31 luglio 2012

Malattie Autoimmuni - Articolo scritto dal dott Mainardi Paolo - ricercatore presso Università degli Studi di Genova



Subito dopo la loro scoperta, circa un secolo fa, le patologie autoimmuni sono state studiate sulla base di diverse teorie incentrate sulla produzione di autoanticorpi. Cioè di anticorpi che, per motivi diversi, il corpo umano sarebbe capace di produrre contro se stesso.  Anni di ricerche in tal senso non hanno prodotto terapie vincenti per queste devastanti patologie, pertanto sono necessari nuovi approcci, nuove idee.
Recentemente per le patologie autoimmuni è stato preso in considerazione il ruolo dell’intestino[1]. Infatti, in queste patologie autoimmuni è riportata un’elevata permeabilità intestinale. Un intestino troppo permeabile lascia passare grosse frazioni peptidiche prima che queste siano ridotte a piccoli peptidi. Contro questi grandi peptidi si scatenerà una risposta anticorpale, che dipende unicamente dalle dimensioni delle molecole che entrano nel torrente circolatorio.
Questi grandi peptidi potranno accumularsi presso sequenze amminoacidiche delle proteine tissutali a loro simili (simile cerca simile), ma in questo modo, portandosi dietro  gli anticorpi questi si attiveranno questi attaccheranno anche le sequenze amminoacidiche delle proteine tissutali simili, in quanto la tollerabilità degli anticorpi non è in grado di distinguere la sequenza ammino acidica del peptone “clandestino”da quella della proteina tissutale.
In pratica la risposta immunitaria non è impazzita, ma attacca, giustamente, le proteine tissutali che hanno sequenze amminoacidiche simili a quelle delle grosse frazioni proteiche (peptidiche) “clandestine” che la hanno attivata.
Studi recenti confermano la presenza di elevata permeabilità intestinale nelle patologie autoimmuni, oggi misurabile in modo preciso grazie alla determinazione plasmatica di una proteina, lo Zonulin, che è stata vista controllare la permeabilità intestinale.
Elevati livelli di questa proteina corrispondono ad elevata permeabilità[2].
Oggi si è appreso che la permeabilità intestinale non è un fattore statico, ma dinamico, modulabile in base a stimolazioni, nell’arco di ore.
ELEVATI LIVELLI DI ZONULIN SONO STATI RIPORTATI NELLE PATOLOGIE AUTOIMMUNI, confermando l’elevata permeabilità.
L’alfa-lattoalbumina, sieroproteina del latte ha il compito di ridurre la permeabilità intestinale, che è massima al momento della nascita: nel colostro umano rappresenta il 40% delle proteine totali.
Altrimenti intere proteine possono attraversare la membrana intestinale.
In 6-7 giorni di allattamento la permeabilità viene ridotta e vengono attivati i processi difensivi intestinali e quelli assorbitivi.
Ridurre la permeabilità intestinale impedisce l’ingresso nel torrente circolatorio dei grossi peptidi responsabili della risposta anticorpale che attaccano le proteine tissutali, dando origine alle patologie autoimmuni.  In questo modo si ferma il problema dalla sua origine.
[1] Fasano A, Shea-Donohue T. Mechanisms of disease: the role of intestinal barrier function in the pathogenesis of gastrointestinal autoimmune diseases. Nat Clin Pract Gastroenterol Hepatol. 2005 Sep;2(9):416-22
[2] Wang W, Uzzau S, Goldblum SE, Fasano A. Human zonulin, a potential modulator of intestinal tight junctions. J Cell Sci. 2000 Dec;113 Pt 24:4435-40.


27 luglio 2012

Picnogenolo allevia i sintomi della menopausa


08-06-2012

L'assunzione giornaliera di estratto di Pino marittimo francese può alleviare i sintomi della menopausa e disturbi digestivi secondo i risultati di un recente studio italiano. L'assunzione per 8 settimane di Picnogenolo è risultata infatti associata ad un miglioramento dei segni e dei sintomi di menopausa tra cui vampate, sudorazione notturna, alterazioni dell'umore, perdita della libido e secchezza vaginale.
Lo studio ha coinvolto 70 donne in perimenopausa di età compresa tra i 40 e i 50 anni. Le donne sono state randomizzate per ricevere un trattamento giornaliero con Picnogenolo o con placebo per 8 settimane. I risultati hanno dimostrato che l'integrazione con Picnogenolo ha alleviato sintomi quali vampate, sudorazione notturna, alterazioni dell'umore, perdita della libido e secchezza vaginale. Oltre ad arginare i sintomi del climaterio l'estratto di pino marittimo francese ha dimostrato anche di contrastare lo stress ossidativo.
Infine le donne in menopausa presentano un elevato rischio di sviluppare patologie cardiovascolari e il miglioramento della funzione endoteliale che si ottiene con il Picnogenolo può perciò essere utile in questa fase della vita. Picnogenolo normalizza l'attività piastrinica se troppo elevata ed aiuta a contrastare l'insorgenza di trombosi. 

Bibliografia: Errichi S. et al. 'Supplementation with Pycnogenol improbe signs and symptoms of menopausal transition' Panminerva Medica 2011; 53 (suppl 1 n.3): 65-70

13 luglio 2012

DAL MONDO DELLE ALGHE


 
Prime forme viventi, le alghe non solo testimoniano il nostro passato, ma rappresentano un’ancora di salvezza per il nostro futuro. Contengono in maniera concentrata tutte le sostanze nutritive necessarie all’organismo umano.
Fossil Diatoms - Natural History Museum London
Prima ancora che la Natura decidesse cosa fare del nostro pianeta, era l’ALGA. Tre miliardi di anni fa, immerse in un’atmosfera di gas irrespirabili, alcune microsfere fotosintetiche, poco più che batteri, alghe appunto, iniziarono una lenta ma inesorabile opera di trasformazione. Il sottoprodotto della fotosintesi clorofilliana, l’ossigeno, occupava allora meno dell’1% dell’atmosfera.
Con quest’opera instancabile, che tuttora continua, le alghe hanno potuto lentamente trasformare i gas atmosferici producendo aria respirabile e ponendo così le basi per l’evoluzione delle forme di vita superiori.
Da allora anche le alghe si sono evolute e specializzate in oltre 20.000 specie oggi conosciute, che si distinguono secondo la pigmentazione: Cloroficee (alghe verdi), Feoficee (alghe brune), Rodoficee (alghe rosse), Cianoficee (alghe azzurre).
Che le alghe si mangino in ogni angolo della terra è ormai risaputo, ma forse ancora pochi conoscono e riconoscono i sapori caratteristici e gli importantissimi valori nutrizionali che esse racchiudono. Sali minerali, oligoelementi, vitamine, aminoacidi, acidi grassi essenziali ….
Praticamente tutto quello che ci serve per star bene ad un bassissimo costo calorico ed un elevatissimo indice di digeribilità. Non solo sono commestibili per noi umani ma possono essere ancor più utili negli allevamenti e nelle colture a regime biologico, oltre che per i nostri animali domestici e le piante di casa.
C’è chi poi, semplicemente osservando le loro naturali caratteristiche, ha sperimentato con successo il loro utilizzo per la depurazione delle acque reflue. Le alghe, in simbiosi con i batteri, si nutrono dei nostri rifiuti organici, trasformandoli in biomassa ed ossigeno. Gia si producono petrolio e metano dalla biomassa algale, e ben presto, quando questo nuovo combustibile prenderà piede, con le alghe potremo produrre l’idrogeno in maniera pulita e sostenibile. Si intravedono ipotesi futuribili di sfruttamento su larga scala di una risorsa economica pulita e praticamente inesauribile. Già oggi, Compagnie multinazionali ne utilizzano alcuni elementi caratteristici (phycocolloidi) per le più svariate applicazioni, dall’industria chimica a quella alimentare.
L’industria farmaceutica e quella cosmetica trovano che parti più nobili delle alghe (vitamine, acidi grassi, etc.) siano specificamente indicate ai loro scopi. E l’uomo perpetua i suoi errori, smontando e rimontando la natura a proprio arbitrio con la presunzione di poterla migliorare, o semplicemente per colmare il vuoto di una vita troppo legata al suo valore materiale e quindi lontana dalla sua stessa essenza.
Le alghe, i nostri antenati geniali meritano quindi il rispetto che si deve ai patriarchi, che con la loro esperienza sono in grado di indirizzare i nostri passi verso la strada della consapevolezza, senza però volerne snaturare i principi, lasciando cioè il più possibile intatti gli equilibri naturali.
Per quanto riguarda la nostra salute possiamo trovare nelle alghe valide alleate per migliorarla.
Grazie al riequilibrio energetico indotto dall’assunzione regolare di piccole quantità di differenti qualità di alghe marine e microalghe, il nostro organismo può beneficiare di un considerevole apporto di “micronutrienti” proporzionalmente bilanciati ed equilibrati per far fronte a possibili carenze o sovraconsumi. La composizione biochimica della struttura algale è indice di quali possano essere gli imput positivi indotti dalla loro assunzione rispetto ai blocchi metabolici ed energetici che impediscono o limitano la funzionalità dei nostri organi . Lungi dall’essere medicine, le alghe sono però alimenti del tutto particolari, indicati principalmente per migliorare la funzionalità dell’apparato gastro-intestinale, per innalzare i livelli metabolici ed energetici, per favorire la circolazione dei fluidi organici, per depurare e disintossicare, per normalizzare la composizione ematica, per rallentare i processi degenerativi della senescenza.
Usate per l’alimentazione, per la cosmesi, in campo curativo, le alghe non hanno solo lo scopo di aiutarci a livello materiale, ma rappresentano il legame con una antica memoria inconscia, legata al mare nel quale la vita ebbe origine e dal quale possiamo attingere l’energia primordiale per ritornare alle origini, per avvicinarci all’assoluto.

COME SCEGLIERE LA FRUTTA GIUSTA DI STAGIONE


frutta e verdura km 150x150 Come scegliere la frutta giusta di stagioneImparare a fare la spesa di verdure e frutta di stagione oltre a essere un beneficio per la nostra salute lo è anche per il nostro portafoglio. I Km zero ci permettono di risparmiare, far funzionare l’economia locale e avere anche più gusto nei prodotti che andiamo a consumare. Inoltre teniamo presente che prodotti importati da oltremare – leggi Asia, Africa del Sud, Nuova Zelanda, … – hanno un bilancio ecologico capace di rendere amaro anche la torta più dolce; il consumo di carburante e le relative emissioni sono enormi.
Il trasporto di 1 kg di asparagi dal Sudafrica, ad esempio, consuma 4 litri di cherosene, mentre l’import di 3 kiwi dalla Nuova Zelanda produce 2 kg di CO2.
Pertanto quando fate la spesa non pensate che “l’erba del vicino è sempre più verde” … scegliete i prodotti in base alla loro provenienza regionale e secondo i periodi di raccolta elencati di seguito.

Verdura: gennaio – giugno

GenFebMarAprMagGiu
Asparagixxx
Broccoli
Carote
Cavolfiore
Cavolo neroxx
Cetrioli
Cipolle
Fagiolix
Finocchio
Mais
Melanzane
Patate
Peperonix
Pisellixx
Pomodori
Porrixx
Rape rossexx
Sedanox
Sedano rapa
Spinacixxx
Verzexx
Zucca
Zucchini

Verdura: luglio – dicembre

LugAgoSetOttNovDic
Asparagi
Broccolixxxxx
Carotexxxx
Cavolfiorexxxxx
Cavolo neroxxx
Cetriolixxxx
Cipollexxxxxx
Fagiolixx
Finocchioxx
Maisxxx
Melanzanexxx
Patatexxx
Peperonixxxx
Pisellixx
Pomodorixxxx
Porrixxxxxx
Rape rossexxxxx
Sedanoxxxx
Sedano rapaxxxx
Spinacixxx
Verzexxxxxx
Zuccaxxx
Zucchinixxxxx

Frutta: gennaio – giugno

GenFebMarAprMagGiu
Albicocchex
Arancexxxxxx
Ciliegexx
Fragolexx
Lamponix
Limonixxxxxx
Mele
Mirtillix
Mirtilli rossi
More
Pere
Peschex
Prugne
Ribesx
Uva

Frutta: luglio – dicembre

LugAgoSetOttNovDic
Albicocchexx
Arancexx
Ciliege
Fragolexxx
Lamponixxx
Limonixxx
Melexxxx
Mirtillix
Mirtilli rossixx
Morexxxx
Perexxx
Peschexx
Prugnexxx
Ribesxx
Uvaxx
Speriamo che tutto questo possa tornarvi utile e tornare utile anche all’ambiente riducendo le emissioni…..
Agnese Tondelli

11 luglio 2012

LG della British Dietetic Association per la sindrome dell'intestino irritabile: ancora poche e deboli le evidenze


La sindrome dell'intestino irritabile (Irritable Bowel Syndrome, IBS) è una condizione patologica che, secondo i dati della World Gastroenterology Organisation (2009), interessa il 9-23% della popolazione mondiale. La IBS interferisce in maniera rilevante sulla qualità della vita, essendo spesso associata ad una personalità ansiosa indirizzata prevalentemente verso i disturbi intestinali. La dieta è importante per la terapia, ma data anche la variabilità dei sintomi (prevalenza di diarrea, IBS-D, prevalenza di stipsi, IBS-C, alternanza di diarrea e stipsi, IBS-M), che si associano al dolore addominale, è difficile trovare in letteratura indicazioni univoche e precise sul comportamento alimentare più opportuno, nonostante qualche tentativo di inserire anche consigli dietetici in linee guida terapeutiche più ampie (Linee guida NICE, 2008). È perciò motivo di interesse la lettura delle nuove linee guida dietetiche elaborate dalla British Dietetic Association (BDA), che sono fo ndate sulle evidenze deducibili dall'analisi di 30 studi pubblicati tra il gennaio 1985 e il novembre 2009 nei principali database internazionali. La terapia dietetica si realizza lungo 3 linee
1.    dopo un accurato studio clinico per indagare sulla salubrità dell'alimentazione e dello stile di vita e per definire i sintomi e il sottotipo dell'IBS, va posta l'attenzione sul latte e i suoi derivati, valutando la tolleranza al lattosio con l'esecuzione di un breath test; se tale esame non è realizzabile viene consigliato di prescrivere una dieta a basso contenuto di lattosio e valutare gli effetti a breve, medio e lungo termine; gli studi considerati documentano, sia pure con una evidenza debole-moderata, la scomparsa dei sintomi o la loro attenuazione in una buona percentuale di casi, qualunque sia stata la durata del trattamento, da 3 settimane a 5 anni; la dieta deve porre attenzione anche ai polisaccaridi non amilacei ed essere equilibrata nell'apporto di fibre, cibi grassi, caffè, alcol, liquidi; anche per i polisaccaridi non amilacei vi è un'evidenza non costante e lieve-moderata nella capacità di ridurre i sintomi
2.    in caso di insuccesso dei provvedimenti di prima linea nei soggetti con IBS-C va eseguito un tentativo con fibre vegetali non solubili, che aumentano il peso delle feci senza incrementare in modo significativo i fenomeni di fermentazione; naturalmente va invece ridotta l'assunzione di carboidrati fermentabili, soprattutto nei soggetti con documentata o sospetta intolleranza al fruttosio e nei soggetti con meteorismo, flatulenza e dolore addominale; in questa fase può essere iniziato l'uso dei probiotici, valutando gli effetti di un solo preparato per un periodo di almeno 4 settimane; i probiotici possono  ridurre i sintomi in modo significativo in una discreta percentuale di pazienti (in uno studio hanno ridotto soltanto la flatulenza e in 2 studi dopo 6 e 8 settimane di impiego non hanno avuto alcun effetto sul quadro clinico)
3.    nei soggetti con IBS-D la terza linea terapeutica prevede il ricorso a una dieta empirica che impieghi solo alimenti abitualmente ben tollerati o una dieta di eliminazione, rinunciando in maniera sequenziale a 1 o 2 alimenti per volta; se nell'arco di 2-4 settimane non vi è scomparsa o miglioramento dei sintomi, è poco probabile che essi siano dovuti agli alimenti eliminati (è ovvio che la dieta di eliminazione può richiedere anche tempi molto lunghi per dare risultati terapeutici).
Le procedure terapeutiche sopra riportate sono derivate da uno studio molto attento e rigoroso. In prima istanza sono stati selezionati 1.130 lavori; di essi 112 sono stati considerati utilizzabili, ma alla fine solo 30 avevano i criteri di inclusione individuati dal gruppo di studio della BDA. Questo gruppo perciò, preso atto della scarsa numerosità di studi attendibili e delle evidenze in linea di massima deboli, esprime una corretta conclusione secondo cui la ricerca in futuro s i deve fondare su studi controllati, ben disegnati, con una casistica numerosa e con un lungo periodo di follow up. Inoltre l'obiettivo di valutare il rapporto efficacia/sicurezza di terapie dietetiche richiede una attenta stratificazione dei sottotipi di IBS.

McKenzie YA et al. (per il Gruppo Specialistico Gastroenterologico della British Dietetic Association). British Dietetic Association evidence-based guidelines for the dietary management of irritable bowel syndrome in adults. J Hum Nutr Diet 2012; 25: 260-274 

09 luglio 2012

Probiotico geneticamente modificato per “fronteggiare” il diabete di tipo uno



Studio sui topi: un   induce tolleranza nei confronti delle cellule beta pancreatiche
Un  preso per bocca è riuscito a “riprogrammare” il sistema immunitario in un modello animale di  , quello giovanile, e a riportare i livelli glicemici nella norma. Lo studio, europeo, vede protagonisti ricercatori dell’università di Siena e dell’università di Lovanio. I primi per l’idea, i secondi per la creazione dei lactobacilli modificati. L’interesse è alto, la pubblicazione sulla rivista americana Journal of Clinical Investigation lo conferma. E l’avvio di una sperimentazione sull’uomo già dal primo semestre del 2013 significa che i risultati sull’animale hanno aperto una strada nuova che potrebbe riportare i pancreas autodistruttivi dei diabetici  a ripartire come se fossero stati a riposo. Tutto ciò è accaduto nei topi Nod (un modello animale che esprime il   come nell’uomo).
STRATEGIA – Fondamentalmente, gli studiosi sono riusciti a dimostrare che tale trattamento induce un profondo “resetting” del sistema immunitario inducendo tolleranza nei confronti delle cellule beta pancreatiche in modo sicuro, specifico e duraturo. Lo studio dimostra, infatti, che l’assunzione per via orale di Actiobiotics ingegnerizzati per rilasciare auto antigeni e molecole anti-infiammatorie a livello della mucosa intestinale rappresenta una potenziale nuova strategia terapeutica per il . Potrebbe funzionare. E sarebbe probabilmente più interessante, e meno costosa, di un’altra via appena sperimentata dagli scienziati statunitensi dell’university of North Carolina school of Medicine che sono riusciti ad “invertire”, con l’immunoterapia, il   in topi geneticamente modificati per sviluppare la malattia e con diagnosi recente. Gli americani hanno utilizzato delle iniezioni di anticorpi (il lavoro è stato pubblicato su Diabetes): ne sono bastate due nei topi per mantenere la remissione della malattia a tempo indeterminato e, sembra, senza danneggiare il sistema immunitario delle cavie. Ovviamente occorrerà verificare se lo stesso accade nell’uomo, nei pazienti con diagnosi recente.
LO STUDIO – Francesco Dotta, endocrinologo e diabetologo del Policlinico “Le Scotte” di Siena, ne spiega i presupposti: «Tutto è partito da precedenti sperimentazioni fatte dal nostro laboratorio e da altri gruppi europei. In sintesi, avevamo osservato che la somministrazione per via orale di probiotici (in particolare una miscela di lactobacilli e bifidobatteri) era in grado di prevenire l’insorgenza del  autoimmune nel topo Nod. Tale effetto si manifestava quando il trattamento era effettuato tra la quarta e la sesta settimana di età, ossia prima della comparsa dei primi fenomeni infiammatori e della reazione autoimmune a carico delle beta-cellule (quelle che producono insulina) del pancreas. La miscela di probiotici è poi apparsa in grado di ritardare, ma non di prevenire, l’insorgenza del  se somministrata dopo l’ottava settimana di età, ossia successivamente alla comparsa dei fenomeni infiammatori ed autoimmuni anti-isola pancreatica, costituita appunto dalle beta-cellule. Lo stesso trattamento però non aveva alcun effetto nel ripristinare il funzionamento delle beta cellule (ossia la secrezione dell’insulina) quando veniva somministrato in topi Nod alla diagnosi della malattia».
GLI EFFETTI – Ecco alcuni punti chiave: l’infiammazione, la reazione  auto-immune e, quindi, la malattia. Spegnere l’infiammazione ed evitare il  significa però sapere che è in corso lo sviluppo della malattia. Quando la si scopre è già troppo tardi. Nei topi Nod si sa già che compare e quindi è possibile vedere quanto accade e quanto potrà accadere. Si è visto quindi che gli effetti della miscela di probiotici erano quelli di far aumentare nettamente le citochine anti-infiammatorie ed in particolare una di queste, l’interleuchina-10 (Il-10), sia a livello delle isole pancreatiche sia del sistema immunitario intestinale. Continua Dotta: «Si è anche osservato che, nel topo Nod, era possibile ripristinare la secrezione insulinica alla diagnosi di attraverso un’immunosoppressione marcata e generalizzata con la somministrazione di alte dosi di un anticorpo monoclonale anti-CD3, ossia diretto contro tutti i linfociti T (cellule chiave del sistema di difesa ma anche in caso di reazioni auto-immuni perché attaccano le cellule amiche come fossero nemiche). Bloccarle significa fermare la malattia ma anche le difese buone. E i test clinici con anti-CD3 nell’uomo alla diagnosi di  tipo 1 sono stati interrotti in quanto ad alte dosi si sono avuti importanti effetti collaterali, mentre a basse dosi non si è registrato alcun effetto protettivo».
IL  – Partendo da queste premesse, si è pensato di “aumentare” quanto di buono dimostrato dai probiotici da soli, aggiungendo loro due capacità: una anti-infiammatoria, l’altra di finti bersagli per i linfociti T. Siena chiama Lovanio (Belgio), con cui già collabora nell’ambito di un grosso progetto di ricerca finanziato dalla Comunità europea, e si “progetta” il  ogm. Nasce così il Lattococco (un Actobiotics) “ingegnerizzato” per gli esperimenti di Siena. Hanno collaborato anche le università di Bruxelles e quella statunitense di Gainesville in Florida. Gli Actobiotics modificati producono, a livello intestinale, sia la citochina anti-infiammatoria IL-10 sia un auto-antigene beta cellulare, come la pro-insulina (ovvero il precursore dell’insulina). Nella nuova sperimentazione sono stati utilizzati nei topi Nod al momento della diagnosi di tipo 1, cioè in quella fase della malattia nella quale il trattamento con i semplici probiotici non era stata efficace. «I risultati che abbiamo ottenuto e pubblicato – dice Dotta – hanno dimostrato che mediante tale trattamento è possibile ristabilire normali valori glicemici. Inoltre, siamo riusciti a dimostrare che tale strategia terapeutica induce un profondo resetting del sistema immunitario, caratterizzato dalla migrazione di cellule T-regolatorie (ossia di cellule T che vanno a sopprimere la risposta auto-immune distruttiva) a livello delle isole pancreatiche, inducendo così tolleranza nei confronti delle cellule beta pancreatiche in modo sicuro, specifico e duraturo».
TEST SULL’UOMO – Insomma, risultati che se si ottenessero con la stessa efficacia nell’uomo significherebbero l’addio alle iniezioni di insulina per chi soffre di autoimmune. Si è visto anche che isole del pancreas ormai considerate fuori uso hanno ricominciato a svolgere la loro funzione una volta che si è riequilibrato il sistema immunitario dell’organismo. Quindi non distrutte, ma “addormentate” in attesa di tempi migliori. Tutto questo nei topi Nod, ovviamente. Ma così bene da progettare già i protocolli per i test sull’uomo il cui avvio è previsto nel primo semestre 2013. La strada è aperta e, per la prima volta, si intravede la possibilità di far guarire dal   centinaia di migliaia di malati nel mondo: 250 mila solo in Italia.

Latte d'Asina per dimagrire, gli italiani rilanciano elisir di Cleopatra


 Il segreto di bellezza di Cleopatra potrebbe avere un fondamento scientifico. Leggenda vuole che la regina dell'Antico Egitto fosse solita immergersi nel latte d'asina per conservare lo splendore della propria pelle. Oggi sono gli scienziati a rivalutare questo alimento e a scoprirne nuove doti. Sembra infatti che quello che veniva considerato 'oro bianco' da diverse figure femminili del passato - dalla seconda moglie dell'imperatore Nerone, Poppea, alla sorella di Napoleone, Paolina Bonaparte - faccia miracoli per il girovita.
A rivelarlo è una ricerca 'made in Italy', condotta da un gruppo dell'università di Napoli e presentata all'European Congress on Obesity (Eco 2011), in corso fino a domani a Istanbul (Turchia). I ricercatori sono convinti che il latte d'asina sia un alleato del peso forma per diversi motivi: ha elevate quantità di omega 3 e di calcio, cosa che potrebbe avere effetti benefici anche per il cuore, e sembra aiuti a mantenere alti i livelli di energia per tutta la giornata. Tanto che gli autori della ricerca lo suggeriscono come alternativa al latte scremato e alla soia, e invitano i fan delle diete e gli oversize in continua lite con la bilancia a dare una chance al latte d'asina.
Quella presentata a Istanbul non è la prima ricerca che lo descrive come un elisir di bellezza e salute. Studi precedenti avevano già suggerito che la bevanda ricca di proteine potesse rappresentare una buona alternativa al latte di mucca per i bambini allergici, e che potesse diventare il futuro pilastro nelle diete di chi è attento al proprio peso e alla salute. Nello studio italiano, gli scienziati hanno diviso i ratti in due gruppi e li hanno nutriti rispettivamente con latte d'asina e latte di mucca, in aggiunga alla loro consueta alimentazione. Mentre quelli che hanno bevuto latte di mucca sono arrivati a pesare più dei ratti normali, quelli a cui è toccato il latte d'asina sono risultati più magri della media.
Non solo: anche i livelli di grasso nel sangue e la presenza di altri grassi dannosi per arterie e cuore erano inferiori. E i mitocondri, le 'microbatterie' che alimentano le cellule, erano ultra-ricaricati, riuscendo a convertire il cibo in energia a un ritmo più veloce. La conclusione a cui arrivano gli scienziati è che "bisognerebbe incoraggiare il consumo di latte d'asina".
Certo chi volesse subito sposare la milk therapy, riflettono gli esperti, potrebbe avere qualche difficoltà. Se, infatti, la bevanda ha avuto molta fortuna in passato, oggi non è più di moda ed è quasi impossibile acquistarla in supermercato.