23 gennaio 2012

La dolcezza della natura...




È la pianta del momento, salita agli onori delle cronache perché dolcifica, non dà calorie, è...naturale, ed è stata ammessa dalla Comunità Europea. Si parla della Stevia rebaudiana Bretoni, appartenente alla famiglia delle Asteraceae, di origine sudamericana (Brasile e Paraguay), ricca di glucosidi dello steviolo (stevioside, dulcosidi e rebaudiosidi), dolcificanti fino a 300 volte lo zucchero. E sono proprio i glucosidi ad essere stati autorizzati. Dopo alcune lontane polemiche sul suo rischio di tipo cancerogeno, è stata approvata prima dalla FDA e ora anche dalla EFSA: categoria additivi, con atto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea alla fine del 2011. L'EFSA ne ha concesso l'uso dopo una valutazione del profilo di sicurezza, e come tale non ci devono essere dubbi, che invece potrebbero nascere solo qualora non fosse garantita la purezza delle sostanze utilizzate, come ad esempio circa i residui di solventi usati, o la presenza di principi attivi della pianta diversi dai glucosidi. Solo allora potremmo ipotizzare anche effetti farmacologici sul metabolismo glucidico e sulla escrezione renale di sodio e potassio. Altra raccomandazione: rispettare le dosi consigliate (4 mg/Kg di peso corporeo). La pianta non ha dimostrato effetti tossici, neppure rischi dal punto di vista cancerogeno, anche se, come tutti i dolcificanti, è bene limitarne il consumo, che andrebbe comunque evitato nei bambini piccoli.

Fabio Firenzuoli
Centro di Medicina Integrativa
AOU Careggi, Università di Firenze

20 gennaio 2012




ATTENZIONE! A TUTTI I BIOLOGI 


E MEDICI NUTRIZIONISTI!


A MARZO 2012 SARA' PUBBLICATO IL BANDO DI ACCESSO AL

MASTER UNIVERSITARIO DI II LIVELLO IN INTEGRAZIONE ALIMENTARE, NUTRIZIONE E SALUTE

Dipartimento Clinico Sperimentale di Medicina e Farmacologia, Università di Messina
Sede : A.O.U. Policlinico G. Martino, Messina .

Destinatari del Master: Laureati in Medicina e Chirurgia-Laureati in Odontoiatria e Protesi Dentaria- Laureati in Scienze Biologiche (vecchio ordinamento), Laureati in Biologia, Laureati in Scienze  della Nutrizione Umana.

  
Obiettivo: Formazione teorico-pratica di figure professionali in grado di stilare 

programmi di condotta alimentare ed  integrazione alimentare ritagliate sul

fabbisogno individuale di soggetti sani e non, sovrappeso, atleti, anziani.

Permettere l’acquisizione di conoscenze e competenze avanzate, la metodologia

d’uso ed i rischi legati all’impiego dei fitoterapici e dei novel food.


Durata: 1500 ore (equivalenti a 60 CFU)


Inizio previsto a APRILE 2012

28 dicembre 2011


Una mela al giorno contro le malattie autoimmuni

Il vecchio proverbio “Una mela al giorno leva il medico di torno” secondo una nuova ricerca risulta assai vero, tuttavia prerogativa fondamentale è che si mangi anche la buccia, oltre al resto del frutto.

Infatti,  il consumo quotidiano di mele, con relativa buccia, potrebbe rivelarsi utile nel prevenire i disturbi legati ad infiammazioni intestinali, compresi la colite ulcerosa, il morbo di Crohn e altre malattie autoimmuni.

É quanto afferma una nuova ricerca della Montana State University, diretta dal Dottor David Pasqual (sezione Dipartimento di Immunologia e Malattie Infettive), pubblicata su “Journal of Leukocyte Biology“.

Secondo la suddetta ricerca infatti, i polifenoli contenuti all’interno della buccia della mela sarebbero in grado di sopprimere l’attivazione delle cellule T, cellule fondamentali del processo immunitario, riuscendo così a moderare l’infiammazione del colon.

Ai fini dello studio, il Dr. Pascual e il suo team di ricerca, hanno utilizzato un modello di colite indotta chimicamente, attraverso l’utilizzo del DSS (Destrano sodio solfato).  Il test è stato condotto su dei topi da laboratorio, che sono stati divisi in due gruppi distinti: ad un gruppo è stato somministrato un placebo e all’altro i polifenoli derivanti dalla buccia di mela.

I risultati dimostrerebbero come i polifenoli causino numerosi benefici.

I topi trattati con i polifenoli non sviluppavano colite, avevano inoltre un minor numero di cellule T attivate nel colon,  inoltre quando i topi consumatori erano privi di linfociti T, i polifenoli reprimevano le citochine pro-infiammatorie (responsabili  dello scatenarsi dell’ l’infiammazione).

Conseguentemente a tale ricerca  il Dr.Pascual ed i suoi colleghi hanno dedotto che l’azione dei polifenoli si concretizzi attraverso  l’eliminazione  delle cellule T o quelle di reclutamento, impedendo così a queste ultime  di attaccare l’organismo.

Tale studio  sarebbe il primo, a dimostrare un ruolo così decisivo delle cellule T mediato dai polifenoli, nella protezione contro una malattia autoimmune  ed ancora una volta, metterebbe in evidenza come spesso siano proprio sostanze  semplici  e naturali a risultare le più efficaci nel mantenimento della buona salute.

A tal proposito il Dr. Wherry dice:”Oltre agli evidenti benefici sulla salute  dei nutrienti e delle fibre contenuti in frutta e verdura, questo studio indica che  qualcosa di relativamente comune come la mela contienga  ingredienti sani  e quindi di  grande valore terapeutico“.

Gli autori dello studio suggeriscono che tali risultati, potrebbero portare alla creazione di nuove terapie per le persone con disturbi legati ad infiammazioni intestinali, la mela potrebbe quindi essere un rimedio naturale   tale da risultare complementare alle terapie convenzionali.

Infine i ricercatori concludono: “I nostri risultati mostrano che una sostanza naturale contenuta nella buccia di  mela,possa sopprimere l’infiammazione del colon, la sua attività infatti contrapponendosi alle cellule T infiammatorie permetterebbe  di migliorare la resistenza contro le malattie autoimmuni“.


Francesca Trinastich

Per poter leggere l’abstact dell’articolo cliccare sul seguente link:



http://www.jleukbio.org/content/early/2011/06/19/jlb.0311168.abstract?cited-by=yes&legid=jleub;jlb.0311168v1



20 dicembre 2011



I cavoli 
appartengono alla famigliadelle crucifere della varietà BrassicaLa parte alimentare di queste piante è rappresentata dalle foglie (cavolo cappuccio, verza, cinese, marino, nero, cavolini di Bruxelles) o dalle infiorescenze ancora immature ( broccolo, broccoletti, cavolfiore).

I cavoli sono un alimento molto importante poiché grazie al loro sapore caratteristico e le poche calorie si prestano ad essere inseriti nell'alimentazione umana.
Le varietà
I cavoli comprendono una grande varietà di piante, di seguito riportiamo quelle più utilizzate:
-Cavolo broccolo: fusto corto, infiorescenza verde e fiori bianchicci che possono sembrare quelli del cavolfiore ma sono molto più piccoli. La varietà di cavolo romano è a fiore verde.
-Cavolo broccolo ramoso: è simile al cavolfiore, si differenzia per il colore verde azzurro delle sue teste e per i piccoli germogli laterali chiamati broccoletti.
- Broccoletti: ad alto contenuto di minerali e vitamine sono le infiorescenze sia del cavolo broccolo che delle rape.
Cavolfiore: chiamato anche cimone, è uno dei cavoli più diffusi. La parte edibile è costituita dall'ingrossamento dei peduncoli floreali che si raggruppano al momento della maturazione.
I migliori devono essere sodi e compatti, senza presentare macchie marroni o grigiastre.
Il cavolfiore può essere bianco, bianco crema o violaceo. È un alimento molto versatile, utilizzato per preparare primi piatti, come contorno, nelle minestre, o conservati sott'olio osott'aceto.
Cavoletti di Bruxelles: non devono ingannare con il loro nome “straniero”. Sono italianissimi furono infatti gli antichi Romani a portarli in Belgio. Leggermente amari sono ideali come contorni.
Cavolo cappuccio: ha foglie lisce e si presenta sodo e compatto. Può essere bianco, rosso, verde o viola. Si può consumare anche crudo in insalata tagliandolo a strisce sottili. La varietà bianca é quella che viene lavorata per la produzione dei crauti.
Cavolo rapa: la parte commestibile di questa pianta è costituita dalla radice che ingrossandosi esce in parte dal terreno assumendo una forma rotonda. Viene coltivato e consumato in prevalenza nell'Italia meridionale.
-Cavolo cinese: presenta un ceppo allungato e foglie ricce di colore bianco o verde pallido, viene utilizzato crudo o cotto, saltato in padella insieme ad altre verdure. Lo troviamo spesso all'interno degli involtini primavera serviti nei ristoranti cinesi.
-Cavolo marino: è una pianta erbacea nota soprattutto in Liguria. La parte edibile è costituita da piccoli fogliari che diventano teneri e croccanti a seguito di particolari tecniche di coltura.
- Cavolo nero: il re dei primi piatti toscani. Si presenta con grandi foglie arricciate, ha un colore verde scurissimo e va sempre cotto.
-Cavolo verza : possiede foglie di colore verde e grinzose, che formano un cespo compatto ma meno denso del cavolo cappuccio. Si può mangiare anche crudo, tuttavia è maggiormente utilizzato per preparare minestre, zuppe e brasato insieme alla carne.
Principali componenti nutrizionali
Il cavolo contiene una grande quantità di vitamine: protovitamina e vitamina A, vitamine B1, B2, B9 (acido folico), PP, C, K, U. Molto ampia la gamma di minerali: fosforo, calcio, ferro, zolfo, potassio, rame, magnesio, iodio, e arsenico. Molto preziose le sue mucillagini, soprattutto per quel che riguarda la cura delle coliti ulcerose, ed altrettanto significativa la sua alta percentuale di clorofilla, che aiuta l'organismo nella produzione di emoglobina contrastando così le varie forme di anemia. Da sottolineare, in cavoli e broccoli, la presenza di antiossidanti e di isotiocianati ed indoli che si formano quando le pareti cellulari di questi vegetali vengono spezzate o dal taglio del coltello o dalla masticazione.
100 grammi di Cavolo Verza contengono:
27 calorie, 91 gr di acqua, 6,1 gr carboidrati, 3,1 gr fibre, 2 gr proteine, 0,1 gr grassi; tutte le altre varietà di cavoli mantengono grosso modo le suddette percentuali.
Disponibilità e Conservazione
I cavoli sono tipici ortaggi invernali, quando la qualità è migliore e i prezzi scendono notevolmente. Tuttavia sono disponibili tutto l'anno, a prezzi maggiori.
I cavoli più compatti come il cavolfiore, il broccolo verde ramoso, il cavolo cappuccio e verza, i cavolini di bruxelles, si conservano bene in frigorifero, fino a cinque giorni. Le altre varietà, più delicate in quanto più esposte agli agenti esterni, andrebbero consumate al più presto. 
Come cucinarlo
Il cavolo può essere consumato sia cotto che crudo. In base alla varietà, è preferibile utilizzare un metodo piuttosto di un altro. Il cavolo cappuccio ad esempio, si consuma spesso crudo, ma può essere anche cotto al vapore come la verza. Cavolfiore, cavolo broccolo e cavolini di Bruxelles vanno generalmente cotti, preferibilmente al vapore, ottimi per preparare zuppe o minestre.
Tutte le varietà di questi ortaggi, infatti, si consiglia di cuocerli al vapore per evitare che perdano nell'acqua di cottura tutte le vitamine ed i minerali.
Proprietà benefiche dei cavoli
Il cavolo ed i broccoli risultano fossero ben conosciuti fin dai tempi antichi; in particolare il cavolo era sacro per i Greci ed i Romani lo utilizzavano metodicamente per curare le più svariate malattie e addirittura lo consumavano crudo prima dei banchetti per consentire all'organismo di assorbire meglio l'alcool. Con il passare del tempo la diffusione del cavolo e dei broccoli sulle mense, grazie alle loro proprietà, non è mai venuta meno e, dobbiamo dire, che per un lungo periodo di tempo è stato considerato un cibo ideale per i giorni di magro.
Il cavolo è conosciuto per il suo forte potere curativo sin dall'antichità ed i suoi effetti benefici sull'organismo umano sono molteplici:
cavoli e cavolfiori per ridurre lo stress ossidativo
Cavolfiori, broccoli, cavolini di Bruxelles, rape e cavolo nero sono da sempre molto apprezzati e utilizzati nella cucina italiana non solo per la versatilità e il buon sapore, ma anche per le loro proprietà antiossidanti. Questi vegetali come detto prima sono ricchi di isotiocianati, composti aromatici contenenti zolfo responsabili del loro odore tipico, e di micronuetrienti importanti come vitamine e minerali. Recentemente è stato pubblicato uno studio ( Riso et al., Nutrition and Cancer 61: 232-7, 2009) che conferma gli effetti benefici delle brassicacee nel contrastare lo stress ossidativo che può essere causato dall'inquinamento dell'aria, dal fumo di sigaretta, dall'esposizione prolungata ai raggi ultravioletti e anche da un'alimentazione scorretta.
Lo studio ha coinvolto un gruppo di 20 individui di sesso maschile, fumatori e non, con l'obiettivo di valutare gli effetti dell'introduzione di sulforafano, il più importante fra gli isotiocianati, all'interno della dieta quotidiana.
I soggetti, per dieci giorni consecutivi, sono infatti stati sottoposti alla somministrazione di 200 μmol al giorno di sulforafano in aggiunta alla normale dieta. Dopo un periodo di interruzione di 20 giorni, ogni soggetto ha seguito di nuovo, per 10 giorni, la dieta abituale senza vegetali appartenenti alla famiglia delle brassicacee. In ogni soggetto sono stati quindi comparati alcuni indici di danno ossidativo confrontando il periodo a dieta supplementata con sulfurafano con quello in cui non erano state assunte brassicacee.
Dall'analisi dei risultati è emerso che, nei soggetti che avevano assunto la dieta addizionata con sulforafano, si registrava un miglioramento nei parametri di danno ossidativo a livello di DNA; miglioramento che risultava particolarmente evidente nei soggetti fumatori. Gli studiosi concludono quindi che l'assunzione giornaliera di isotiocianati provenienti da brassicacee eserciterebbe un importante effetto di protezione contro lo stress ossidativo associato al fumo.
Nella chemioprevenzione
Numerosi studi hanno evidenziato che la presenza di glucosinolati nelle Brassicacee prevengono alcuni tipi di tumore. I glucosinolati sono un gruppo di sostanze fitochimiche che comprendono una miscela di più di 130 differenti composti largamente distribuiti soprattutto nella famiglia delle Brassicacee. In seguito alla rottura del tessuto i glucosinolati, contenuti nella cellula, sono rapidamente idrolizzati dall'enzima mirosinasi a intermedi instabili che si riarrangiano spontaneamente in isotiocianati. L'interesse per i glucosinolati è dovuto alla correlazione riscontrata fra consumo di Brassicacae e ridotto rischio di cancro.
Le prime osservazioni sulle proprietà dei glucosinolati e dei rispettivi prodotti di idrolisi gli isotiocianati, risalgono ai primi anni del diciassettesimo secolo come risultati di numerosi sforzi ottenuti per comprendere l'origine chimica del caratteristico sapore aspro dei semi di mostarda. Fin dalle prime evidenze sperimentali, le proprietà benefiche di questi composti contenenti gruppi sulfidrilici ed ampiamente presenti nella famiglia delle brassicacee o crucifere, sono state maggiormente attribuite agli isotiocianati. Negli anni '60, prove sperimentali definirono gli isotiocianati agenti chemiopreventivi, in quanto riducevano la formazione di tumori epatici (Sasaki J. Nara Med. Assoc. 14: 101-115, 1963) ed a partire dagli anni '80, diversi altri studi , chiarirono i meccanismi alla base degli effetti chemiopreventivi di questi composti. Nei primi anni '90 Zhang e Talalay proposero che gli isotiocianati esplicassero la loro azione antitumorale mediante inibizione della formazione di addotti al DNA, inibizione di isoforme di CYP450 (enzima di fase 1 coinvolto nella bioattivazione di sostanze cancerogene) ed induzione di enzimi detossificanti ed antiossidanti (Zhang and Talalay, Cancer Research 54: 1976-1981, 1994).
Grazie a queste scoperte, negli ultimi venti anni è aumentato il consumo delle specie vegetali aventi un alto contenuto di glucosinolati e recenti evidenze ottenute da studi caso-controllo hanno riportato un'associazione inversa tra una dieta ricca di crucifere ed il rischio di insorgenza di alcuni tipi di cancro umani. Studi effettuati sulla popolazione tedesca di entrambi i sessi, su donne statunitensi e uomini finlandesi, evidenziavano una riduzione del rischio di sviluppare tumore polmonare in condizioni di elevato apporto dietetico di brassicacee (più di tre porzioni a settimana).
Alcuni tipi di glucosinolati sono presenti in uguale quantità nelle crucifere, mentre certi tipi di ortaggi, appartenenti a questa famiglia, contengono livelli molti elevati di un particolare tipo di glucosinolato, e quindi dell'isotiocianato corrispondente.
Questa differente composizione è molto importante, poiché alcuni isotiocianati possiedono proprietà antitumorali più potenti degli altri. Questo è proprio il caso del sulforafano presente nei broccoli. Questa sostanza è stata isolata per la prima volta nel 1959 dalla lattona (Cardaia draba), dove è presente in grandi quantità. Dal punto di vista nutrizionale, i broccoli sono di gran lunga la fonte migliore di sulforafano. È altrettanto interessante notare che i germogli dei broccoli possono contenerne in quantità anche 100 volte maggiore, rispetto al broccolo maturo, sarebbe dunque auspicabile che questo alimento fosse più diffuso e quindi consumato in misura maggiore, per esempio in un semplice panino. Uno studio condotto in Giappone ( Yanaka et al., Cancer Prev Res
2: 353-360, 2009) su una cinquantina di persone ha evidenziato che mangiare circa 70 gr di germogli freschi (raccolti tre giorni dopo essere spuntati) di broccolo al giorno per due mesi forniva una certa protezione allo stomaco. I ricercatori hanno somministrato a metà dei pazienti una porzione giornaliera di germogli di broccolo e all'altra metà la stessa porzione di germogli di erba medica, che non contengono sulforafano. L'obiettivo dello studio era identificare un cibo che, se mangiato regolarmente, potesse avere un effetto contro la causa di molti problemi gastrici, e forse perfino aiutare a prevenire il cancro allo stomaco.
Dopo due mesi i consumatori di broccoli hanno mostrato una marcata (40%) riduzione dei segni di presenza del batterio Helicobacter pylori, mentre lo stesso marker non ha indicato variazioni negli individui che hanno mangiato l'erba medica. Dopo altri due mesi dall'interruzione dell'assunzione però i livelli del batterio sono tornati a quelli precedenti lo studio. Questo dimostra che questi germogli possono tenere sotto controllo l'Helicobacter pylori, ma non distruggerlo. I ricercatori hanno attribuito il merito al sulforafano potente antibiotico efficace contro il microrganismo, di cui i broccoli, specie se raccolti in fase precocissima, sono ricchi. 
Nelle malattie cardiovascolari
Mangiare brassicacee ed in particolare broccoli potrebbe curare i danni causati dal diabete ai vasi sanguigni del cuore. E' stato osservato che è proprio il sulforafano che stimola la produzione di enzimi che proteggono i vasi sanguigni e riduce le molecole che causano gravi danni alle cellule. I pazienti diabetici hanno un rischio cinque volte maggiore delle persone sane di sviluppare malattie cardiovascolari, a causa dei danni ai vasi sanguigni. Sono stati testati gli effetti del sulforafano sulle cellule dei vasi sanguigni danneggiate dagli alti livelli di glucosio tipici dei diabetici. Il sulforafano era in grado di ridurre notevolmente i radicali liberi che a causa dell'iperglicemia i loro livelli possono aumentare anche di tre volte sopra il valore normale danneggiando le cellule. Inoltre è stato osservato che il sulforafano attivava una proteina chiamata nrf2, che protegge cellule e tessuti dai danni attivando a sua volta gli enzimi antiossidanti e detossificanti. Lo studio suggerisce che composti come il sulforafano possono aiutare a contrastare i processi che portano alla malattia cardiovascolare nei diabetici (Xue et al, Diabetes 57:2809-17, 2008).
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Il RESVERATROLO NELLE UVE E NEI VINI
Il resveratrolo (3,5,4'-triidrossistilbene) appartiene alla famiglia di composti polifenolici ed èpresente negli acini dell'uva, nel vino, in alcune bacche e semi oleosi (arachide) ed in particolari piante. Il resveratrolo è una delle fitoalessine prodotte naturalmente da parecchie piante, in difesa da agenti patogeni quali batteri e funghi. E' una sostanza che ha attirato molto interesse tra i ricercatori che si occupano di prevenzione di patologie o per rallentare l'invecchiamento. Periodicamente capita di assistere a servizi di telegiornali e di leggere articoli su riviste di ampia diffusione che parlano bene di un consumo costante di vino soprattutto rosso che contiene resveratrolo. 
Nell'uva è contenuto solo nella buccia, mentre il contenuto nel vino dipende dalla pianta della vite, dalla locazione geografica di coltivazione e dal tempo di fermentazione. Come conseguenza, il contenuto di resveratrolo dipende dal tipo di vino ed è maggiore nel vino rosso che in quello bianco o rosato.
Alcuni fattori che influenzano il contenuto di resveratrolo nel vino
COLORE: nella produzione del vino bianco la fermentazione avviene senza il contatto del mosto con le bucce. Dal momento che il resveratrolo è presente nella buccia dell'uva e non nella polpa, è logico aspettarsi che il contenuto della sostanza sia inferiore rispetto ai vini rossi, generalmente prodotti con fermentazione sulle bucce. Nel processo di vinificazione con macerazione, il tempo di contatto bucce-mosto aumenterebbe il contenuto di resveratrolo di circa 10 volte per i vini bianchi e 13 per i vini rossi, pertanto quantificare il resveratrolo nel vinofinito potrebbe essere un indice della pratica enologica utilizzata.E' stato osservato che vini rossi prodotti con il maggior tempo di contatto mosto-bucce presentavano un contenuto di resveratrolo superiore.
ORIGINE GEOGRAFICA: i vini prodotti ad elevate altitudinisembrano avere un contenuto in resveratrolo superiore (la pianta ne produce di più per proteggersi dai raggi ultravioletti). La latitudine non sembra invece influenzare significativamente la concentrazione della sostanza.
ANNATA: condizioni climatiche che favoriscono un leggero attacco fungino aumentano la sintesi di resveratrolo nella pianta dato che questa sostanza ha azione antifungina.
CONCIMAZIONE: la concentrazione di resveratrolo nell'uva dipende anche dal tipo di fertilizzazione ad esempio aumenta al diminuire della concimazione azotata. La spiegazione più probabile di questo fenomeno parrebbe essere il fatto che in condizioni limitanti di fertilizzazione azotata l'equilibrio tra metabolismo primario e secondario si sposta verso quello secondario, favorendo la sintesi di polifenoli e di stilbeni e quindi di resveratrolo.
Il resveratrolo ed il “ Paradosso Francese”
Sul finire degli anni '80, due scienziati (Renaud e De Lorgeril) studiarono la correlazione esistente tra mortalità dovuta a malattia coronarica e assunzione di grassi animali nella dieta. I campioni di popolazione studiati fornirono un risultato chiaro, ormai noto ai più: tanto maggiore era il consumo medio giornaliero di grassi animali e tanto più elevata era la mortalità.Tra tutti i Paesi esaminati solo il campione Francese (raccolto tra le città di Lille, Strasburgo e Tolosa) fornì risultati contrari a tale conclusione. Nonostante l'elevato consumo di grassi animali, i Francesi facevano infatti registrare il più basso tasso di mortalità per malattia coronarica. Dal momento che liquidare il fatto come l'eccezione che conferma la regola ha poco di scientifico, i due ricercatori francesi cercarono di dare una risposta a tale paradosso. Dall'osservazione statistica del maggior consumo di vino in terra francese, scaturì l'ipotesi che tale bevanda potesse controbilanciare gli effetti dell'elevata ingestione di grassi animali. Dal momento che gli effetti negativi dell'alcool erano già stati ampiamente documentati e che il vino si era dimostrato più efficace di altre bevande alcoliche nella riduzione dell'incidenza di queste malattie, il secondo passo fu quello di ipotizzare che alla base del paradosso francese non ci fosse l'alcool ma altre sostanze presenti nel vino e non ancora indagate.
Lo studio della bevanda portò alla scoperta del resveratrolo (Siemann e Creasy -Cornell University, Ithaca, NY, Usa- 1992) e di altre sostanze simili, quali il piceatannolo, lo pterostilbene, l'epsilon-viniferina, il piceide (glucoside del resveratrolo).
A cosa serve
Le attività biologiche di questa sostanza sono diverse. Come sostanza antinvecchiamento, il resveratrolo è considerato unantiossidanteè attivo contro alcuni radicali liberi ed impedisce l'ossidazione del colesterolo LDL. Questo primo effetto è quindi la motivazione di chi sostiene la sua efficacia contro l'invecchiamento e nella riduzione del rischio cardiovascolare, calcolato basandosi sui valori di colesterolo. Tuttavia gli effetti antiossidanti sono stati osservati in vitro, e non in vivo, quindi non si hanno conferme sulla sua utilità nell'organismo umano.
L'analogia della struttura chimica del resveratrolo con quella di un potente estrogeno sintetico ha suggerito la possibilità che il resveratrolo possa funzionare come antagonista dell'attività ormonale, in particolare nell'impedire l'assorbimento di estrogeni. Dal momento che questi complessi meccanismi sono coinvolti anche nella crescita delle cellule tumorali (per esempio in quelle del tumore al seno), alcune ricerche cercano di capire come sfruttare il resveratrolo come possibile integratore dalla funzione antitumorale. Tuttavia le ricerche sono discordanti, in quanto hanno raggiunto conclusioni opposte sul fatto che il resveratrolo possa essere un agonista o un antagonista della ricezione di ormoni estrogeni. Il resveratrolo è stato studiato anche per la possibilità di impedire la trasformazione di alcune sostanze in sostanze cancerogene. Tale effetto però è stato osservato solo in colture di cellule. Alcune ricerche hanno visto inoltre che, aggiungendo resveratrolo a colture di cellule tumorali, la loro crescita è risultata rallentata, come pure la loro capacità di autoalimentarsi tramite l'attività di angiogenesi (creazione di nuovi vasi sanguigni che alimentano il tumore). Comunque sia, l'ipotesi di sostanza antitumorale è, basandosi sulle ricerche attuali, da considerarsi azzardata.
L'effetto antinfiammatorio sarebbe invece supportato dalle capacità del resveratrolo di inibire alcune reazioni, come la ciclo-ossigenasi, esattamente come fanno i più classici antiinfiammatori. Inoltre il resveratrolo può interferire con il processo infiammatorio a vari livelli: dall'attivazione dei globuli bianchi del sangue e dei tessuti (protagonisti principali della risposta immunitaria) all'inibizione della produzione di proteine infiammatorie da parte di queste stesse cellule. La suaazione protettiva si può esplicare anche contro i virus influenzali impedendo al virus stesso di replicarsi all'interno delle cellule. Le molteplici proprietà del resveratrolo fanno di questa molecola un ottimo candidato per lo sviluppo di nuovi trattamenti particolarmente utili contro le sindromi influenzali.Comunque i dati riportati riguardano esperimenti eseguiti principalmente in vitro su colture cellulari.
Reale efficacia
La maggior parte dei benefici ipoteticamente derivanti dall'assunzione del resveratrolo è stata verificata, non sempre in modo concordante da tutte le ricerche effettuate. Le ragioni che mettono in dubbio l'utilità del resveratrolo sono il dosaggio e la biodisponibilità. Tutti gli esperimenti in genere utilizzano dosi di resveratrolo molto elevate; perché il resveratrolo possa avere effetto, deve avere una concentrazione nel sangue consigliata di almeno 10 mg/l. In altri termini devono circolarne nel nostro corpo circa 50 mg. Si parla quindi di quantità piuttosto elevate di uva rossa o di vino che un individuo dovrebbe assumere giornalmente per avere nel suo corpo queste concentrazioni di resveratrolo. La biodisponibilità invece indica la capacità del corpo umano di assorbire una sostanza: la biodisponibilità del resveratrolo è bassissima, in quanto viene metabolizzato molto velocemente. Se si pensa che nel vino rosso possiamo ritrovare al massimo 12,5 mg/litro di resveratrolo e nel succo d'uva rossa 8,7 mg/litro appare evidente come sia impossibile pensare di assumere una dose minima di resveratrolo tramite il vino, anche se gli effetti antitumorali, antinvecchiamento e per la prevenzione di patologie cardiache fossero confermati anche sull'organismo umano. Bisogna sempre ricordare che quando si parla di vino, si fissano limiti di assunzione ragionevoli a basso rischio, solitamente individuati in circa 24-30 g di alcol al giorno per l'uomo e 12-15 g al giorno per la donna, pari a 1-2 bicchieri di vino (150-300 ml). Consumi di vino più elevati possono creare problemi di tossicità epatica.
RECENSIONI RECENTI
E' stato visto che il resveratrolo ha un effetto neuroprotettivo e sembra che ciò sia dovuto alla capacità che esso ha di stimolare la chinasi AMPK nei neuroni. Questa chinasi rappresenta un vero e proprio sensore cellulare in quanto la sua attività dipende direttamente dai livelli di energia che la cellula ha a disposizione. Stimolare questa chinasi significa ristabilire l'energia necessaria alle cellule del nostro organismo per poter sopravvivere (Tang BL, Brain Res Bull, 2009).
Viene riportato che il resveratrolo migliora la funzione dell'endotelio e riduce i radicali liberi ( Soylemez et al., Cardiovasc Drugs Ther, 2009).
Il resveratrolo: una promettente molecola che promuove protezione cardiaca contro le malattie coronariche (Penumathsa SV and Maulik N, Canadian J Physiol Pharmacol, 87:275-86, 2009).
Il resveratrolo protegge dalla tossicità provocata dallo stress attraverso il blocco:
1. della sintesi di molecole infiammatorie
2. del danno cellulare
3. della formazione dei radicali liberi (Bisht K et al, Toxicology, 2009).