05 gennaio 2015

ALLERGIE ED INTOLLERANZE ALIMENTARI: APPROCCIO PRATICO a cura della dott.ssa Cacciola Maria Stella – Biologa Nutrizionista


“L’attenzione si sta sempre più concentrando sull’alimentazione, la ragione è che il cibo che introduciamo quotidianamente può essere un veicolo di sostanze dannose oltre che benefiche…” Pr Umberto Veronesi


Che cosa sono le Intolleranze Alimentari? E qual è la differenza dalle Allergie Alimentari?
Le Allergie sono reazioni immediate, entro pochi minuti dal contatto con l’allergene o antigene (es angioedema da crostacei, orticaria da fragole) , con presenza nel circolo ematico di  Immunoglobuline di tipo E, con il compito di veri “kamikaze”, cioè si collocano sulla superficie dei mastociti, che sono pieni di istamina. Quindi l’entità di una reazione allergica dipende anche dal numero di anticorpi e di mastociti presenti in circolo o nei tessuti. Al contrario le Intolleranze Alimentari sono reazioni lente, quasi un avvelenamento progressivo, infatti i sintomi insorgono dopo ore o giorni dall’introduzione ripetuta e frequente di alimenti. Inoltre le Intolleranze Alimentari sono percentualmente maggiori e si collocano tra il 30 e il 40% mentre quella di allergici è solo dello 0,5%. E’ importante capire che le intolleranze alimentari provocano ed alimentano stati infiammatori che alla lunga determinano malattie impegnative.
Quindi con la  definizione di Intolleranze Alimentari si indicano  reazioni ostili che l’organismo ha nei confronti del cibo e che risultano essere  diverse dalle allergie,  pur tuttavia , a volte, mostrando i medesimi sintomi e comunque si collocano come  concausa  in numerose condizioni patologiche presenti nella nostra popolazione

Come riconoscerle? Cioè ci sono sintomi o patologie caratteristiche delle intolleranze alimentari?
 E’ vero che si possono riscontrare: stanchezza, cefalee, nausea, asma, diarrea, meteorismo, dolori addominali postprandiali, infezioni ricorrenti, dolori articolari, riniti, congiuntiviti, e con modificazioni cutanee del tipo di orticaria, pelle secca, eczemi, dermatiti, psoriasi.  In verità non esistono specifici sintomi da intolleranze alimentari ma piuttosto un quadro complessivo aspecifico che comunque non migliora con terapie sintomatiche ma anzi spesso si aggrava vieppiù, esempio classico sono le cefalee ricorrenti, accompagnate da astenia che si cronicizza e spesso con alternanza di peso, oppure la colite, comunque tutte queste patologie sono caratterizzate da uno stato infiammatorio.

Come diagnosticarle?
Esistono Test per lo studio delle intolleranze alimentari?
 Certamente esistono dei Test di vario genere che possono aiutare il medico o il nutrizionista a fare una valutazione dalla quale partire per sviluppare insieme con il paziente una terapia nutrizionale ottimale. Ma è necessario premettere che si tratta di test non convenzionali. Parlare di test non convenzionali significa fare riferimento a tecniche di diagnosi che nell'ambito scientifico non sono ancora accettate da tutti in modo inequivocabile ma che non equivale a “non scientifico”
Fino a quando l'allergologia classica non sarà in grado di affrontare e risolvere il problema clinico delle ipersensibilità, l'uso dei test non convenzionali rimane una necessità.
   A questo proposito ritengo utile precisare che il vero problema non è tanto il tipo di test che si esegue, quanto il tipo di responsabilità che si prende il medico, sulla base delle conoscenze acquisite e della sua esperienza clinica, nel guidare il paziente verso la guarigione.
   Non è il singolo test a essere importante, ma la capacità del medico o dell'allergologo di interpretarlo correttamente e di applicarlo alla realtà clinica del paziente.
Test CITOTOSSICO: si tratta di un test di estremo interesse: viene effettuato prelevando il sangue del paziente e mettendo a confronto il sangue con una serie di sostanze alimentari: un biologo, al microscopio, stabilisce il livello di rigonfiamento dei granulociti (un tipo di globuli bianchi), o di tutte le cellule ematiche, e sancisce quattro livelli di intolleranza che corrispondono a: lieve rigonfiamento, discreto rigonfiamento, notevole rigonfiamento e rottura.
Aspetti positivi: si valuta in questo modo una reattività generale dell'intero organismo, e l’alterazione dei globuli bianchi è un “segnale” sufficientemente attendibile di una ipersensibilità alimentare. Può essere utilizzato efficacemente in pazienti, come i bambini, che non possono affrontare test più scientifici come i test di provocazione, di eliminazione e scatenamento.
Aspetti negativi: la ripetibilità dei risultati dipende dal biologo che esegue il test, e quindi è condizionata pesantemente dalla soggettività dell'esaminatore; sia negli USA sia in Gran Bretagna numerose pubblicazioni hanno mostrato ampie diversità nella diagnosi di allergia sugli stessi soggetti, dipendenti dal tipo di lettura effettuata.
Come curarle?
Per il recupero della tolleranza immunologica si può intervenire almeno in tre modi :
  • Alimentare e nutrizionale: la possibile eliminazione dietetica di un alimento può determinare un’attenuazione o la scomparsa della sintomatologia allergica respiratoria, riducendo la quantità di apporti infiammatori che arrivano dagli alimenti.
  • Neuro-psichica: diversi lavori scientifici nel campo della psiconeuroimmunologia hanno mostrato come sia possibile modulare una risposta allergica o comunque immunomediata attraverso una particolare emozione.
  • Ambientale ecologica: è ormai sufficientemente noto il fatto che l'inquinamento ambientale può contribuire alla genesi e al mantenimento dei fenomeni infiammatori e allergici. Anche se non è possibile eliminare da un momento all'altro le cause ambientali di una infiammazione, conoscerle e imparare a mantenerle al di sotto di un valore di soglia può contribuire a un livello più generale alla limitazione dei danni infiammatori derivanti dalle alterazioni ambientali.

    Agendo su tutti i fattori responsabili della allergia, la rieducazione della malattia o la sua guarigione diventano possibili. O almeno si può tentare in molti casi di riportare sotto controllo l'infiammazione allergica e i suoi sintomi percorrendo tutte le vie possibili.

Gli obiettivi di una terapia dietetica corretta sono quindi:

  • Favorire il recupero della tolleranza nei confronti dei cibi non tollerati; 
  • Evitare pericolose diete di eliminazione, utili solo in caso di allergia classica, quella cioè mediata da IgE ad alto titolo; 
  • Garantire il rispetto della socialità e del piacere legati all'alimentazione mediante l'attuazione di una dieta di rotazione che preveda alcune giornate di alimentazione libera. 

Uno degli effetti positivi della dieta di rotazione rispetto a quella di eliminazione è il controllo delle reazioni infiammatorie senza la perdita di tolleranza nei confronti dell'alimento.



19 dicembre 2014

Glutatione-S-Tranferasi: lo spazzino dell'organismo



Conoscere il DNA può aiutare a volgere a nostro favore anche una variante 
genetica sfavorevole”, con questa frase abbiamo concluso l’articolo 
precedente e sarebbe bene fare un altro esempio per rassicurare chi con 
un test genetico scopre di avere degli specifici enzimi, 
leGlutatione-S-Transferasi, non funzionanti.

Le Glutatione-S-Transferasi sono enzimi in grado di rendere meno reattive 
e più facilmente eliminabili dall’organismo varie sostanza tossiche.

La funzione della Glutatione-S-Transefrasi (GST) è quella di “attaccare” 
(il termine scientifico è “coniugare”) alle sostanze tossiche il glutatione, 
una sostanza che ne permette l’escrezione. Il Glutatione possiamo figurarcelo
come una specie di “automobile” in grado di trasportare la sostanza tossica
fuori dal nostro organismo (per esempio attraverso le urine).
Se non ci fosse questo enzima le sostanze tossiche si “attaccherebbero”
lo stesso al Glutatione, solo che meno rapidamente. Questo significa 
che se dal test genetiche si evince che non si ha una GST funzionante, 
bisogna considerare che queste reazioni avvengono lo stesso, 
solo che molto più lentamente!!

Ma molto praticamente, se uno ha la variante sfavorevole dell’enzima GST,
 c’è qualcosa di concreto che può fare per aiutarsi?

Secondo alcuni studi le persone che hanno la variante sfavorevole
potrebbero beneficiare maggiormente degli effetti chemoprotettivi 
degli isotiocianati (antiossidanti presenti naturalmente in broccoli, cavoli,
cavolfiori e cavolini di Bruxelles) rispetto a chi ha la variante  favorevole 
(Lodon et al, 2000, Lancet, 356:724-729; Zhang et al, Biochem Biophys 
Res Commun 1995, 206:748-55). Dunque l’introduzione con la dieta di 
isotiocinati , potrebbe essere per queste persone molto più efficace che 
nelle persone con la variante favorevole e dunque particolarmente consigliata!

Completando poi la metafora dell’automobile, una integrazione con Glutatione 
o con suoi precursori, aiuta a fare avvenire l’attacco del glutatione alla 
sostanza tossica più in fretta, semplicemente perché avere a portata di 
mano più “automobili” disponibili aiuterebbe a condurre fuori dal nostro 
corpo le sostanze tossiche.

Da geneticaebenessere.com

18 dicembre 2014

Dieta equilibrata: indice glicemico non migliora il rischio cardiovascolare


Dieta equilibrata: indice glicemico non migliora il rischio cardiovascolare
In uno studio su partecipanti sovrappeso, i soggetti in dieta ipoglicidica a basso indice glicemico non hanno avuto alcun miglioramento in termini di insulino-resistenza, livelli di lipidi o pressione arteriosa sistolica, secondo uno studio pubblicato su Jama. «L'indice glicemico consente di classificare i cibi contenenti carboidrati basandosi sull'aumento della glicemia indotto dopo l'assunzione. In altri termini, l'indice glicemico indica la velocità con cui gli zuccheri alimentari entrano nel sangue» spiega Frank Sacksdel Brigham and Women Hospital di Boston, coautore dell'articolo, sottolineando che più i carboidrati sono raffinati, come lo zucchero bianco, la pasta di semola, il pane bianco o il riso brillato, più rapidamente aumenta la glicemia. «Anche se alcuni sostengono politiche nutrizionali fondate sul consumo di alimenti a basso indice glicemico, i suoi benefici sui fattori di rischio per diabete e malattie cardiovascolari non sono ancora ben compresi» riprende il ricercatore, che con i coautori ha svolto uno studio in cui 163 adulti sovrappeso sono stati trattati con 4 diverse diete per 5 settimane: le prime due erano ricche in carboidrati e avevano, rispettivamente un indice glicemico alto e uno basso; nella terza l'indice glicemico era alto e i carboidrati bassi; nell'ultima indice glicemico e carboidrati erano entrambi bassi. A conti fatti i ricercatori hanno scoperto che nel regime alimentare a ridotto contenuto di carboidrati, il basso indice glicemico rispetto a quello alto non modificava né l'insulino-resistenza, né il colesterolo e neppure la pressione, ma riduceva i trigliceridi. «Nel contesto di una dieta genericamente ipoglicidica, la selezione degli alimenti in base all'indice glicemico non migliora i fattori di rischio cardiovascolari o l'insulino-resistenza» conclude Sacks. E Robert Eckel dell'Università del Colorado di Aurora, scrive in un editoriale: «I risultati dello studio, per molti aspetti inattesi, suggeriscono in sintesi che il concetto di indice glicemico potrebbe essere meno importante di quanto si pensi, specie nel contesto di una dieta equilibrata. Questi dati dovrebbero indirizzare l'attenzione sull'importanza di mantenere in generale uno stile di vita sano, dieta compresa, senza dover guardare, nel particolare, il contenuto in zuccheri di ogni alimento».

15 dicembre 2014

Il succo di barbabietole che contiene nitrati abbassa la pressione

 Questo è il primo studio da cui emerge una riduzione duratura della pressione arteriosa ottenuta somministrando nitrati alimentari, che alla luce di questi risultati potrebbero avere un ruolo significativo nel trattamento dell’ipertensione. Lo sostiene Amrita Ahluwalia della Barts e London school of medicine and dentistry alla Queen Mary university di Londra, Regno Unito, nonché coordinatrice di uno studio pubblicato su Hypertension. «A dispetto di 60 anni di progressi nella farmacoterapia dell’ipertensione, solo metà dei pazienti vengono trattati, e di questi solo il 50% ha valori pressori ben controllati» spiega la ricercatrice, sottolineando la necessità di nuove strategie terapeutiche. Tra queste ci sono gli approcci dietetici, che si basano sulla trasformazione dei nitrati alimentari in ossido nitrico (NO), un potente vasodilatatore. Nella maggior parte delle malattie cardiovascolari, tra cui l'ipertensione, i livelli di NO endoteliale sono diminuiti, e la produzione di NO dalla riduzione chimica di nitrito inorganico (NO2-) è un potenziale percorso per ripristinarne le concentrazioni. «Il 20% dei nitrati assorbiti dall’intestino tenue viene catturato dalle ghiandole salivari e secreto in bocca; da qui i batteri orali li trasformano in NO2- che entra in circolo e, grazie alla nitrito riduttasi, è convertito a NO con vasodilatazione e riduzione della pressione» aggiunge Ahluwalia, che assieme ai colleghi ha suddiviso in due gruppi 68 ambosessi ipertesi tra 18 e 85 anni trattandoli con 250 ml di succo di barbabietola o con placebo e controllandone la pressione per un mese. Ebbene, la supplementazione giornaliera di nitrato con la dieta, oltre che ben tollerata, si è associata, rispetto al placebo, a una riduzione della pressione arteriosa nel periodo di osservazione. «I nitrati alimentari forniscono una valida opzione per sfruttare il percorso dell’ossido nitrico, e una strategia che preveda l’assunzione di verdure ricche di nitrati potrebbe essere un’opzione efficace e poco costosa per abbassare la pressione nei soggetti a rischio o non trattati» conclude la ricercatrice.

Hypertension. 2014 Nov 24. doi: 10.1161/HYPERTENSIONAHA.114.04675

13 dicembre 2014

TIROIDE E GLUTINE: STUDI SCIENTIFICI DIMOSTRANO IL LEGAME


imagesI ricercatori hanno scoperto che gli autoanticorpi organo-specifici (ad esempio, anticorpi anti-tiroide) scompaiono dopo circa  3 -6 mesi di una dieta priva di glutine. [1]
La ghiandola tiroidea, afferma Freeman, a causa dello sviluppo embrionale che condivide con il tratto gastrointestinale, è soggetta a noduli e linfomi proprio come avviene in caso di intolleranza al glutine a livello intestinale. [2]
Il glutine causa lo stress metabolico della tiroide
Konopka documenta che a livello biologico c’è un aumento della capacità di buffer c-AMP dei tessuti della tiroide dopo 7 mesi di adozione di un regime senza glutine.
Cioè il consumo di glutine determinerebbe, in parole semplici, un’interferenza cronica a livello cellulare che pone sotto STRESS la tiroide.
Questa reattività a distanza con antigeni generati dall’intolleranza al glutine viene alimentata senza dubbio, dalla aumentata permeabilità della mucosa intestinale che caratterizza l’assunzione di glutine. [3]

Il grano che mangiamo è stato modificato

Se il problema col glutine fosse il risultato di decenni di ripetuti e differenti interventi sulle varietà di grano che sta alla base della maggior parte del cibo che mangiamo?
Questo si chiede Claudia Benatti, giornalista della Gazzetta di Modena, in un articolo inserito nel n. 193 di AAM Terranova.
“C’era una volta, in Puglia, un grano duro di nome “Cappelli”. Fino agli anni ’60 questo alimento era alla base della dieta della popolazione pugliese, ma questo povero grano, unica varietà coltivata nel Mezzogiorno d’Italia, apprezzato per la qualità, era, purtroppo per lui e per noi, poco produttivo.
Così, un bel giorno del 1974, il Professore Gian Tommaso Scarascia Mugnozza, (attuale presidente dell’Accademia delle Scienze) con un gruppo di ricercatori del CNEN (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare) indusse una mutazione genetica nel grano duro denominato “Cappelli”, esponendolo ai raggi gamma di un reattore nucleare per ottenere una mutazione genetica e, in seguito,incrociandolo con una varietà americana. Dopo la mutazione, il povero grano era diventato “nano”, mostrando differenze, in positivo, in caratteri come la produttività e la precocità nella crescita. Questo nuovo tipo di grano mutato geneticamente, non OGM, ma irradiato, fu battezzato “Creso” e, con esso oggi si prepara ogni tipo di pane, pasta, dolci, pizze, alcuni salumi, capsule per farmaci, ecc. (con questa farina si prepara circa il 90% della pasta venduta in Italia). [5]
“Quello che pochi sanno è che, il grano Creso, è responsabile dell’enorme aumento della celiachia, per l’alterazione del pH digestivo e la perdita di flora batterica autoctona, che determinano anomale reazioni anche per l’aumento di glutine che quel tipo di grano mutato geneticamente ha apportato all’alimentazione umana.
Il fatto che il glutine possa causare problemi di salute, posto in termini biochimici, deriva dal suo contenuto di un particolare frammento di questa proteina in cui gli aminoacidi prolina e glutenina sono ad una certa distanza tra di loro (molto vicine) per cui non riescono ad essere deamidate dall’enzima specifico (Arentz-Hansen 2000, Vader 2002, Sollid 2002). Detto in un linguaggio molto tecnico, l’apparato digestivo dei mammiferi non ha una capacità infinita di idrolizzare i legami ammidici quando sono adiacenti a residui di prolina. Questo non e’ un problema col riso, con l’orzo antico, con il grano saraceno, con il miglio, con l’amaranto e la quinoa, ma lo e’ col frumento.
Il fallimento progressivo degli enzimi addetti a digerire la proteina del frumento crea una tempesta di detriti infiammatori che non è circoscritta solo a livello intestinale, ma innesca un fenomeno autoimmune a carico di vari apparati e organi.

Malattie da glutine?

Vediamo quelle della tiroide che scompaiono quando si sospende il consumo di glutine. Ebbene si, le anomalìe alla tiroide si normalizzavano con due mesi di dieta senza glutine secondo i seguenti ricercatori: Magazzu (1983), Collin (1994), Borg (1994), Batge (1998), Ventura (1999), Sategna-Guidetti (2001), Barera (2001), La Villa (2003), Jiskra (2003), Berti (2000), Kowalska (2000), Counsell (1994).
Valentino (1999) descrive una 23enne con diagnosi di ipotiroidismo dovuto a tiroidite di Hashimoto che coesiste con morbo di Addison e blocco ovarico. A distanza di tre mesi dalla sospensione del glutine fu registrato un notevole miglioramento clinico, la riduzione progressiva dei farmaci per la tiroide e per l’insufficienza surrenale.” [7]

Normalizzazione della tiroide con una dieta senza glutine

Sategna-Guidetti [2001] valuta gli effetti dell’adozione di un regime senza glutine in pazienti celiaci precedentemente a dieta libera (con glutine), che dalle analisi risultano affetti da ipotiroidismo (31 casi) otiroidite autoimmune (29 casi). Nella maggior parte dei pazienti dopo un anno senza glutine si registra una normalizzazione delle condizioni della tiroide, specialmente in coloro che erano stati più  scrupolosi nell’applicazione del regime senza glutine. [4]

TIROIDITI ASSOCIATE AL DIABETE-1 ED ALLA CELIACHIA
Molto spesso le tiroiditi primarie, Hashimoto e non-Hashimoto, sono associate aldiabete-1 e alla celiachia, ovvero a patologie che comportano una atrofia dei 5 milioni di villi intestinali che stanno nel piccolo intestino, una atrofia dei due campi da tennis assimilativi che tutti possediamo (400-600 metri quadri). Una atrofia causata essenzialmente da tre tipi di cibastri sbagliati che diventano collanti velenosi in sede di piccolo intestino, e che sono nell’ordine:
A) Cadaverina e omega-3 ittici, associati ai relativi grassi saturi.
B) Caseina (tutti i latticini).
C) Glutine (preferire dunque miglio, saraceno, quinoa, riso integrale, cioè cereali privi di glutine, e farina di avena rollata a freddo con basso contenuto di glutine ed alto valore nutritivo). Ottimi anche i semini di sesamo, lino, girasole, finocchio, zucca. [8]

ZUCCHERO NEMICO GIURATO DELLA TIROIDE E DELLA SALUTE IN GENERALE

In aggiunta a quanto sopra va eliminato lo zucchero industriale in tutte le sue forme e le sue versioni, evidenti e nascoste, pertanto serve un letterale repulisti di merendine, creme, marmellate, confetture, dolci, dolcetti, cioccolatini, bibite, cole, persino succhi confezionati e pastorizzati.
Nessun limite se non quello della logica e della sazietà agli alimenti vivi, innocenti e crudi della natura, si chiamino essi frutta, verdura da orto, verdura selvatica, funghi, tuberi, germogli. Un minimo di trasgressioni è concesso per pane, pizza e pasta, specie nella versione integrale, per chi non ha nessun problema a metabolizzarli, e per chi non può davvero farne a meno. Lo zucchero della frutta viva e cruda non ha alcuna controindicazione, per cui va limitato e gradualizzato nei casi diabete. [8]
Fonti
[5] Creso
[7] Lorenzo Acerra, autore del libro “Mal di glutine” E-book “Mal di Glutine” gratuito

FONTE: Dionidream

05 dicembre 2014

La dieta mediterranea allunga i telomeri e, dunque, anche la vita

 Verdura, pesce, olio d’oliva, frutta, noci, cereali, specie non raffinati, legumi e vino ai pasti. La dieta mediterranea è nota per gli effetti benefici sulla salute, tra i quali la riduzione del rischio di malattie croniche nonché della mortalità. E a questo proposito un team di ricercatori americani coordinati da Immaculata De Vivo, professore associato di medicina alla Harvard medical school, ha deciso di verificare se l'aderenza alla dieta mediterranea fosse correlata alla lunghezza dei telomeri. «Questi ultimi sono una sorta di cappucci che coprono le estremità dei cromosomi impedendone l’usura» spiega la ricercatrice, precisando che nei sani si accorciano progressivamente per tutta la vita, più che dimezzando la loro lunghezza dall'infanzia all'età adulta, e dimezzandosi di nuovo nei grandi anziani. «I telomeri corti, dunque, si legano a una minore aspettativa di vita e a un rischio maggiore di malattie legate all'età» riprende l’autrice, sottolineando che fattori dello stile di vita, come l'obesità, il fumo e il consumo di bevande zuccherate, accorciano i telomeri più rapidamente, come anche lo stress ossidativo e l'infiammazione. Dato che frutta, verdura e noci, componenti chiave della dieta mediterranea, hanno ben noti effetti antiossidanti e antinfiammatori, i ricercatori hanno analizzato in proposito i dati di 4.676 donne di mezza età in buona salute arruolate nel Nurses’ health study, un trial osservazionale in corso dal 1976 sul monitoraggio della salute di oltre 120.000 infermiere statunitensi. E risultati pubblicati sul British medical journal indicano che l’aderenza alla dieta mediterranea si lega in modo diretto alla lunghezza dei telomeri, senza tuttavia un’associazione diretta con un singolo alimento. «Ciò sottolinea l’importanza per la salute dei modelli alimentari globali e non solo dei singoli fattori dietetici come, per esempio, l'assunzione di cereali integrali» commenta De Vivo. E Peter Nilsson, dell'università di Lund in Svezia, osserva in un editoriale: «La dieta mediterranea è un cardine della prevenzione cardiovascolare, e rassicura sapere che ha un ruolo anche nell’invecchiamento. 

11 novembre 2014

ASSE INTESTINO-CERVELLO (Paolo Mainardi) l'autore di "Alla ricerca dell'Una"

La fisica insegna che nei sistemi complessi le relazioni tra le parti generano nuove proprietà, non riconducibili a quelle delle singole parti. Anche se il corpo umano è sicuramente un sistema complesso, tale approccio della fisica dei sistemi complessi non è stato ancora applicato alla medicina, che, con approccio più botanico, ha suddiviso il corpo in una sommatoria di organi separati tra loro.

Recenti studi mettono in risalto le capacità comunicative tra organi e consentono nuovi approcci terapeutici.

Ruolo nutrizionale:
Una evidenza quasi banale del collegamento intestino-cervello è quella nutrizionale.Alcuni dei neurotrasmettitori, molecole essenziali per il funzionamento del cervello, derivano da ammino acidi essenziali, ovvero che derivano solo dalla demolizione delle proteine della dieta. Per esempio, la serotonina cerebrale viene sintetizzata a partire dall’ammino acido triptofano, la dopamina, la noradrenalina, e l’adrenalina dalla tirosina, mentre, invece, dalla decarbossilazione della istidina si ottiene l’istammina che viene captata dal cervello.

I processi di decarbossilazione sono affidati al microbiota intestinale e una flora disbiotica decarbossila eccessivamente anche il triptofano e la tirosina, riducendo la loro captazione cerebrale e, quindi, la sintesi dei diversi neurotrasmettitori. Inoltre questi ammino acidi competono tutti per la stessa porta di accesso cerebrale, quindi la capacità di essere captati dipende dal loro rapporto delle concentrazione plasmatiche. Così, ad esempio, una maggiore decarbossilazione del triptofano avvantaggia la captazione della tirosina. 
Questa disbiosi del triptofano è fondamentale per la nostra sopravvivenza e costituisce la cosiddetta Acute PhaseReaction (APR): in caso di pericolo si riduce la captazione di triptofano, quindi la sintesi cerebrale di serotonina. Questo ci rende ansiosi, quindi l’ansia è una risposta positiva agli agenti stressogeni, in quanto la riduzione del triptofano avvantaggia la captazione della tirosina, che ci rende più abili, dopamina, più furbi, noradrenalina, più forti, adrenalina, quindi maggiormente capaci ad affrontare un pericolo.

Ruolo nei processi autoriparativi
La risposta in fase acuta ad un agente stressogeno è una risposta positiva, ma se questa disbiosi diventa cronica, ovvero l’intestino, come una molla snervata, non riesce a ripristinare le condizioni iniziali, allora si cade nella ChronicPhaseReaction (CPR) che è stata definita la “madre di tutte le patologie”(1).

Questa fragilità viene acquisita in quanto il triptofano controlla, anche, la sintesi cerebrale di NPY(2), un neuropeptide che controlla i processi di neurogenesi e sinaptogenesi, quindi la capacità del cervello di auto-ripararsi.(3)

Ruolo nella risposta immunitaria
Il triptofano controlla, anche, la risposta immunitaria, risposta che nelle donne deve ridursi ciclicamente per evitare un attacco anticorpale ad un eventuale feto.(4)La corrispondente diminuzione di serotonina porta alla ben nota sindrome pre-mestruale. L’intestino della donna è quindi costretto ad un lavoro maggiore di quello dell’uomo, può più facilmente snervarsi. Quindi il livello di triptofano può non ritornare ai livelli normali, riducendo l’NPY cerebrale, quindi la plasticità del sistema nervoso centrale. Questo spiega la maggiore incidenza nelle donne di patologie neurologiche, come ad esempio la depressione.

Ruolo nella degenerazione cellulare
Non solo, il triptofano controlla, anche, la morte per apoptosi cellulare.(5) La nostra sopravvivenza si è basata principalmente sulla capacità di riparare i danni che l’ambiente continuamente ci procura. Per esempio siamo capaci di riparare il DNA danneggiato, direttamente o indirettamente, tramite i noti radicali liberi, dalle radiazioni. Abbiamo affidato questo compito al microbiota intestinale, esercito 10 volte più numeroso di noi cioè 50 miliardi di cellule!. Esso genera molecole “sartine” capaci di individuare i danni del DNA e ripararlo.(6)

Se questa azione non avviene, viene allora indotta la degenerazione cellulare per permettere una rapida individuazione del problema e consentire agli anticorpi di eliminare, per apoptosi, le cellule degenerate.(7)Oggi le terapie anti-tumorali si basano sul controllo della degenerazione, ma, forse, sarebbe più utile ripristinare il fucile dell’apoptosi.

Ruolo nelle patologie autoimmuni
La produzione linfocitaria avviene in modo causale, produciamo anticorpi contro il nulla, contro noi stessi e contro reali nemici. Poi, nel processo di maturazione, li testiamo e scartiamo quelli sbagliati, che sono il 97% della produzione. Li eliminiamo inducendo la loro morte per apoptosi. Soprattutto in soggetti con elevata permeabilità intestinale, ovvero con una elevata produzione di anticorpi, una diminuita capacità ad eliminare quelli sbagliati porta ad un maggior numero di auto-anticorpi. Quindi la maggiore incidenza di patologie autoimmuni nelle donne non è dovuta ad una maggiore propensione del loro sistema immunitario a “impazzire”, ma ad una ridotta capacità di ripulire la produzione anticorpale da quelli, normalmente, prodotti contro noi stessi.

 Nonostante le elevate conoscenze, oggi l’intestino viene considerato solo come un sistema postale, svizzero, capace di far arrivare ciò che vogliamo dove vogliamo. Esempio, la melatonina nel cervello, gli ammino acidi ramificati nei muscoli, il collagene nelle articolazioni.

Gli stessi nuovi farmaci, che saranno assunti oralmente, vengono studiati escludendo il sistema intestinale, iniettandoli in vena o peritoneo di animali. I loro meccanismi d’azione vengono valutati su cellule isolate, dove mettiamo a disposizione di una singola cellula una quantità di farmaco notevolmente superiore a quella che sappiamo arrivare in tutto quel tessuto, quando somministrata oralmente. Quando questo dato è noto, in quanto, nonostante la determinazione della distribuzione tissutale sia obbligatoria nella fase di registrazione di un farmaco, spesso non sono pubblicati, in quanto negativi ad un’immagine di una farmaco in grado di agire sulle funzioni complesse cellulari.

Eppure sappiamo come l’intestino sia complesso, capace di reagire agli stimoli/nutrienti e attivare complesse risposte endogene. Recenti lavori mostrano come l’infiammazione tissutale sia la causa di diverse patologie, dai tumori e quelle neurologiche e comportamentali.

L’infiammazione cerebrale è riportata essere la causa patogenetica, non un fattore predisponente, di epilessia,(8) depressione, sclerosi multipla, Parkinson, Alzheimer,(9) autismo,(10) …

L’infiammazione degli organi sessuali è riportata essere la causa di disfunzioni. Riazi dimostra come una infiammazione intestinale possa migrare su altri organi. (11, 12)

Quindi ridurre una infiammazione intestinale, anche con una “semplice” dieta, può ridurre sintomi di patologie apparentemente distanti tra loro.(13, 14, 15, 16, 17)

Il prendere in considerazione gli assi comunicativi del sistema complesso del corpo umano, sembra mettere in evidenza come le malattie non siano tanto dovute alla esposizione a nuovi agenti patogeni, quanto alla diminuita capacità di riparare i danni che questi, continuamente, ci arrecano.

I processi endogeni di auto-riparazione partono principalmente dall’intestino, mantenerlo efficiente rappresenta la maggiore forma di prevenzione.