Mi occupo di Nutrizione per patologie accertate, Lipedema, Policistosi Ovarica, Intolleranze Alimentari, Disbiosi, Dieta Chetogenica su misura. Ricevo a Messina e Catania. In queste pagine offro consigli nutrizionali, ricette per tutti coloro che si interessano di Dieta, Nutrizione e Salute. Sono disponibile a consulenze online. Questo blog è collegato alla pagina Facebook Camice&Mestoli ed Instagram Bionutrizionistacacciola
13 marzo 2013
10 marzo 2013
Carciofo efficace nelle disfunzioni glicemiche, e non solo
L'alterazione della glicemia a digiuno (Impaired fasting glycaemia, Ifg) è una disfunzione metabolica sempre più frequente nella popolazione occidentale. Colpisce il 24% dei maschi e il 17% delle donne oltre i 60 anni: se non trattati, la maggior parte di questi soggetti nell'arco di 10 anni svilupperà diabete di tipo 2 e, conseguentemente, tutte le alterazioni degenerative che questo comporta. Esistono molti rimedi fitoterapici indicati per il controllo della glicemia e il metabolismo dei carboidrati, sia tramand ati dalle diverse tradizioni medicinali e sia più moderni. Nel tempo, le piante maggiormente utilizzate allo scopo sono state Garcinia cambogia, Gymnema sylvestre, Allium sativum, Panax ginseng, ognuna caratterizzata da una differente fitochimica e quindi da diverso meccanismo d'azione, oltre a specie vegetali a effetto più meccanico, ricche cioè in lunghe fibre polisaccaridiche, quali Amorphophallus konjac, Opuntia ficus indica e Momordica charantia. Recentemente, inoltre, ottime evidenze sperimentali sono state mostrate da estratti di Cynnamomum zeylanicum, la cannella, dopo somministrazione orale post-prandiale. Uno studio tutto italiano riporta però in auge, mostrando interessanti risultati, un'altra specie vegetale, il carciofo (Cynara scolymus). I componenti fitochimici principali e maggiormente attivi estratti dalle pa rti aeree di questa asteracea, nota per lo più per le sue proprietà coleretiche, sono l'acido clorogenico e l'acido caffeilchinico; in particolare, il primo è un potente inibitore della glucosio-6-traslocasi, enzima chiave del sistema epatico di regolazione del metabolismo del glucosio, mentre il secondo e i suoi derivati sono coinvolti nella regolazione dell'attività della alfa-glicosidasi, enzima pancreatico la cui attività determina la liberazione in sede duodenale (ed il conseguente assorbimento) di gran parte del glucosio di origine alimentare. Lo studio clinico, condotto in doppio cieco presso l'università di Pavia, ha coinvolto 55 soggetti sovrappeso od obesi la cui dieta è stata implementata, per 60 giorni, con un estratto di carciofo (600 mg/die suddivisi in tre somministrazioni ai pasti principali) o con placebo. L'estratto vegetale utilizzato è molto caratterizzato, nota importante per uno studio in materia fitoterapi ca: titolato mediante HPLC al 60% in acido caffeilchinico, è stato preparato con estrazione idroalcolica (EtOH 70%) ed è caratterizzato da un rapporto droga/estratto di 120:1. Dati positivi e statisticamente significativi sono stati ottenuti non solo per il valore della glicemia a digiuno, ma anche per molti essenziali parametri corollari quali l'indice di emoglobina glicata, i valori di Adag (Media glicemica derivata dalla Hb glicata) e quelli dell'indice Homa per la valutazione dell'insulino-resistenza, tutti ridotti. Azioni positive sono state ottenute, come atteso, per quanto riguarda i parametri lipidemici con una riduzione del colesterolo Ldl ed un miglioramento sostanziale dell'Irc (indice di rischio cardiovascolare). Anche il Bmi risulta migliorato nel gruppo trattato, evidenziando quanto estesamente il supplemento dietetico di estratto di carciofo sia clinicamente efficace.
Rondelli, M., et al., Metabolic Management in Overweight Subjects with N aive Impaired Fasting Glycaemia by Means of a Highly Standardized Extract From Cynara scolymus: A Double-blind, Placebo-controlled, Randomized Clinical Trial. Phytother Res., 2013, Feb 25.doi: 10.1002/ptr.4950.
Matteo Floridia
Biotecnologo, Esperto in Fitoterapia clinica
Milano
20 febbraio 2013
Le Intolleranze Alimentari ed i Test per la diagnosi: storia di una esperienza personale
Sono dieci anni che mi
occupo di intolleranze alimentari. Come tutte le cose che ti cambiano la vita
arrivano quasi per caso!
Infatti la mia passione
è nata quando mi sono rivolta ad una collega BN, che faceva anche il test
citotossico, nell’ulteriore tentativo di perdere un paio di chili resistenti.
La collega attuò una “dieta
di eliminazione” totale degli alimenti cui ero risultata intollerante.
Finalmente riuscivo a
superare la soglia tanto desiderata!
Ma c’è un ma...
Infatti , nonostante
avessi riportato un successo insperato dal punto di vista della riduzione del
peso, avevo spesso un fastidioso mal di testa che si calmava solo quando andavo
in palestra o correvo!
Inspiegabile!
A questo punto però mi
sono molto appassionata ed ho iniziato a leggere tutto quello che l’attuale
letteratura proponeva, ho partecipato a seminari a favore e contro (più questi
ultimi!), sono andata a Roma per fare il corso per la lettura del test
citotossico. Sono stata a fare uno stage in un centro di Bologna, dove facevano
centinaia di test citotossici ogni giorno.
Ancora una volta mi si
propone di fare il test citotossico e scopro intolleranze diverse da quello
precedente. Mi sarei aspettata di non trovarne affatto invece ero ancora
intollerante!
Latte e leviti! Non se
ne parlava proprio! Togliere il latte? I lieviti? Non avevo alcuna intenzione
di sobbarcarmi all’iter di eliminazione totale per 3 mesi!
Ho iniziato anch’io a
fare i test citotossici ai pazienti in collaborazione con un laboratorio di
analisi. Per ogni test prima ricevevo il paziente, facevo un’accurata anamnesi,
dopo facevo il test, impiegando anche 2 ore per ciascuno, cercando di fare attenzione
all’impilamento dei Globuli Rossi, alla vacuolizzazione dei Globuli Bianchi,
alle interruzioni di continuità della membrana, ai danni più eclatanti,
controllavo molti campi ecc.
Posso dire che quello
che provavo a fare era trovare dei parametri di lettura oggettivi! Ma spesso mi
accorgevo che se stavo troppo a lungo ad osservare un vetrino, il campione si
modificava e si alterava, probabilmente a causa del calore indotto dal sistema
di illuminazione del microscopio stesso. Il tentativo di essere più accurati,
precisi e oggettivi si risolveva nell’alterazione del campione, quindi
diventava controproducente.
L’esperienza è qualcosa
di meraviglioso! Col tempo si diventa capaci di fare le stesse cose in minor
tempo! Ma siamo certi che sia sempre a favore del “fatto bene” ?
Nel frattempo ho deciso di provare a fare anch’io
la dieta di eliminazione di latte, latticini e lieviti con risultati veramente
importanti e ottenendo finalmente anche
la scomparsa del fastidioso mal di testa.
Questo può essere soggetto a diverse interpretazioni. Possiamo ipotizzare
ad esempio che il primo test sia stato
letto in modo corretto ed oggettivo e le intolleranze al latte e ai lieviti
siano subentrate in seguito. Questa ipotesi non tiene conto del mal di testa
comparso durante il primo trattamento dietetico e scomparso nel secondo con
l’eliminazione del latte, latticini e lieviti e non convince la spiegazione che
queste intolleranze si siano sviluppate in un secondo tempo, a causa dell’uso
continuativo di quei cibi, perché in
realtà non era stato così cioè non avevo consumato più latte, latticini e
lieviti di prima.
È più semplice pensare che tutte queste intolleranze erano
presenti fin dal principio e che non sono state individuate precedentemente
perché forse il quadro era complesso e lo stato infiammatorio molto importante.
Anzi l’eliminazione del primo gruppo di alimenti aveva apportato il beneficio
di sboccare un metabolismo rallentato ma non aveva ridotto in modo ottimale
l’infiammazione minima persistente causata dal latte, latticini e lieviti e mi
avevano resa più sensibile alle altre intolleranze causandomi il fastidioso mal
di testa.
In seguito ho sempre più
riscontrato la cosa anche in altre persone da me seguite nutrizionalmente.
La BN che aveva fatto
il primo test aveva fatto un buon lavoro ma non aveva individuato con
completezza i cibi cui ero intollerante.
Questo ci riporta ad
una riflessione importante sulla soggettività della lettura del test
citotossico e sulla possibilità di omettere più o meno consapevolmente
intolleranze a cibi che potrebbero essere molto importanti ai fini di un corretto
impiego per l’elaborazione di piani nutrizionali assolutamente personalizzati.
Ricordo bene che
qualche anno fa ci dicevano che un buon test citotossico deve dare intolleranza
a pochi alimenti, 2 o 3, massimo 4.
E se ne troviamo 10-15
allora cosa facciamo?
A tal riguardo vorrei
porre l’attenzione sull’intolleranza al nickel! Se si omettono informazioni
perché non valutate importanti si rischia di non riuscire a diagnosticarla in
modo corretto.
Si tratta infatti di una delle più difficili delle intolleranze
da inquadrare perché coinvolge moltissimi alimenti non collocabili per famiglie biologiche e tal volta si
riscontra in persone che apparentemente non sono allergiche al nickel o
comunque hanno una reazione allergica molto bassa!
Mi sono spesso chiesta
come fidarsi, alla luce di tutte queste importanti conoscenze, di test
citotossici fatti presso laboratori privati, letti da operatori frettolosi o
comunque ignari delle informazioni sul paziente che solo il nutrizionista può avere
e troppo spesso gestiti in modo autonomo dai pazienti, che non essendo
consapevoli dei danni provocati dalle diete di eliminazione possono provocarsi
malnutrizioni importanti?
Per alcuni anni non ho
più né fatto test citotossici né richiesto test ai miei pazienti, in qualche
caso qualcuno mi portava quello che aveva già fatto fare ed io lo accettavo, lo
valutavo, ma ho imparato ad interrogare le persone accuratamente e farmi dare
moltissime informazioni e a stilare piani nutrizionali tenendo in
considerazione tutti questi dati raccolti.
In qualche caso, però
restano i dubbi, rimane qualcosa di inspiegabile!
Proprio per tutte
queste considerazioni mi sono interessata ad altri test, come la ricerca delle
IgG ma non sempre ho avuto buon riscontro perché non sempre i soggetti
intolleranti hanno le IgG aumentate e viceversa!
È molto interessante
l’ALCAT test, che in realtà è sempre un test citotossico ma non viene
effettuato su sangue intero ma solo sui globuli bianchi neutrofili e cosa ancor
più importante non richiede la lettura di un operatore ma i pozzetti con
alimenti o sostanze chimiche e sangue sono letti attraverso uno specifico
strumento di conteggio e misurazione cellulare, denominato ROBOCATII (validato
dall’US Food & Drug Administration), che individua le eventuali variazioni
volumetriche e cliniche dei globuli bianchi (granulociti neutrofili) a contatto
con le sostanze testate. Quando si verifica una variazione del numero e delle
dimensioni dei globuli bianchi, significa che è presente una reazione avversa a
quella determinata sostanza.
Questo sistema permette
una determinazione oggettiva delle intolleranze ad alimenti e sostanze chimiche
inoltre il risultato che viene fornito è corredato da tutta una serie di
informazioni che non solo aiutano il nutrizionista nella stesura del piano
nutrizionale corretto superando la vecchia modalità di eliminazione
assoluta di tutti i cibi incriminati per 3 o 4 mesi, con una più moderna che è
quella della “dieta di rotazione”, cioè l’esclusione degli alimenti solo per
alcuni giorni alla settimana e la reintroduzione negli altri giorni.
Altro effetto importante
è certamente quello di costituire una rete di nutrizionisti che utilizzando lo
stesso test a lettura oggettiva ed i medesimi principi di stesura della dieta
che è quella di rotazione, può dare
anche la possibilità a tutti i componenti di interagire direttamente in
workshop organizzati appositamente e magari pubblicare i risultati di queste
interazioni.
dott.ssa Cacciola Maria
Stella
biologa nutrizionista
esperta in intolleranze
alimentari e fitointegrazione
19 gennaio 2013
Colesterolo e ciclo mestruale
L'influenza degli ormoni femminili sui livelli di colesterolo e trigliceridi è nota ormai da tempo. A partire dal secondo trimestre di gravidanza, la colesterolemia totale sale notevolmente sotto la spinta degli estrogeni prodotti dalla placenta; anche le pillole anticoncezionali con elevate concentrazioni estrogeniche, o le terapie sostitutive durante la menopausa, tendono a far salire in maniera significativa la colesterolemia totale. In entrambi i casi, l'incremento dei valori ematici di colesterolo interessa soprattutto la frazione HDL. Per questo importante contributo, durante l'età fertile di ogni donna gli estrogeni conferiscono un'importantissima protezione nei confronti delle malattie cardiovascolari.
Influenza delle variazioni ormonali durante il ciclo mestruale sui livelli di colesterolo
Durante il ciclo mestruale, i valori di colesterolo variano in maniera non trascurabile secondo i fisiologici mutamenti dei tassi plasmatici di estradiolo e progesterone. Di conseguenza, è importante valutare anche la fase del ciclo mestruale in cui ci si sottopone ai test di colesterolemia e trigliceridemia.
In linea di massima, i livelli di colesterolo salgono durante la prima metà del ciclo mestruale e diminuiscono nella fase luteinica.
Come anticipato, i crescenti livelli di estrogeni che caratterizzano la prima metà del ciclo mestruale portano con sé un graduale incremento delle lipoproteine HDL (colesterolo buono), che raggiungono un picco in corrispondenza dell'ovulazione. Per contro, colesterolo totale, colesterolo LDL e trigliceridi sembrano diminuire all'aumentare dei livelli estrogenici; questo declino, tuttavia, non è immediato, ma si manifesta con qualche giorno di ritardo. Pertanto, nell'interpretazione del grafico sottostante, bisogna considerare che il picco dei livelli di colesterolo totale durante la fase mestruale è la conseguenza del declino degli estrogeni nella tarda fase luteinica, mentre il successivo declino della colesterolemia totale consegue al lieve aumento degli estrogeni durante la fase mestruale; tale declino diviene ancor più brusco qualche giorno dopo che i livelli estrogenici iniziano ad aumentare sensibilmente in vista dell'ovulazione.
19 dicembre 2012
09 dicembre 2012
La Ginkgo biloba si evolve... dott Fabio Fierazuoli
L'analisi delle reazioni avverse di piante medicinali produce fortunatamente conoscenze utili non solo alle autorità regolatorie, professionisti e ricercatori, ma anche alle aziende e, in ultima analisi, agli utilizzatori finali. Un esempio concreto ci viene offerto dalla ricerca tecnologica applicata alla Ginkgo biloba, finalizzata a valutarne l'efficacia, ma prima ancora a rendere disponibile il meglio in termini di qualità e sicurezza della materia prima. Obiettivo: ridurre il rischio di effetti collaterali e interazioni farmacologiche. Ecco allora che se negli ultimi 20 anni sono comparsi i primi estratti titolati e standardizzati sia in flavonoidi sia in derivati terpenici, solo recentemente la tecnica estrattiva e quella farmaceutica hanno fatto passi da gigante, con una crescita esponenziale. Si è prima arrivati ad un estratto anche depurato dagli acidi ginkgolici, responsabili di orticaria, diarrea e cefalea: flavonoidi 24%, derivati terpenici 6%, acidi ginkgolici < 5 ppm (EGb 761, LI-1370). Queste ottime caratteristiche qualitative sono state poi amplificate migliorandone stabilità e biodisponibilità con carrier biologici come i fosfolipidi della soia. Oggi sono pertanto superate le vecchie preparazioni a base di Ginkgo (tisane, polveri o tinture), che non consentivano l'eliminazione del solvente né la titolazione dei principi attivi, per lasciare il posto a estratti estratti frazionati, e tra questi in particolare due:
- il fitocomplesso a prevalente componente terpenica,
responsabile dell'attività anti-PAF, e clinicamente impiegabile nella
terapia delle patologie allergiche
- il fitocomplesso dei soli flavonoidi (VR456) che,
in assenza di ginkgolidi (le sostanze dotate di attività antiaggregante
piastrinica), consente di evitare i rischi della Ginkgo nei pazienti in
terapia con antiaggreganti e anticoagulanti, fornendo al tempo stesso un
supporto terapeutico ai nostri pazienti cerebrovascolari,
Lasciando al prossimo futuro gli estratti veicolati in forma
nanomolecolare, quelli frazionati "evoluti" sono già disponibili
anche nel nostro paese.
Fabio Firenzuoli
Centro di Medicina Integrativa
AOU Careggi - Università di Firenze
Fabio Firenzuoli
Centro di Medicina Integrativa
AOU Careggi - Università di Firenze
07 dicembre 2012
LA ZEOLITE ATTIVATA A cura della dott.ssa Cacciola Maria Stella - biologa nutrizionista
Si parla molto di Zeolite da un po’ fra atleti e sportivi
anche perché alcune aziende specializzate nella produzione e commercializzazione di integratori l’hanno proposta come la panacea,
utile per il potere antiossidante, per la capacità di “spazzino” ecc.
Ma proviamo a capire
bene che cosa è , da dove viene e quindi che cosa può fare davvero!
Cominciamo con il dire che è una polvere di origine vulcanica
a struttura cristallina, chimicamente è un alluminosilicato idrato di metalli
alcalini ed alcalino-terrosi. Le varietà di Zeoliti sono centinaia. Il nome Zeolite deriva dalle parole greche zeo =
bollire e lithos = pietra, pertanto significa pietra che bolle e tale nome deriva
dal fatto che, quando viene scaldata, libera acqua senza modificare la
struttura dell’alluminosilicato e sembra che bolla.
La struttura cristallina presenta micro cavità che contengono
cationi quali calcio, magnesio, sodio, potassio ed altri oltre a molecole di
acqua.
La Clinoptilolite è una delle centinaia di varietà di zeolite
ed è il tipo lamellare, alla quale sono state attribuite le maggiori proprietà
nell’ambito medico ormai da lungo tempo.
Le zeoliti sono in grado di scambiare i loro cationi
liberi con metalli pesanti, ioni ammonio, radioisotopi o altri cationi agendo come setacci molecolari con capacità adsorbenti anche di gas. Questa è
una proprietà importante della Clinoptilolite. Questo significa che la
Clinoptilolite è in grado mediante un meccanismo di scambio ionico di attrarre
ioni di Metalli Pesanti o di Ammoniaca,
Idrocarburi, Biossido di Zolfo, ed Ossidi di Azoto oltre che Micotossine,
captandoli , trattenendoli ed eliminandoli dal lume intestinale ed in cambio cede
oligoelementi come K+, Mg++, Ca++ ecc quindi non solo ha un’importante azione
di “spazzino” intestinale ma rimineralizza l’organismo fornendo piccole ma importanti
quantità di oligoelementi utili alla salute umana.
Utilizzando uno
specifico processo di produzione definito Attivazione
Tribomeccanica, la Zeolite viene micronizzata mediante un’elevata energia
cinetica che ne incrementa la reattività ed aumenta la superficie delle
particelle. Abbiamo così la Zeolite
Attivata.
Il risultato di
questa attivazione, effettuata in speciali mulini non si limita ad un processo di
macinazione, come è stato dimostrato da esperimenti nei quali l’acqua è stata
“attivata” negli stessi mulini.
L’acqua così
attivata provoca una crescita delle piante significativamente più veloce con un
incremento del 47% di raccolto rispetto al raccolto di controllo (Entzmann Hint.
1977).
Allora, alla luce del meccanismo d’azione di questa antica
polvere abbondantemente presente in natura quali sono le reali possibilità di impiego e
quali possono essere le nostre aspettative?
La Zeolite Attivata è stata brevettata nel 1992 in Giappone,
dimostrando di avere una maggiore azione biologica rispetto a tutte le altre
zeoliti. Infatti studi hanno dimostrato che la Zeolite Attivata se addizionata
ad alimenti, questi dimostrano maggiori capacità nutrizionali con una minore
incidenza delle indigestioni.
Tutto ciò è dovuto al fatto che l’ammoniaca, le tossine
batteriche e le sostanze tossiche prodotte nella digestione delle proteine,
grazie alla Zeolite Attivata, vengono rimosse per adsorbimento con effetti
positivi sulla digestione.
Conosciamo tutti gli effetti negativi dei radicali liberi che
possono provocare dalle semplici stanchezze a patologie a carico del sistema
immunitario particolarmente importanti.
Avere oggi uno strumento in più nella lotta ai danni da
radicali superossidi è di importanza basilare.
Numerosi studi scientifici hanno messo in evidenza
applicazioni molto interessanti: un'elevata attività antiossidante derivante
dalla neutralizzazione dei radicali liberi, un'azione adiuvante in numerose
patologie, comprese quelle tumorali, una capacità di ridurre gli effetti
secondari della chemioterapia e della radioterapia, una riduzione della
produzione di acido lattico ed infine un'elevata capacità di legare metalli
pesanti e tossine.
La Zeolite Attivata non è tossica per l'organismo ed
attraversa il tratto gastro-intestinale senza essere assorbita.
Si può assumere contemporaneamente a farmaci e altri prodotti
come integratori e non necessita di particolari condizioni per la conservazione
e la sua stabilità risulta estremamente lunga.
Per la prima volta ci troviamo di fronte ad una sostanza in
grado di svolgere le funzioni antiossidante e detossicante oltre e a quella
adsorbente, in grado di esplicare la sua attività nel tratto intestinale per
essere poi eliminata con le feci.
Recenti studi sull'utilizzazione della Zeolite Attivata in
abbinamento alle terapie standard hanno evidenziato l’azione positiva sul sistema
circolatorio, sulla pressione arteriosa, sul recupero dopo l'infarto o ancora
sul sistema digestivo, sull'iperacidità gastrica e sulle ulcere duodenali.
L'azione della zeolite è stata anche studiata sui reumatismi,
sulla cura delle infezioni renali e anche sul trattamento delle patologie
dermatologiche presenti nei pazienti affetti da diabete, mentre altre
osservazioni riguardavano l'applicazione diretta della polvere e numerose
affezioni della pelle.
Secondo gli studi clinici, la zeolite consentirebbe di
migliorare l'efficacia delle terapie standard e di ridurre il periodo di
recupero. Ciò ha portato all'uso della zeolite come coadiuvante nella cura
delle patologie gravi.
Chi può essere l’utente ottimale?
Lo Sportivo perché la Zeolite Attivata, anche in sinergia con
altri principi attivi, si può usate per ridurre l'acidosi lattica e aumentare
resistenza e recupero, aiuta inoltre ad aumentare concentrazione (attraverso la
riduzione di ammoniaca nel corpo) ed a ridurre stress ossidativo e stanchezza.
Anziani, convalescenti e persone sottoposte a stress in
quanto la Zeolite Attivata può favorire la riduzione di stress e stanchezza
aiutando a superare affaticamento e debolezza con risorse proprie e naturali ma
anche ripulendo l’intestino da gas e ammoniaca migliorare l’assorbimento
intestinale in questi soggetti particolarmente indeboliti.
La Zeolite Attivata è quindi ideale per trattare anche
affezioni dermatologiche caratterizzate da presenza di batteri e sostanze
organiche come nell’acne dove l’utilizzo di un impacco contente un cucchiaino
di Zeolite Attivata favorisce l’eliminazione dello stato infiammatorio, delle
pustole ed il processo di cicatrizzazione senza esiti.
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