamente la quantità e la qualità dei carboidrati consumati. Si consiglia di preferire carboidrati complessi, come quelli presenti in cereali integrali, verdure e legumi, che vengono digeriti più lentamente, evitando picchi improvvisi di zucchero nel sangue. È fondamentale anche suddividere l'apporto di carboidrati durante il giorno per evitare carichi glicemici eccessivi in un'unica assunzione.
Priorità alle proteine magre:
Le proteine sono importanti per la riparazione dei tessuti e la guarigione delle lesioni. È consigliabile scegliere fonti di proteine magre come pollame, pesce, latticini a basso contenuto di grassi e legumi. Queste fonti proteiche forniscono anche altri nutrienti essenziali come ferro, zinco e vitamine del gruppo B.
Incrementare l'apporto di grassi sani:
Contrariamente alla credenza popolare, i grassi non dovrebbero essere completamente evitati nella dieta di un paziente diabetico con piede diabetico. Tuttavia, è importante fare scelte intelligenti e privilegiare grassi sani come quelli presenti in avocado, noci, semi e oli vegetali come l'olio d'oliva. Questi grassi sono ricchi di acidi grassi omega-3 e antiossidanti, che possono favorire la guarigione e ridurre l'infiammazione.
Aumentare il consumo di fibre:
La fibra alimentare è preziosa per i pazienti diabetici con piede diabetico. Aiuta a regolare i livelli di zucchero nel sangue, a migliorare la digestione e a mantenere un peso corporeo sano. È possibile aumentare l'apporto di fibre consumando frutta fresca, verdura, cereali integrali e legumi.
Limitare il consumo di sodio:
Il controllo della pressione sanguigna è particolarmente importante per i pazienti diabetici con piede diabetico. Limitare l'assunzione di sodio può aiutare a mantenere la pressione arteriosa sotto controllo e a ridurre il rischio di complicanze. Si consiglia di evitare cibi ad alto contenuto di sodio, come cibi confezionati, cibi pronti e condimenti salati, e di preferire erbe aromatiche e spezie per insaporire i pasti.
Conclusioni:
L'alimentazione corretta riveste un ruolo cruciale nella gestione del diabete e del piede diabetico. I pazienti diabetici con piede diabetico dovrebbero prestare particolare attenzione all'equilibrio dei nutrienti, limitando l'apporto di carboidrati, privilegiando le proteine magre e i grassi sani, aumentando l'assunzione di fibre e limitando il consumo di sodio. Consultatemi per una consulenza personalizzata sull'alimentazione, che tenga conto delle specifiche esigenze di ogni individuo.
Ci sono sicuramente differenze tra Lipedema, Cellulite e Obesità anche se molto spesso vengono identificate come se fossero strettamente connesse e correlate e saranno proprio queste l’argomento di questo articolo. Ma
proviamo prima a dare le caratteristiche di base delle tre tipologie di
affezioni.
Il lipedema è una condizione medica cronica che colpisce
principalmente le gambe e, in alcuni casi, le braccia. È caratterizzato da una
distribuzione anormale del tessuto adiposo, che provoca accumuli di grasso
nelle cosce, nei glutei e nelle gambe, spesso accompagnati da una struttura
adiposa a "buccia d'arancia" e molto spesso negli stadi avanzati “a
materasso”. Sebbene possa sembrare simile alla cellulite o all'obesità, il
lipedema presenta alcune caratteristiche distintive. E’ infatti caratterizzato
da accumuli di grasso simmetrici e dolorosi nelle gambe, spesso con una linea
di demarcazione netta tra le aree colpite e quelle non colpite. Le braccia possono
essere coinvolte spesso ma non in tutti i casi. È una condizione cronica che
progredisce nel tempo e può portare a problemi di mobilità e dolore. Il
lipedema è spesso ereditario e colpisce principalmente le donne. E’ aggravato
da squilibri estroprogestinici ed in generale ormonali.
La cellulite è una condizione caratterizzata dalla comparsa
di una pelle a "buccia d'arancia" causata dall'accumulo di grasso
sotto la superficie della pelle. Può verificarsi in diverse parti del corpo,
come cosce, glutei, addome e braccia. La cellulite può essere presente sia
nelle persone magre che in quelle in sovrappeso ed è più comune nelle donne.
Non è associata a dolore o gonfiore significativo.
L'obesità è una condizione di eccesso di grasso corporeo
generalizzato in tutto il corpo. È spesso caratterizzata da un aumento di peso
complessivo e può essere determinata da molteplici fattori, tra cui dieta,
stile di vita e fattori genetici. L'obesità può presentare diversi rischi per
la salute, come malattie cardiache, diabete e problemi articolari.
La pianificazione del trattamento per il lipedema si basa
sulla gestione dei sintomi e sulla riduzione dell'infiammazione e del dolore associati
alla condizione. Le opzioni di trattamento possono includere:
Terapia conservativa: Ciò può includere terapia fisica,
compressiva delle gambe con indumenti specifici, tecniche di drenaggio
linfatico, terapia manuale e attività fisica mirata.
Modifiche dietetiche: Una dieta equilibrata e sana può
contribuire a gestire il peso corporeo complessivo e ridurre l'infiammazione.
La riduzione del consumo di cibi ad alto contenuto di sodio e zuccheri può
essere consigliata per limitare la ritenzione idrica e il gonfiore. La dieta
chetogenica e la dieta a basso contenuto di carboidrati, lattici e glutine si
stanno evidenziando essere molto utili per ridurre l’infiammazione, l’edema e
contenere l’aumento del grasso anche lipedemico.
Terapia Chirurgica: In casi gravi di lipedema, può essere presa in
considerazione la chirurgia estetica, come la liposuzione specializzata per
rimuovere l'accumulo di grasso in eccesso. È importante consultare un chirurgo
specializzato in lipedema per valutare i benefici e i rischi del intervento
chirurgico.
Per quanto riguarda il trattamento della cellulite e dell'obesità
è utile un approccio olistico che coinvolga diversi aspetti, tra cui
l'alimentazione, l'attività fisica, la gestione dello stress e, in alcuni casi,
interventi medici specifici. Ecco alcuni punti chiave da considerare:
Alimentazione equilibrata: Seguire una dieta sana ed
equilibrata è fondamentale per la gestione della cellulite e dell'obesità. Ciò
implica consumare cibi ricchi di nutrienti, come frutta, verdura, proteine
magre e cereali integrali, e limitare l'assunzione di cibi ad alto contenuto di
zuccheri aggiunti, grassi saturi e sale.
Monitorare le dimensioni delle porzioni è importante per
evitare un eccesso di calorie e promuovere la perdita di peso. L'uso di piatti
più piccoli, la consapevolezza durante i pasti e la pratica del "mangiare
consapevole" possono aiutare a gestire l'apporto calorico.
L'esercizio fisico è essenziale per bruciare calorie,
migliorare la circolazione, tonificare i muscoli e ridurre la cellulite. Una
combinazione di attività cardiovascolari, come camminare, correre o nuotare, e
allenamento di resistenza, come sollevamento pesi o esercizi a corpo libero,
può essere efficace.
Lo stress può influire sulla cellulite e sull'obesità con l’innesco
di di squilibri ormonali che coinvolgono sia l’asse surrenale quanto il
Microbiota Intestinale. L'adozione di tecniche di gestione dello stress, come
la meditazione, lo yoga, la respirazione profonda o l'attività ricreativa, può
contribuire a migliorare la salute mentale e fisica. L’uso di probiotici con
regolarità può aiutare moltissimo il riequilibrio del Microbiota Intestinale
con notevoli benefici sistemici.
La cellulite può essere trattata con vari sistemi ed esistono
diverse opzioni di trattamento per ridurre l'aspetto della cellulite, come
massaggi linfodrenanti, terapie a base di ultrasuoni, terapia di pressione
negativa o trattamenti laser. È consigliabile consultare un dermatologo o un
medico specializzato per determinare la migliore opzione per il proprio caso. Tutti
questi trattamenti al contrario non hanno trovato riscontro nel migliorare la
condizione di Lipedema
Anche per l'obesità esistono terapie e trattamenti molto
utili che invece non hanno buoni riscontri nel Lipedema come la chirurgia
bariatrica. Questi interventi vengono valutati caso per caso da un chirurgo
specializzato e possono comportare una significativa perdita di peso e
miglioramenti nella salute generale.
Certamente il supporto psicologi co può essere sempre e
comunque adeguato sia per il Lipedema che per affrontare la cellulite e
l'obesità. Un terapista o uno psicologo specializzato possono aiutare a gestire
l'aspetto emotivo e comportamentale correlato a queste condizioni, favorendo
una visione positiva del proprio corpo e incoraggiando comportamenti sani.
Ricorda che ogni individuo è unico e le strategie di
trattamento possono variare. Consultare sempre un professionista sanitario
qualificato per una valutazione e una pianificazione del trattamento
personalizzate.
Lipedema: È una patologia reale? Cosa possiamo fare per riconoscerlo e curarlo?
Questo articolo nasce per divulgare questa affezione, il Lipedema, che, se pur non abbia ancora il riconoscimento di patologia, acquisisce giornalmente connotati sempre più chiari e scientificamente validati e nella speranza che sempre più i medici, specialmente quelli di medicina generale ed i pediatri guardino con occhi diversi le giovani donne e le adolescenti con problemi di sovrappeso e con squilibri ormonali, in modo particolare tutte quelle con familiarità per Obesità Ginoide aggravata da Linfedema giacché oggi ci sono prove serie sulla “ereditarietà” o comunque sulla predisposizione genetica del Lipedema, quasi esclusivamente in linea femminile.
Mi sembra necessario chiarire subito i fondamenti di questa affezione per aiutare almeno a dare una connotazione chiara.
A tal riguardo preferisco utilizzare una definizione semplice e completa che ho trovato e che di seguito cito: “Il Lipedema è un disturbo cronico progressivo che colpisce quasi esclusivamente le donne. Clinicamente, è caratterizzato da una distribuzione anomala del tessuto adiposo, con conseguente sproporzione pronunciata tra estremità e tronco. Tale sproporzione è causata da un aumento localizzato e simmetrico del tessuto adiposo sottocutaneo negli arti inferiori e/o superiori. Altre scoperte includono edema (aggravato dall'ortostasi), nonché facile ecchimosi a seguito di traumi minori e, tipicamente, aumento della dolenzia con la pressione”
Oggi è più facile diagnosticare il Lipedema ed aiutare efficacemente chi ne è affetto per l’esistenza di Linee Guida e Documenti di Consenso Statunitensi ed Europei per cui molti professionisti hanno intrapreso percorsi di formazione per la diagnosi ed il trattamento specifico.
Un aspetto da non trascurare è, purtroppo la mancanza ancora di un approccio integrato e coordinato fra più figure professionali ed il riconoscimento come patologia dal SSN.
In questo momento purtroppo, le donne affette da Lipedema, sono infatti tristemente consapevoli di avere poche possibilità di veder migliorare la propria situazione patologica proprio per la mancanza di strutture adeguate e convenzionate con il SSN. Questa importante lacuna nell’offerta sanitaria pubblica, non fa altro che addossare la gestione e la cura della patologia sulle sole spalle delle donne che ne soffrono e delle loro famiglie, esponendole a sacrifici di natura sia economica che psicologica.
È fondamentale che la Sanità territoriale acquisisca piena consapevolezza del problema e che gli stessi medici di famiglia si aggiornino al meglio su questa patologia che ha spesso un esordio precoce.
Recenti studi condotti dal gruppo di lavoro del Pr Sandro Michelini, Ospedale San Giuseppe di Marino (RM), hanno portato ad una scoperta illuminante in tal senso: sarebbe proprio un gene, e sicuramente anche più di uno, infatti, ad avere una corresponsabilità determinante nell’esordio della patologia e questo è evidente anche alla luce del riconoscimento della patologia anche in ben 4 generazioni di donne della stessa famiglia senza coinvolgimento se non come portatori sani dei maschi della stessa.
Approcciarla in modo serio e documentato diventa quindi fondamentale per giungere quanto più precocemente possibile ad una diagnosi definitiva che consenta a tutte le giovani donne di intraprendere un percorso corretto e personalizzato al fine di contenere al meglio i sintomi e l’evoluzione.
L’approccio terapeutico ottimale al Lipedema è sostanzialmente, almeno in gran parte, contenitivo ed è quindi basato sul trattamento nutrizionale, il linfodrenaggio manuale di tipo Vodder, i bendaggi e l’elastocompressione. Chiaramente tutti questi trattamenti vanno personalizzati ed eseguiti da personale altamente specializzato e con documentata esperienza.
Il punto estremo e finale rimane ancora oggi purtroppo la terapia chirurgica specializzata che comunque oggi è sempre più integrata con gli altri approcci terapeutici.
Attualmente la dieta insieme con l’attività fisica moderata e personalizzata, il massaggio Vodder e l’elastocompressione possono essere molto importanti per il controllo dell’affezione sin dall’esordio, che solitamente avviene nel periodo adolescenziale con aggravamenti in gravidanza e in menopausa.
La dieta chetogenica e la dieta Low Carb, ben conosciuta come DIETA RAD (Rare Adipose Disorders), con un basso apporto di carboidrati, in particolare da cereali, frutta e patate e particolarmente incentrata sull’utilizzo di carni bianche, uova, pesce, legumi e verdure fresche di stagione, oggi è riconosciuta a livello internazionale ed ha come obiettivo specifico soprattutto quello di regolare i livelli di insulina e ridurre l’infiammazione mirando quindi ad un riequilibrio ormonale.
Il compito attuale e principale della dietoterapia moderna consiste prevalentemente nella regolazione e controllo dei livelli di insulina, in considerazione soprattutto della testimonianza dei tanti studi scientifici che correlano l’infiammazione alla gran parte delle patologie a carattere cronico e all’iperinsulinemia prima e al diabete successivamente, determinati dall’eccesso di carboidrati presenti nell’alimentazione quotidiana.
Risulta importante consumare in modo ridotto cibi confezionati e prodotti alimentari “industriali” che sono eccessivamente carichi di zuccheri, di grassi trans e dei cosiddetti “interferenti endocrini”, sostanze queste ultime dimostrano di interferire con l’equilibrio ormonale naturale e nel tempo arrivare a provocare diabete e patologie endocrine.
Credo profondamente che solo la diagnosi precoce del Lipedema possa garantire nuove ed affidabili prospettive di cura a tutte le donne che ne hanno bisogno.
a cura della dott.ssa Cacciola Maria Stella - biologa nutrizionista
È da tempo che penso di scrivere un articolo sul Lipedema, perché da quando ne ho scoperto l’esistenza ho guardato con altri occhi tutte le donne che si presentano nel mio studio per una dieta. Ho iniziato a cercarlo nei loro corpi ma ancor di più nelle loro storie che raccontano di vite dedicate al raggiungimento di quel dimagramento localizzato, promesso da molti ma mai raggiunto.
Ho iniziato perciò a porre domande, per provare a capire il percorso fatto da ciascuna di loro, per non deluderle anch’io con vane promesse ma per provare ad aiutarle a migliorare il proprio aspetto fisico e la propria condizione di dolore e frustrazione senza aggiungere anche la mia incomprensione.
i vari stadi del Lipedema
Mi sembra opportuno chiarire subito le linee fondamentali di questa patologia per aiutare chiunque non la conosca almeno ad iniziare a capire di cosa si tratta e cominciare a comprendere anche un eventuale coinvolgimento personale o familiare. A tal riguardo preferisco utilizzare una definizione semplice e completa che ho trovato e che di seguito cito: “Il Lipedema è un disturbo cronico progressivo che colpisce quasi esclusivamente le donne. Clinicamente, è caratterizzato da una distribuzione anomala del tessuto adiposo, con conseguente sproporzione pronunciata tra estremità e tronco. Tale sproporzione è causata da un aumento localizzato e simmetrico del tessuto adiposo sottocutaneo negli arti inferiori e/o superiori. Altre scoperte includono edema (aggravato dall’ortostasi), nonché facile ecchimosi a seguito di traumi minori e, tipicamente, aumento della dolenzia con la pressione”
Ciò premesso desidero prima di ogni cosa raccontare il mio primo incontro ufficiale con il Lipedema che è avvenuto grazie ad una giovane donna, Maria.
Maria era stata in Spagna per ricevere una diagnosi precoce di Lipedema e sottoporsi così ad un primo intervento chirurgico. Tornata in Italia, Maria si è messa subito in cerca di un nutrizionista che fosse a conoscenza della patologia e che le prescrivesse una dieta chetogenica mirata. Io facevo già diete chetogeniche da qualche hanno ma non conoscevo affatto questa condizione patologica, anzi ad essere sincera la conoscevo benissimo perché avevo visto molte donne soffrirne ma non sapevo di cosa si trattasse. E così, proprio col supporto di Maria che mi ha dato una mano con le traduzioni, ho cominciato ad approfondire l’argomento raccogliendo documentazione ed accedendo a studi specifici sull’argomento, pubblicati soprattutto in lingua spagnola o inglese.
Ho così scoperto, ad esempio, che la dieta chetogenica cui facevano riferimento quegli studi non corrispondeva appieno al trattamento chetogenico che noi utilizziamo ma che era piuttosto una dieta low carb con un basso apporto di carboidrati, in particolare di cereali, frutta e patate e particolarmente incentrata sull’utilizzo di carni bianche, uova, pesce, legumi e verdure fresche di stagione. Questo tipo di trattamento è oggi noto come DIETA RAD (Rare Adipose Disorders), una dieta di tipo antinfiammatorio riconosciuta a livello internazionale che mira ad un riequilibrio degli ormoni, riducendo drasticamente ma senza eliminarli del tutto gli alimenti ricchi di carboidrati ed eliminando del tutto lo zucchero, in tutte le sue varianti (bianco, grezzo, fruttosio, di canna, di cocco, di agave, miele etc…), per il suo elevato indice glicemico.
Questo tipo di approccio nutrizionale ha come obiettivo specifico soprattutto quello di regolare i livelli di insulina, l’ormone più importante e purtroppo anche più pericoloso, che viene prodotto dal pancreas quando il livello di glucosio nel sangue va oltre l’indispensabile ed il necessario. Quindi se il livello del glucosio nel sangue sale oltre il valore basale, il pancreas riceve un segnale dal cervello affinché rilasci questo specifico ormone che lo aggancia e lo trasporta a tutte le cellule. L’insulina contiene praticamente la “chiave” capace di aprire le porte di tutte le cellule, per entrare ed affidare gli zuccheri a chi all’interno ha la funzione di trarre da essi l’energia necessaria alle cellule per svolgere tutte le proprie funzioni.
Le varie cellule, una volta ricevuto il glucosio, lo utilizzano ciascuna secondo le proprie necessità e peculiarità. Le cellule muscolari, ad esempio, lo trasformano in energia per i muscoli che, così alimentati, svolgono al meglio le loro funzioni; le cellule neuronali utilizzano il glucosio per fornire l’energia necessaria al trasporto di tutte le informazioni importanti che viaggiano sù e giù dal cervello fino alle aree più periferiche del corpo umano (mani, piedi, e tutti gli organi sensoriali).
Tutte le cellule del nostro organismo, come detto, assolvono a specifici e variegati compiti e traggono dagli zuccheri tutte le energie necessarie per svolgerli efficacemente. È molto importante pertanto che questi ultimi siano assunti in quantità sufficiente ma non eccessiva. Lo stile di vita ed il conseguente stile alimentare, quasi imposto dalla società contemporanea, porta purtroppo molti di noi ad assumere quantitativi di zuccheri e, più genericamente, carboidrati in eccesso rispetto al fabbisogno reale delle nostre cellule. Quando ciò accade, il sistema ormonale che regola l’equilibrio energetico all’interno del nostro corpo comincia a funzionare male perché noi accumuliamo di fatto più energia di quanta ce ne serva realmente. L’insulina, in modo che possiamo definire “democratico”, rifornisce di zuccheri tutte le cellule; tra queste però ce ne sono alcune, gli adipociti, che non rifiutano mai questo continuo approvvigionamento perché la loro funzione specifica è proprio quella di accumulare energia, sotto forma di grasso, da utilizzare in tempi di “carestia”. Questo speciale meccanismo che rappresenta certamente un prezioso strumento a disposizione degli esseri umani per non rimanere mai del tutto “a secco” di energia, può diventare però un problema allorquando questi adipociti si trasformano in un tessuto che secerne ormoni e rilascia sostanze a carattere infiammatorio. È questo principalmente il motivo per cui il grasso in eccesso, sia quello da obesità quanto quello da Lipedema, dev’essere sempre contenuto, proprio per evitare di veder aumentare il proprio stato infiammatorio ed i livelli di ormoni che possono alimentare la crescita del grasso infiammato e disfunzionale.
Il compito attuale e principale della dietoterapia moderna consiste pertanto nel regolare e tenere sotto controllo i livelli di insulina, in considerazione soprattutto di quanto emerge dai tanti studi scientifici in materia che ci dicono come l’infiammazione che provoca la gran parte delle patologie a carattere cronico sia sostenuta proprio dall’iperinsulinemia che è a sua volta determinata dall’eccesso di zuccheri presenti nel sangue.
Per rimanere in salute è pertanto fondamentale tenere a bada e puntare a ridurre l’infiammazione che sta alla base, come detto in precedenza, di gran parte delle patologie a carattere cronico. Per farlo efficacemente diventa quindi fondamentale regolare e riequilibrare l’alimentazione, scegliendo innanzitutto di introdurre nella dieta quotidiana tutti quei nutrienti che sono indispensabili alle cellule per svolgere i loro compiti con efficacia.
È altresì importante consumare il meno possibile cibi confezionati e tutti quei prodotti alimentari “industriali” che sono eccessivamente carichi di zuccheri, di sostanze potenzialmente infiammanti e dei cosiddetti interferenti endocrini, sostanze queste ultime che possono nel tempo arrivare a modificare lo stesso equilibrio ormonale e ad accentuare le difficoltà dell’organismo ad utilizzare in modo ottimale il cibo.
Con questo articolo non mi pongo l’obiettivo di indicare quale specifico programma alimentare sia meglio seguire nel Lipedema, che sarà argomento specifico di un successivo scritto, probabilmente un articolo oppure un ebook; vorrei però fare in modo che si comprenda al meglio che proprio la corretta alimentazione è già di per sé una terapia e che, proprio come ogni terapia che si rispetti, per risultare utile e soprattutto efficace, deve necessariamente essere personalizzata.
Per capire meglio il Lipedema e rendere maggiormente consapevoli le numerose donne, giovani o meno giovani, della loro condizione di potenziali “Lippy”, ho scelto di intervistarne alcune affette dalla patologia, sia già destinatarie di una diagnosi certa (l’87% del campione considerato) sia con chiari segnali della patologia benché la stessa non sia stata ancora diagnosticata in maniera definitiva.
La maggior parte di esse, l’84,6% del campione considerato, ha riconosciuto alla dieta un enorme valore curativo, insieme alla compressione, alla fisioterapia, all’attività fisica ed eventualmente alla chirurgia. Il 79,5% delle donne intervistate segue una dieta in linea con le mie considerazioni precedenti e cioè priva di zuccheri, low carb ed a volte anche chetogenica. Molte di loro si dichiarano soddisfatte della terapia nutrizionale che seguono e questo è davvero molto importante perché ci dice che le donne che hanno ricevuto una diagnosi di Lipedema, pur sgomente e preoccupate per il proprio futuro, riescono tuttavia a raccogliere la sfida e ad impegnarsi con tutti i mezzi disponibili per migliorare la propria condizione.
Oggi è più facile diagnosticare velocemente il Lipedema ed aiutare efficacemente chi ne è affetto: a differenza del passato infatti, molti professionisti cominciano ad “accorgersi” dell’esistenza della patologia ed a trattarla in modo specifico anche se, ed è un aspetto questo da non trascurare, manca a mio avviso ancora un approccio integrato fra più figure professionali ed il riconoscimento come patologia dal SSN. Cominciare a parlarne in maniera più approfondita e puntuale è comunque un primo passo importante per avvicinarsi ad un completo riconoscimento di questa specifica patologia da parte del Sistema Sanitario Nazionale (SSN). In questo momento purtroppo, le donne affette da Lipedema, sono infatti tristemente consapevoli di avere poche possibilità di veder migliorare la propria situazione patologica proprio per la mancanza di strutture adeguate e convenzionate con il SSN. Questa importante lacuna nell’offerta sanitaria pubblica, non fa altro che addossare la gestione e la cura della patologia sulle sole spalle delle donne che ne soffrono e delle loro famiglie, esponendole a sacrifici di natura sia economica che psicologica.
È fondamentale che la Sanità territoriale acquisisca piena consapevolezza del problema e che gli stessi medici di famiglia si aggiornino al meglio su questa patologia che ha spesso un esordio precoce, anche prima dell’adolescenza, e che espone le donne che ne sono affette a peggioramenti nel periodo della pubertà e ancora più spesso in gravidanza, a causa dei normali squilibri ormonali che però nelle donne affette da Lipedema slatentizzano una predisposizione genetica.
Recenti studi condotti dal gruppo di lavoro del Dott. Michelini hanno portato ad una scoperta illuminante in tal senso: sarebbe proprio un gene, infatti, ad avere una corresponsabilità determinante nell’esordio della patologia.
Approcciarla in modo serio e documentato diventa quindi fondamentale per giungere quanto più precocemente possibile ad una diagnosi definitiva che consenta a tutte le giovani donne di intraprendere un percorso corretto e personalizzato al fine di contenere al meglio i sintomi e l’evoluzione.
Come per tutte le patologie a carattere infiammatorio cronico, è importante fare anche una valutazione epigenetica che aiuti a comprendere quali fattori ambientali contribuiscano all’evoluzione della patologia in senso peggiorativo e quali invece risultino determinanti per contenerla e per spegnere l’espressione genica dei geni responsabili. In altre parole credo che oggi sia necessario da parte degli specialisti capire rapidamente ed impostare un piano chiaro di interventi mirati a consigliare i comportamenti più adeguati quando ad una donna si presenta per una diagnosi di Lipedema; è fondamentale intervenire immediatamente sulla patologia per contenerla ma risulta altrettanto essenziale cercare tutte le persone della famiglia che possano essere coinvolte ma non ancora in modi gravi.
La scelta di intervistare donne affette da Lipedema nasce dal mio bisogno di dar loro voce, di raccontarne le storie, di cogliere meglio ciò che dicono, ciò che conoscono bene, ciò che vivono ogni giorno. Un concetto che ricorre nelle interviste che ho realizzato si può sintetizzare nelle parole di una di esse, che riporto testualmente:
“Da sempre la mia immagine corporea è influenzata dal Lipedema. È come se non riconoscessi come mie e come normali alcune parti del mio corpo. Mi sento e mi vedo come deforme. Mi vergogno a farmi vedere nuda e in costume.”
Troppo spesso purtroppo questi disagi, la cui comprensione precoce potrebbe essere d’aiuto anche nella scelta del percorso di cura più adeguato al soggetto interessato, non riescono ad emergere se non con il supporto di psicologi e sempre che la paziente abbia le risorse economiche per sostenere anche questo tipo di terapia. La realtà ci racconta purtroppo che molte donne, troppe, non si possono permettere nemmeno le cure minime e necessarie.
Le risposte alle interviste hanno la forza di commuovermi, di farmi sorridere, di sorprendermi e anche di farmi arrabbiare quando penso all’ambiente in cui queste donne sono costrette a vivere il loro disagio: un contesto omologato, schematizzato, cieco, sordo ed inconsapevole.
Alla domanda “cosa pensa del Lipedema?”, le donne intervistate hanno risposto con parole che mi hanno colpita molto: “E’ un bastardo!”; “Penso sia una punizione!”; “Mi ha stroncato la vita!”; “Patologia sconosciuta a tanti!”; “Disgusto!”; “Invalidante!”; “È una croce!”; “Mi fa arrabbiare!”; “È il mio aguzzino!”; “Mostro nascosto!”; “Avvilente!”
Dietro ad ognuna di queste risposte si nasconde la paura di non riuscire a tenerlo a bada, di perderne il controllo e di finire nel “baratro” di una patologia ancora poco conosciuta, per la quale non esistono ad oggi trattamenti specifici e protocolli sanitari chiari e che è praticamente sconosciuta al SSN che non solo non fornisce cure adeguate ma che non riconosce neppure il Lipedema come patologia invalidante e cronica.
Dietro ognuna di quelle risposte c’è però anche la convinzione di essere in qualche modo parte attiva del problema, di essere “colpevoli” di qualcosa di non meglio identificabile e comunque corresponsabili del proprio stato di disagio.
In quasi tutte emerge un senso di colpa diffuso, frutto anche delle pressioni subite, da alcune fin già dall’infanzia. Sono molte le donne intervistate che hanno lavorato duramente fin da ragazzine per piegare il loro corpo ai desideri altrui: di fidanzati, amiche, mariti. E che non ci sono mai riuscite, nonostante diete, sport e sacrifici vari. Nelle storie che ho sentito dalle mie pazienti ed anche dalle intervistate si evince sempre che sono donne tutt’altro che pigre o mangione, che spesso non hanno sviluppato un buon rapporto con il cibo, che mangiano anche troppo poco e che non sanno addirittura nemmeno cucinare.
Molte sono sportive ma nonostante questo restano in perenne conflitto con se stesse.
Molte si sono sentite dire dai medici e dai nutrizionisti di “mangiare meno ed il problema si risolve!”. Tutte però raccontano storie da cui emerge ogni volta e tristemente una condizione di inadeguatezza alla vita quotidiana.
Alcune donne, nel tempo, mi hanno contattata per mail o su whatsapp inviandomi le loro foto da bambine e da adolescenti e dalle quali si individuavano chiaramente i primi segni del Lipedema. Non tutte sono diventate mie pazienti, per la distanza che ci divideva, ma le ho comunque tutte indirizzate all’associazione che si occupa della patologia affinché potessero essere instradate in un percorso che le conducesse ad una diagnosi certa.
Credo profondamente che solo la diagnosi precoce del Lipedema possa garantire nuove ed affidabili prospettive di cura a tutte le donne che ne hanno bisogno.
La scelta di scrivere questo articolo nasce in me proprio da questa consapevolezza, dalla voglia e dalla necessità che sento di dare voce al dolore di queste persone ma anche per testimoniare che queste donne sono guerriere, combattenti che non vogliono più essere considerate semplicisticamente delle “mangione” ma che desiderano fortemente che la loro condizione di profondo disagio, fisico e psicologico, venga riconosciuta come una patologia, anche a costo di vedersi certificare in maniera inequivocabile la loro condizione di “malate” e “medicalizzate”.
Sono donne vive e belle che chiedono a gran voce di essere ascoltate, curate ed accompagnate in modo adeguato nel trattamento di una sindrome complessa da tutte le figure mediche che sarebbe necessario coinvolgere lungo il percorso: medici, chirurghi, nutrizionisti, fisioterapisti, personal trainer, psicologi. E senza per questo doversi sentire colpevoli di qualcosa o dover pesare sulle famiglie per i costi eccessivi che vanno ancora sostenuti.
Mi piacerebbe che la consapevolezza di queste donne diventasse contagiosa e che gli desse la forza e l’energia necessarie a spostare le montagne d’indifferenza ed a stimolare la voglia dei professionisti di conoscere meglio e di più questa patologia.
Questo articolo si pone l’obiettivo di aumentare in chi è affetto da Lipedema la consapevolezza di non essere né “colpevole” né “corresponsabile” ma solo persone legittimamente in cerca di certezze e di verità. Persone in grado di gridare consapevolmente ai quattro venti e senza alcuna remora: “Ora so che non è solo colpa mia!”.
A cura della dr.ssa Cacciola Maria Stella – Biologa nutrizionista
Vi ripropongo un articolo scritto qualche anno fa perchè risulta di grande attualità! Oggi l'uovo ritorna ad essere considerato alimento sicuro e fondamentale per molti regimi alimentari specialmente nei bambini e negli anziani, a basso costo e buonissimo!
Sappiamo tutti e comunque possiamo ben immaginare come l’uovo sia fra gli alimenti più antichi che l’uomo ha utilizzato per nutrirsi! Lo sappiamo con certezza, perché lo documenta Varrone che in Egitto venivano allevate le galline e che i Cartaginesi mangiavano le uova di struzzo.
Galeno, medico greco le raccomandava come nutrimento essenziale agli anziani. Oggi sappiamo infatti perché, la presenza di luteina e zeaxantina lo rende importante nella prevenzione della malattie oculari legate all’invecchiamento, in particolare prevenendo la maculopatia e la presenza di colina, necessaria per la sintesi dell’acetilcolina, lo rende utile a prevenire i difetti cognitivi.
L’uovo è ricco di xantofille, che conferiscono il bel colore giallo al tuorlo. Nel tuorlo sono concentrati quasi tutti i nutrienti: 6 g di proteine, 5 g di grassi, 45 g di acqua, tracce di carboidrati, troviamo anche fosforo, calcio, ferro, zinco, vitamina A, B1, D, E, ed il ferro contenuto in esso è moltissimo ma perché questo venga assorbito è necessaria la presenza di vitamina C in ed ecco come nasce l’uovo all’ostrica, un uovo crudo freschissimo con l’aggiunta di limone che garantisce un valido rimedio per l’anemia!
L’uovo contiene tutti gli aminoacidi essenziali ed è quindi un alimento principe per l’elevato valore biologico.
Se si hanno calcoli alla cistifellea, caso in cui la contrazione della cistifellea, stimolata dal tuorlo d’uovo, può provocare forte dolore cioè una colica biliare, è d’obbligo il parere del proprio medico, in tutti gli altri casi non c’è alcun motivo per non inserire nella propria dieta settimanale fino a 4 uova insieme alle altre buone fonti di proteine come carni, pesce e legumi.
Gli si addebitano effetti dannosi sul fegato ma in realtà per la ricchezza di carotenoidi ha anche un’azione epatoprotettrice.
Gli Italiani sono fra i più bassi consumatori di uova, anche se questi anni di crisi ne hanno fatto aumentare in modo rilevante il consumo perché alimento economico e ad elevato potere nutritivo lo ha reso “la carne povera”.
Per l’alta digeribilità e la facilità d’impiego nonché la versatilità in cucina meriterebbe una maggiore attenzione!
Oggi molte persone si chiedono se sono celiache ma quando fanno il test che il loro medico prescrive, il risultato è quasi sempre negativo, e potremmo dire “meno male!” ma purtroppo i sintomi rimangono e queste persone continuano a non tollerare il pane, la pasta e i biscotti.
Alcune di queste persone ricorrono al faidate, cercano su internet, eliminano tutti gli alimenti che contengono glutine e improvvisamente si sentono meglio nonostante il medico ed i test fatti dicessero il contrario.
Altre si rivolgono a nutrizionisti esperti che spiegano loro che è possibile che abbiano una predisposizione genetica alla celiachia ma di non averla ancora sviluppata, grazie a Dio!
E allora perché se non sono celiaci hanno i sintomi e togliendo i cereali con glutine e sostituendoli con quelli senza glutine stanno meglio?
Per spiegarlo con chiarezza vi devo raccontare una cosa.
Nel 2011 in febbraio a Londra c’è stata una Consensus Conference, cioè una conferenza a livello internazionale dove erano presenti tutti gli studiosi ed i professori che lavorano in tutti i centri del mondo sulla celiachia. Durante questo importantissimo incontro è stato presentato uno studio fatto in collaborazione fra l’Università di Baltimora, pr Fasano (un Italoamericano) e l’Università di Napoli (pr.ssa Sapone).
In questo studio si affermava che oltre alla Celiachia e alla Allergia al glutine esisteva una terza patologia legata al glutine che è stata chiamata Sensibilità al Glutine Non Celiaca (SGNC). Nella prima si riscontrano un’alterazione di tutti gli anticorpi collegati alla Gliadina, proteina costituente importante del glutine e danni a livello dei villi intestinali, nella seconda si trovano quasi sempre anticorpi Ig E per la Gliadina alti mentre per la SGNC nella maggior parte dei casi (circa il 56%) si trovano alti anticorpi Ig G AntiGliadina Nativa.
Per fare sintesi e capirci bene in modo da non generare dubbi o preoccupazioni inutili riassumo. Quando qualcuno soffre di Sindrome del Colon Irritabile, nausea, gastralgia, sensazione di stanchezza, diarree ricorrenti, stipsi, dimagramento o obesità, depressione, dolori muscolari, acne ecc. bisogna che prima valuti con il proprio medico se è celiaco oppure allergico al glutine oppure se ha una SGNC ma consideriamo che tutte queste patologie sono presenti in non più del 20% della popolazione italiana quindi non tutti gli Italiani ma solo una piccola parte può avere davvero un problema con il glutine.
E allora se non tutti gli Italiani ma solo il 20% ha direttamente un problema addebitabile al glutine, tutti gli altri di cosa soffrono?
Vi do una piccola anticipazione ma ne parleremo nei prossimi articoli. La cosa più frequente è che si sia sviluppata un’Alterata Permeabilità Intestinale anche conosciuta come Leaky Gut che è causata da un’infiammazione della parete intestinale.
Articolo scritto dalla dott.ssa Cacciola Maria Stella, biologa nutrizionista esperta in Intolleranze Alimentari e Nutrigenetica
La
domanda è “la dieta può davvero modificare invertendo l’andamento
progressivo di una patologia qualsiasi ed in particolare una a carattere
autoimmune come la Sclerosi Multipla?”
La risposta affermativa a questa domanda arriva dalla dott.ssa Laura Mendozzi, neurologa appassionata di sana
alimentazione, dell’IRCC S. Maria Nascente di Milano della Fondazione Don
Gnocchi. E nel mio articolo vi spiegherò come e perché.
Intanto
chiariamo che la Sclerosi Multipla è una patologia
autoimmune a carattere infiammatorio che colpisce il sistema nervoso
centrale provocando una progressiva demielinizzazione della guaina lipidica che
avvolge la terminazione nervosa e per capirci meglio è come se un filo
elettrico venisse scorticato progressivamente e non riuscisse più ad assolvere
il suo compito di condurre elettricità, allo steso modo la terminazione nervosa
privata della sua guaina esterna fatica a trasportare il messaggio dal cervello
ai muscoli e provoca nel tempo una disabilità progressiva.
Già da
tempo esistono molti studi pubblicati su prestigiose riviste scientifiche su
modelli animali nella Sclerosi Multipla ,
che hanno messo in evidenza che il Microbiota, quel complesso di batteri presenti nel nostro
apparato gastrointestinale che comunemente viene conosciuto come flora batterica
, in topi ammalati di Sclerosi Multipla è particolarmente alterato rispetto a quello
di topi sani.
Il Microbiota, ha affermato la dott.ssa
Patrizia Brigidi di Bologna, “è un sistema di adattamento che contribuisce al
nostro stesso inserimento nella Natura che ci circonda, come un cloud nel quale siamo immersi e che
comunica continuamente con le nostre cellule somatiche apportando modifiche e
cambiamenti sia a breve quanto nei tempi lunghi, grazie alla produzione di
sostanze che influenzano il metabolismo cellulare”, cioè dobbiamo immaginarci
inseriti in una nuvola di batteri
che in ogni momento si scambiano messaggi con tutte le nostre cellule e le
aiutano a capire meglio il mondo che le circonda con i suoi cambiamenti.
E’
stato quindi scoperto che il Microbiota
è estremamente plastico e subisce importanti modifiche al variare della dieta
che risulta essere fondamentale per il benessere e la salute di tutti. E come
dice il pr Paolo Riccio la Dieta tiene
al guinzaglio il Microbiota
E se la dieta influenza
significativamente la composizione del Microbiota e a sua volta quest’ultimo
produce sostanze che “parlano” alle nostre cellule va da se che la dieta è in
grado di ridurre il dismicrobismo e aiutare l’organismo a modificare il suo
stato da malato a sano.
Su
queste basi si è fondato lo studio pilota condotto dall’IRCC S. Maria Nascente di Milano della Fondazione Don Gnocchi,
verificare attraverso l’analisi della composizione del Microbioma intestinale e
di indici di laboratorio se una particolare dieta fosse in grado di modificare
l’infiammazione ed i parametri clinici.
Lo
studio pilota dell’IRCC ha dimostrato che una dieta organizzata sotto la guida
di un nutrizionista esperto, ricca di
prodotti vegetali (cereali, legumi,
verdure, ortaggi di stagione, frutta fresca, frutta secca, olio EVO) e povera in proteine e grassi animali (carne
bianca 1 volta alla settimana, pesce 2 volte, formaggio magro 1 volta, non
carne rossa ne latte ne formaggi grassi) fa aumentare la popolazione di
batteri con proprietà antiinfiammatorie ed è associata ad un miglioramento
della deambulazione nei pazienti seguiti per 2 anni con diagnosi di Sclerosi
Multipla .
Questo
suggerisce che la dieta modificando il Microbiota induce la riduzione
dell’infiammazione anche in patologie a carattere cronico e degerativo.
Possiamo
concludere anche che l’aggiunta di vit D, vit A e probiotici specifici può
essere molto utile ad indurre cambiamenti significativi volti al positivo
modificarsi di quadri clinici con importanti componenti infiammatorie
Qualche giorno fa mi hanno chiesto di scrivere un articolo sulla Dieta Chetogenica per aiutare tutte le persone che vorrebbero saperne di più e per far capire loro di cosa si tratta.
Ci chiediamo? E‘ una dieta iperproteica? Può fare male alla salute? E‘ difficile da seguire? La possono fare tutti tranquillamente da soli?
Ed ancora, ma non sarebbe meglio seguire la buona e vecchia Dieta Mediterranea? Non sarà la solita americanata?
Ecco certamente le domande che ci poniamo sono tante e vedremo di rispondere in modo semplice e completo. Io credo che solo dalla buona conoscenza può nascere la buona salute!
Pensate un po‘! la Dieta Chetogenica nasce nel 1920 dalle osservazioni fatte da due pediatri, Rollin Woodyatt e Mynie Paterman, che lavoravano con i bambini colpiti da Epilessia. Questa dieta dimostra infatti di ridurre gli attacchi epilettici sia nei bambini che negli adulti che non rispondono ai trattamenti farmacologici.
E già! Si tratta quindi di un vero trattamento terapeutico che via via ha trovato impiego anche nei soggetti con terribili emicranie.
Ma cerchiamo di capire meglio cosa è e come deve essere fatta ed anche a chi è utile, oltre a coloro che abbiamo detto prima.
La Dieta Chetogenica viene definita normo proteica, normolipidica ed ipoglucidica, cioè in questa dieta si riducono drasticamente tutti gli alimenti del gruppo dei carboidrati, non solo si elimina lo zucchero ma anche pane, pasta, riso, cereali, farine di cereali prodotti che ne contengono anche piccolissime quantità, frutta e persino alcune verdure. In questo modo si costringe il proprio corpo ad utilizzare prima le riserve di zucchero che possiede sotto forma di glicogeno, prevalentemente nel fegato e nei muscoli, successivamente il corpo è costretto a trovarsi un’altra fonte di energia!
Ed ecco che trova i grassi, quelli depositati nel corpo e quelli introdotti con l’alimentazione. Ma i grassi per diventare materiale energetico utilizzabile dalle nostre cellule devono essere trasformati in piccoli corpi chetonici che sono un po‘ acidi ma tanto piccoli che riescono a passare dalla barriera ematoencefalica ed arrivare al cervello e fornirgli l’energia necessaria! Anzi, quando si raggiunge questo stadio, che si chiama Chetogenesi, si è molto lucidi e molto attivi come quando si è bevuto un bel caffè doppio!
Chiaramente se si tolgono tutti i carboidrati e non si sa quanti grassi e quanti cibi proteici consumare si rischia di danneggiare il proprio organismo provocando scompensi che possono danneggiare i reni ed il fegato.
Ho detto prima che questa dieta è normo proteica, cioè bisogna consumare un quantitativo specifico per ciascuno di noi di cibi proteici, come carni, uova, formaggi, pesce ecc.., e bisogna sapere anche quanti grassi utilizzare e quali tipi, ed anche questo dipende dal motivo per cui si utilizza questo regime alimentare.
Esistono due diversi approcci alla dieta Chetogenica:
Uno è quello che la vede utilizzata per ridurre ed anche eliminare attacchi epilettici e crisi emicraniche, l’altro è quello del dimagramento in casi di importate obesità ed in special modo in soggetti candidati alla chirurgia bariatrica, cioè quella chirurgia che riduce lo stomaco per ridurre l’assunzione di cibo nei grandi mangiatori voraci. In questi casi si utilizza un Protocollo dietetico medico VLCKD (Very Low Calory Ketogenic Diet), ideato nel 1971 dal Prof. Blackburn dell’Università di Harvard.
Se qualcuno vuole utilizzare la Dieta Chetogenica per dimagrire pochi chili dovrà fare attenzione ad utilizzare pochissimi grassi ma se ha anche il colesterolo alto ed i trigliceridi mossi dovrà utilizzare solo grassi come l’olio d’oliva extravergine.
Questa dieta è molto utile per chi deve dimagrire molto oppure per chi ha un’intolleranza ai carboidrati ed ancora per chi vuole dimagrire in modo localizzato.
Però è bene che sia studiata da un professionista che valuti tutti i parametri mediante analisi del sangue e test impedenziometrico, per calcolare la massa grassa e quella magra, così da ottenere una perfetta personalizzazione della dieta con il massimo dei risultati senza rischi per la salute.
Tra uomo e donna le differenze partono dai geni. Per l’esattezza sono 6.500 i geni espressi in modo differente. Dall’accumulo di grasso ai muscoli, dalla peluria alla produzione di latte, queste diverse espressioni potrebbero caratterizzare i due sessi anche nella suscettibilità a certe malattie così come nella risposta alle terapie. L’evoluzione con questi geni è stata poco selettiva, favorendo di fatto la diffusione di mutazioni che possono determinare problemi come l’infertilità. A indicarlo è uno studio pubblicato su BMC Medicine dal Weizmann Institute of Science di Israele.
Alla base ci sono i dati raccolti dal progetto GTEx, un grande studio che ha analizzato i geni espressi nei vari organi e tessuti del corpo umano di quasi 550 adulti di entrambi i sessi, portando alla realizzazione della prima mappa delle differenze genetiche tra uomini e donne. I ricercatori Shmuel Pietrokovski e Moran Gershoni del Weizmann Institute hanno usato questo database per valutare nello specifico l’espressione di 20.000 geni, arrivando così a identificarne 6.500 che sono ‘accesi’ in modo diverso tra maschi e femmine in almeno un tessuto del corpo.
Oltre ai geni legati a caratteristiche sesso-specifiche, come la peluria o la produzione di latte, ne sono emersi molti altri insospettabili. E’ il caso di alcuni geni ‘accesi’ solo nel ventricolo sinistro del cuore della donna, tra i quali uno in particolare, legato all’uso del calcio, che tende a spegnersi con l’avanzare dell’età, probabilmente aumentando il rischio di malattie cardiovascolari e osteoporosi dopo la menopausa. E’ stato trovato anche un gene espresso prevalentemente nel cervello delle donne che potrebbe proteggere i neuroni dal Parkinson.
I ricercatori hanno scoperto che la selezione naturale è stata più indulgente con le mutazioni sesso-specifiche contenute in questi geni, soprattutto quelle legate al genere maschile, favorendone di fatto la diffusione. Da qui l’idea che uomini e donne non abbiano seguito lo stesso cammino evolutivo, bensì due percorsi separati e interconnessi fra loro: l’evoluzione umana sarebbe dunque da rileggere come una co-evoluzione.
Negli ultimi anni si sono aperte varie controversie sui cibi a base di soia, anche tra i professionisti della salute, aggravate dalla disinformazione veicolata via Internet. Caposaldo delle erronee tesi è l’idea che gli alimenti a base di soia favoriscano lo sviluppo del cancro al seno, poiché contenenti isoflavoni (classe di composti fitoestrogeni). Dal momento che gli estrogeni possono promuovere la crescita del cancro al seno, è stato ipotizzato che troppi fitoestrogeni possano avere il medesimo effetto: ma l’ipotesi è errata, in quanto non tiene conto del fatto che ci sono due tipi di recettori per gli estrogeni nell’organismo umano, alfa e beta, che hanno una diversa distribuzione nei tessuti, diversa funzione e spesso agiscono in modo opposto. I fitoestrogeni della soia preferenzialmente legano e attivano i recettori beta. Questo sembrerebbe essere proprio il caso dei tessuti della mammella, ove l’attivazione dei recettori beta mostra un effetto anti-estrogenico, inibendo gli effetti di promozione della crescita riferibili agli estrogeni. Infatti gli effetti dell’estradiolo, estrogeno naturalmente prodotto dal nostro organismo, sono opposti a quelli dei fitoestrogeni, che hanno effetti antiproliferativi sulle cellule del cancro al seno anche a basse concentrazioni; tali effetti si manifestano già con l’assunzione di una sola tazza di fagioli di soia, mostrando una significativa attivazione del recettore beta. L’ipotesi che i fitoestrogeni potessero essere causa di proliferazione di cellule tumorali si basa su studi eseguiti su topi, dai quali si evince che la genisteina (il fitoestrogeno principale della soia) stimola la crescita del tumore al seno… ma l’essere umano metabolizza gli isoflavoni in modo differente, e questa dunque non è altro che l’ennesima dimostrazione dei danni al progresso scientifico causati dalla sperimentazione sugli animali. La possibile attivazione di recettori alfa da parte della soia può presentarsi solo a fronte di assunzioni del tutto irrealistiche di questo alimento (ad esempio 58 tazze al giorno di fagioli di soia!), ma con porzioni normali l’attivazione a cui si va incontro è quella dei recettori beta, aventi effetti protettivi. Infatti le donne che nell’infanzia, adolescenza ed età adulta hanno assunto soia mostrano un ridotto rischio di tumore al seno. Questi dati potrebbero spiegare perché l’incidenza di tumore al seno è più alta in Occidente che in Asia e il motivo per cui proprio le donne asiatiche americanizzate, con un’alimentazione occidentale presentino un rischio notevolmente superiore di sviluppare tumore al seno. Oltre a queste evidenze, nel 2009 nel Journal of the American Medical Association è stato pubblicato il primo studio che confronta l’assunzione di soia con l’incidenza di tumore al seno, sugli esseri umani: “in numerose donne con cancro al seno, il consumo di alimenti di soia era significativamente associato con una diminuzione del rischio di morte e di recidiva”. Questo studio è stato seguito da altri, tutti riportanti le stesse conclusioni, tali da far produrre una serie di linee guida dall’American Cancer Society, a favore dell’utilizzo di prodotti a base di soia nelle pazienti sopravvissute al tumore al seno. Esistono 5 studi in merito, che prendono in esame più di 10.000 pazienti affette da cancro al seno e i risultati sono unanimi nell’evidenziare una riduzione della mortalità e di recidiva grazie all’assunzione di soia. Cancro al seno: la soia riduce il rischio katemangostar / Freepik 2 Un altro aspetto è legato alle donne che presentano i geni del cancro al seno (anche se meno del 10% dei casi di cancro al seno presenta una familiarità genetica), la cui espressione è causa di una mutazione di uno dei geni oncosoppressori (BRCA1 o BRCA2) che difendono l’integrità dei nostri geni; quando uno di essi è danneggiato o presenta mutazioni, può esporci maggiormente allo sviluppo del cancro. Se fino a poco tempo fa le raccomandazioni dietetiche per le persone con mutazioni a carico di questi geni miravano a ridurre i danni da radicali liberi a carico del DNA, consigliando di assumere importanti quantità di frutta e verdura ricche di antiossidanti, oggi un’ulteriore protezione potrebbe derivare dall’aumento dell’azione dei BRCA. Infatti, in vitro si è visto che i fitoestrogeni della soia potrebbero rispristinare la funzione di protezione dei BRCA, con una “riregolazione” dell’espressione di questi fino al 1000% in 48 ore. Questo sembrerebbe poter essere traslato anche in vivo, poiché si è evidenziato che l’assunzione di soia in persone a rischio di tumore al seno ha comportato una riduzione del rischio del 27% con normali geni BRCA e del 73% in portatori di mutazioni del gene BRCA. D’altro canto, il consumo di carne in pazienti con mutazioni del gene BRCA ha comportato un aumento del rischio del 97% (e del 41% in chi non mostra questa mutazione).
Fonti: “Is Soy Healthy for Breast Cancer Survivors?”, Nutrition Facts, 1 febbraio 2017 https://nutritionfacts.org/video/ is-soy-healthy-for-breast-cancer-survivors/ “Should Women at High Risk for Breast Cancer Avoid Soy?”, Nutrition Facts, 3 febbraio 2017 http://nutritionfacts.org/video/ should-women-at-high-risk-forbreast-cancer-avoid-soy/
Tratto da Quaderni
di Scienza
Vegetariana
maggio 2017
www.scienzavegetariana.it