Nelle donne in
post-menopausa l'aumento e la perdita di peso si associano a una maggiore
incidenza di fratture, ma in differenti siti anatomici. Ecco in sintesi i
risultati di uno studio pubblicato sul British medical journal, che contrastano
con la convinzione che l'incremento ponderale abbia un effetto protettivo.
Esordisce Carolyn Crandall, professore di medicina all'University of
California, Los Angeles: «Il basso peso è un fattore di rischio ben conosciuto,
ma le probabilità di rompersi le ossa aumentano anche negli obesi». Tant'è che
la ricercatrice e i coautori hanno esaminato le associazioni tra variazioni
ponderali dopo la menopausa e l'incidenza di fratture in 120.000 donne sane in
post-menopausa. Le partecipanti, seguite per oltre un decennio, erano tra 50 e
79 anni all'inizio dello studio, e ogni anno venivano pesate e interrogate
sull'occorrenza di fratture dell'arto superiore ovvero mano, polso, gomito,
braccio, spalla, degli arti inferiori cioè piede, ginocchio, coscia tranne
anca, caviglia, e del corpo: anca, bacino e colonna vertebrale. Il calo
ponderale è stato classificato come stabile o rilevante a seconda che fosse
inferiore o superiore a una diminuzione del 5% rispetto alla prima pesata. Il
criterio usato per l'incremento di peso era il medesimo, e prevedeva un aumento
minore o maggiore del 5% dal primo valore. I risultati? Al termine del
follow-up la perdita di peso comportava un aumento del 65% delle fratture
d'anca e del 9% di quelle dell'arto superiore. Viceversa, l'incremento
ponderale si legava a un aumento del 10% delle fratture degli arti superiori e
del 18% di quelle degli arti inferiori. In un editoriale Juliet
Compston, professore emerito all'Università di Cambridge, commenta: «In
post-menopausa una perdita di peso involontaria del 5% o più dovrebbe essere
considerata un fattore di rischio fratturativo, specie per l'anca. Viceversa,
il legame tra fratture e perdita di peso intenzionale nonché aumento di peso,
sebbene in misura minore, sottolinea la necessità di prevenire il
depauperamento di tessuto osseo durante gli interventi dimagranti».
Mi occupo di Nutrizione per patologie accertate, Lipedema, Policistosi Ovarica, Intolleranze Alimentari, Disbiosi, Dieta Chetogenica su misura. Ricevo a Messina e Catania. In queste pagine offro consigli nutrizionali, ricette per tutti coloro che si interessano di Dieta, Nutrizione e Salute. Sono disponibile a consulenze online. Questo blog è collegato alla pagina Facebook Camice&Mestoli ed Instagram Bionutrizionistacacciola
30 gennaio 2015
19 gennaio 2015
I cereali integrali sono associati a una riduzione della mortalità cardiovascolare
Secondo uno studio da poco pubblicato su Jama Internal
Medicine, nel contesto di un'alimentazione equilibrata il consumo di cereali
integrali è correlato a un calo della mortalità, in special modo correlata a
eventi cardiovascolari. In compenso, non sembra esserci alcun effetto per
quanto riguarda i decessi per cancro. Lo studio è stato diretto da Hongyu Wu
della Harvard school of public health di Boston, negli Stati Uniti: «I cereali
sono semi di frumento, segale, orzo, avena e riso che da secoli fanno parte
dell'alimentazione umana» spiega Wu. «In epoca industriale i progressi in
molitura e lavorazione hanno permesso la produzione di farine raffinate
ottenute in gran parte dall'endosperma ricco in amido».
Crusca e germe contengono nutrienti che però vanno perduti
con la raffinazione, e i risultati di molti studi indicano che il consumo
regolare di cereali integrali riduce il rischio di disturbi cardiaci e di
altre
malattie croniche come il diabete, oltre a favorire un peso equilibrato. «Meno
noti e non sempre coerenti, invece, sono i dati sulla mortalità legata a una
dieta ricca in cereali integrali» riprende Wu, che per provare a rispondere al
quesito ha preso in esame due grandi trial osservazionali: il Nurses' health
study (che tra il 1984 e il 2010 ha coinvolto oltre 70.000 infermiere), e
l'Health professionals follow-up study, che ha seguito oltre 40.000 uomini per
quindici anni, tra il 1986 e il 2010. Tutti i partecipanti di entrambi gli
studi erano liberi da cancro e malattie cardiovascolari al momento del
reclutamento. Tra loro, Wu e colleghi hanno documentato 26.920 decessi: dopo
aver tenuto conto di età, fumo e indice di massa corporea, il maggiore consumo
di cereali integrali è risultato associato a una minore mortalità totale e
cardiovascolare, ma non a quella per cancro. «Questi dati supportano le attuali
raccomandazioni delle linee guida alimentari non solo per facilitare la
prevenzione primaria e secondaria delle malattie cardiovascolari, ma anche per
migliorare l'aspettativa di vita» concludono gli autori.
JAMA Intern
Med. Published online January 05, 2015. doi:10.1001/jamainternmed.2014.6283
13 gennaio 2015
I Giornata Benessere Gratuita.
Il Centro Olistico Biofaridea in collaborazione con il Centro Catanese di Chirurgia Plastica presso la sede in via Teseo 2 Catania organizza la I Giornata Benessere Gratuita.
Il Centro offrirà:
- un trattamento anticellulite e dimagrante con una novità assoluta, l'impiego combinato degli olii naturali insieme alla IONORISONANZA SEQEX
- un trattamento di Coppettazione per dolori ed infiammazione
- Consigli nutrizionali
Per l'appuntamento telefonare a:
dott.ssa Maria Stella Cacciola, biologa nutrizionista, cell 3339959391
signora Mariella D'alì, operatore olistico,
cell 3476336052
Il Centro offrirà:
- un trattamento anticellulite e dimagrante con una novità assoluta, l'impiego combinato degli olii naturali insieme alla IONORISONANZA SEQEX
- un trattamento di Coppettazione per dolori ed infiammazione
- Consigli nutrizionali
Per l'appuntamento telefonare a:
dott.ssa Maria Stella Cacciola, biologa nutrizionista, cell 3339959391
signora Mariella D'alì, operatore olistico,
cell 3476336052
05 gennaio 2015
ALLERGIE ED INTOLLERANZE ALIMENTARI: APPROCCIO PRATICO a cura della dott.ssa Cacciola Maria Stella – Biologa Nutrizionista
“L’attenzione si sta sempre più concentrando
sull’alimentazione, la ragione è che il cibo che introduciamo quotidianamente
può essere un veicolo di sostanze dannose oltre che benefiche…” Pr Umberto
Veronesi
Che cosa sono le
Intolleranze Alimentari? E qual è la differenza dalle Allergie Alimentari?
Le
Allergie sono reazioni
immediate, entro pochi minuti dal contatto con l’allergene o antigene (es
angioedema da crostacei, orticaria da fragole) , con presenza nel circolo
ematico di Immunoglobuline di tipo E,
con il compito di veri “kamikaze”, cioè si collocano sulla superficie dei mastociti,
che sono pieni di istamina. Quindi l’entità di una reazione
allergica dipende anche dal numero di anticorpi e di mastociti presenti in
circolo o nei tessuti. Al contrario le Intolleranze Alimentari sono reazioni lente, quasi un avvelenamento progressivo, infatti i sintomi
insorgono dopo ore o giorni dall’introduzione ripetuta e frequente di alimenti.
Inoltre le Intolleranze Alimentari sono percentualmente maggiori e si collocano
tra il 30 e il 40% mentre quella di allergici è solo dello 0,5%. E’ importante
capire che le intolleranze alimentari provocano ed alimentano stati
infiammatori che alla lunga determinano malattie impegnative.
Quindi con la definizione di Intolleranze Alimentari si indicano
reazioni ostili che l’organismo ha nei confronti del cibo e che
risultano essere diverse dalle
allergie, pur tuttavia , a volte,
mostrando i medesimi sintomi e comunque si collocano come concausa
in numerose condizioni patologiche presenti nella nostra popolazione
Come riconoscerle? Cioè
ci sono sintomi o patologie caratteristiche delle intolleranze alimentari?
E’ vero che si possono riscontrare: stanchezza,
cefalee, nausea, asma, diarrea, meteorismo, dolori addominali postprandiali,
infezioni ricorrenti, dolori articolari, riniti, congiuntiviti, e con
modificazioni cutanee del tipo di orticaria, pelle secca, eczemi, dermatiti,
psoriasi. In verità non esistono
specifici sintomi da intolleranze alimentari ma piuttosto un quadro complessivo
aspecifico che comunque non migliora con terapie sintomatiche ma anzi spesso si
aggrava vieppiù, esempio classico sono le cefalee ricorrenti, accompagnate da
astenia che si cronicizza e spesso con alternanza di peso, oppure la colite,
comunque tutte queste patologie sono caratterizzate da uno stato infiammatorio.
Come diagnosticarle?
Esistono Test per lo
studio delle intolleranze alimentari?
Certamente esistono dei Test di vario genere
che possono aiutare il medico o il nutrizionista a fare una valutazione dalla
quale partire per sviluppare insieme con il paziente una terapia nutrizionale
ottimale. Ma è necessario premettere che si tratta di test non convenzionali. Parlare di test non convenzionali
significa fare riferimento a tecniche di diagnosi che nell'ambito scientifico
non sono ancora accettate da tutti in modo inequivocabile ma che non
equivale a “non scientifico”
Fino a quando l'allergologia
classica non sarà in grado di affrontare e risolvere il problema clinico delle
ipersensibilità, l'uso dei test non convenzionali rimane una necessità.
A questo proposito ritengo utile precisare
che il vero problema non è tanto il tipo di test che si esegue, quanto il tipo
di responsabilità che si prende il medico, sulla base delle conoscenze
acquisite e della sua esperienza clinica, nel guidare il paziente verso la
guarigione.
Non è il singolo test a essere importante,
ma la capacità del medico o dell'allergologo di interpretarlo correttamente e
di applicarlo alla realtà clinica del paziente.
Test CITOTOSSICO: si
tratta di un test di estremo interesse: viene effettuato prelevando il sangue
del paziente e mettendo a confronto il sangue con una serie di sostanze
alimentari: un biologo, al microscopio, stabilisce il livello di rigonfiamento
dei granulociti (un tipo di globuli bianchi), o di tutte le cellule ematiche, e
sancisce quattro livelli di intolleranza che corrispondono a: lieve rigonfiamento,
discreto rigonfiamento, notevole rigonfiamento e rottura.
Aspetti positivi: si
valuta in questo modo una reattività generale dell'intero organismo, e l’alterazione
dei globuli bianchi è un “segnale” sufficientemente attendibile di una
ipersensibilità alimentare. Può essere utilizzato efficacemente in pazienti,
come i bambini, che non possono affrontare test più scientifici come i test di
provocazione, di eliminazione e scatenamento.
Aspetti negativi: la
ripetibilità dei risultati dipende dal biologo che esegue il test, e quindi è
condizionata pesantemente dalla soggettività dell'esaminatore; sia negli USA
sia in Gran Bretagna numerose pubblicazioni hanno mostrato ampie diversità
nella diagnosi di allergia sugli stessi soggetti, dipendenti dal tipo di
lettura effettuata.
Come curarle?
Per il recupero della
tolleranza immunologica si può intervenire almeno in tre modi :
- Alimentare e nutrizionale: la possibile eliminazione dietetica di un alimento può determinare un’attenuazione o la scomparsa della sintomatologia allergica respiratoria, riducendo la quantità di apporti infiammatori che arrivano dagli alimenti.
- Neuro-psichica: diversi lavori scientifici nel campo della psiconeuroimmunologia hanno mostrato come sia possibile modulare una risposta allergica o comunque immunomediata attraverso una particolare emozione.
- Ambientale ecologica: è ormai sufficientemente noto il fatto che l'inquinamento ambientale può contribuire alla genesi e al mantenimento dei fenomeni infiammatori e allergici. Anche se non è possibile eliminare da un momento all'altro le cause ambientali di una infiammazione, conoscerle e imparare a mantenerle al di sotto di un valore di soglia può contribuire a un livello più generale alla limitazione dei danni infiammatori derivanti dalle alterazioni ambientali.
Agendo su tutti i fattori responsabili
della allergia, la rieducazione della malattia o la sua guarigione diventano
possibili. O almeno si può tentare in molti casi di riportare sotto controllo
l'infiammazione allergica e i suoi sintomi percorrendo tutte le vie possibili.
Gli obiettivi di una
terapia dietetica corretta sono quindi:
- Favorire il recupero della tolleranza nei confronti dei cibi non tollerati;
- Evitare pericolose diete di eliminazione, utili solo in caso di allergia classica, quella cioè mediata da IgE ad alto titolo;
- Garantire il rispetto della socialità e del piacere legati all'alimentazione mediante l'attuazione di una dieta di rotazione che preveda alcune giornate di alimentazione libera.
Uno degli effetti positivi della dieta di rotazione rispetto a quella di eliminazione è il controllo delle reazioni infiammatorie senza la perdita di tolleranza nei confronti dell'alimento.
19 dicembre 2014
Glutatione-S-Tranferasi: lo spazzino dell'organismo
Conoscere il DNA può aiutare a volgere a nostro favore anche
una variante
genetica sfavorevole”, con questa frase abbiamo concluso
l’articolo
precedente e sarebbe bene fare un altro esempio per rassicurare chi
con
un test genetico scopre di avere degli specifici enzimi,
leGlutatione-S-Transferasi, non funzionanti.
Le Glutatione-S-Transferasi sono enzimi in grado di rendere
meno reattive
e più facilmente eliminabili dall’organismo varie sostanza
tossiche.
La funzione della Glutatione-S-Transefrasi (GST) è quella di
“attaccare”
(il termine scientifico è “coniugare”) alle sostanze tossiche il
glutatione,
una sostanza che ne permette l’escrezione. Il Glutatione possiamo
figurarcelo
come una specie di “automobile” in grado di trasportare la sostanza
tossica
fuori dal nostro organismo (per esempio attraverso le urine).
Se non ci fosse questo enzima le sostanze tossiche si
“attaccherebbero”
lo stesso al Glutatione, solo che meno rapidamente. Questo
significa
che se dal test genetiche si evince che non si ha una GST
funzionante,
bisogna considerare che queste reazioni avvengono lo stesso,
solo
che molto più lentamente!!
Ma molto praticamente, se uno ha la variante sfavorevole
dell’enzima GST,
c’è qualcosa di concreto che può fare per aiutarsi?
Secondo alcuni studi le persone che hanno la variante
sfavorevole
potrebbero beneficiare maggiormente degli effetti chemoprotettivi
degli isotiocianati (antiossidanti presenti naturalmente in broccoli, cavoli,
cavolfiori e cavolini di Bruxelles) rispetto a chi ha la variante favorevole
(Lodon et al, 2000, Lancet,
356:724-729; Zhang et al, Biochem Biophys
Res Commun 1995, 206:748-55). Dunque
l’introduzione con la dieta di
isotiocinati , potrebbe essere per queste
persone molto più efficace che
nelle persone con la variante favorevole e
dunque particolarmente consigliata!
Completando poi la metafora dell’automobile, una
integrazione con Glutatione
o con suoi precursori, aiuta a fare avvenire
l’attacco del glutatione alla
sostanza tossica più in fretta, semplicemente
perché avere a portata di
mano più “automobili” disponibili aiuterebbe a
condurre fuori dal nostro
corpo le sostanze tossiche.
Da geneticaebenessere.com
18 dicembre 2014
Dieta equilibrata: indice glicemico non migliora il rischio cardiovascolare
JAMA. 2014;312(23):2531-2541. doi:10.1001/jama.2014.16658 JAMA. 2014;312(23):2508-2509. doi:10.1001/jama.2014.15338
15 dicembre 2014
Il succo di barbabietole che contiene nitrati abbassa la pressione
Questo è il primo studio da cui emerge una riduzione
duratura della pressione arteriosa ottenuta somministrando nitrati alimentari,
che alla luce di questi risultati potrebbero avere un ruolo significativo nel
trattamento dell’ipertensione. Lo sostiene Amrita Ahluwalia della Barts e
London school of medicine and dentistry alla Queen Mary university di Londra,
Regno Unito, nonché coordinatrice di uno studio pubblicato su Hypertension. «A
dispetto di 60 anni di progressi nella farmacoterapia dell’ipertensione, solo
metà dei pazienti vengono trattati, e di questi solo il 50% ha valori pressori
ben controllati» spiega la ricercatrice, sottolineando la necessità di nuove
strategie terapeutiche. Tra queste ci sono gli approcci dietetici, che si
basano sulla trasformazione dei nitrati alimentari in ossido nitrico (NO), un
potente vasodilatatore. Nella maggior parte delle malattie cardiovascolari, tra
cui l'ipertensione, i livelli di NO endoteliale sono diminuiti, e la produzione
di NO dalla riduzione chimica di nitrito inorganico (NO2-) è un potenziale
percorso per ripristinarne le concentrazioni. «Il 20% dei nitrati assorbiti
dall’intestino tenue viene catturato dalle ghiandole salivari e secreto in
bocca; da qui i batteri orali li trasformano in NO2- che entra in circolo e,
grazie alla nitrito riduttasi, è convertito a NO con vasodilatazione e riduzione
della pressione» aggiunge Ahluwalia, che assieme ai colleghi ha suddiviso in
due gruppi 68 ambosessi ipertesi tra 18 e 85 anni trattandoli con 250 ml di
succo di barbabietola o con placebo e controllandone la pressione per un mese.
Ebbene, la supplementazione giornaliera di nitrato con la dieta, oltre che ben
tollerata, si è associata, rispetto al placebo, a una riduzione della pressione
arteriosa nel periodo di osservazione. «I nitrati alimentari forniscono una
valida opzione per sfruttare il percorso dell’ossido nitrico, e una strategia
che preveda l’assunzione di verdure ricche di nitrati potrebbe essere
un’opzione efficace e poco costosa per abbassare la pressione nei soggetti a
rischio o non trattati» conclude la ricercatrice.
Hypertension. 2014 Nov 24. doi:
10.1161/HYPERTENSIONAHA.114.04675
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