11 luglio 2016

AI NUTRIZIONISTI PIACE LA TIMILIA

Articolo a cura della


dott.ssa Cacciola Maria Stella

Biologa Nutrizionista


Perché ai Nutrizionisti piace la Timilia?

Sicuramente perché è buona, fa bene alla salute e favorisce la salvaguardia della biodiversità!

Ma cerchiamo di capire che cosa è la Timilia, anche chiamata Tumminia o Triminia e perché è salutare per noi, per l’ambiente e, perché no, anche per l’economia Siciliana!
La Timilia è una graminacea cioè un grano (Triticum Durum) che viene annoverato fra i “Grani Antichi” in particolare “Siciliano” perché è una varietà che si coltiva da secoli esclusivamente in Sicilia proprio per le caratteristiche climatiche, infatti la Timilia, che è un “grano estivo”, si semina in primavera e si miete in giugno ed ha bisogno di caldo secco e di nessun tipo di trattamento di tipo antiparassitario o anticrittogamico quindi è biologico per natura, ma rispetto al grano moderno, il Creso e tutte le varietà da esso ottenute, la spiga più piccola produce meno farina e la resa per ettaro è minore.
Fu proprio la maggiore resa per ettaro e la bassa statura, più facile da trebbiare con le macchine, che dagli anni ’70 portò l’affermazione del Creso, nelle sue varietà, come unica tipologia di grano prodotto e coltivato in Italia e nel mondo.
Il Creso è nato nel 1974 per “migliorare”, irradiando con raggi X nel Centro di Studi Nucleari del CNEN della Casaccia (Roma), un grano di ottima qualità come il Senatore Cappelli al fine di ottenere una qualità con caratteristiche di maggiore forza glutinica e resa per ettaro. Per molti oggi il Creso, alla luce dei disturbi correlati con il consumo di questo grano in questi 40 anni, è considerato “un peggioramento” che dovrebbe essere eliminato dalle nostre tavole o comunque utilizzato molto poco.


La Timilia è quindi un grano duro con cariosside piccola dal quale si produce una farina di semola ricca di Germe di grano, Sali minerali e Vitamine del gruppo B, fibra (8 -9 %) e proteine (13-15%) anche più delle varietà moderne ma con minore indice glutinico cioè forza della maglia glutinica, per capirci la manitoba che è una farina di un grano tenero americano con un contenuto proteico del 12- 13 % ma una forza glutinica molto alta, infatti viene usata spesso per fare la pizza sprint casalinga ma anche mescolata ad altre farine per accelerare la lievitazione del pane e portarlo sulle nostre tavole in un paio di ore al massimo, lievitazione e cottura compresa!
Al contrario un pane prodotto con farina di semola di grano duro Timilia deve essere lievitato molte ore sia che si utilizzi lievito di birra, anche se non è il più indicato, sia che si usi la pasta madre, migliore scelta perché provoca una lievitazione lenta, uniforme, naturale ed ad alta digeribilità.
Il Glutine, questo sconosciuto ma tanto odiato elemento costituente delle farine di quasi tutti i cereali (escluso riso, mais, grano saraceno) in realtà è un complesso di proteine che a secondo della qualità può avere caratteristiche chimico-fisico diverse e dare ai prodotti consistenze e digeribilità differenti. Non è quindi la quantità di Glutine ad essere importante ai fini della salute ma la qualità e quindi l’Indice di Glutine che per i Grani Antichi è abbastanza basso, in genere, molto basso in particolare per la Timilia.
E' proprio il tipo di proteine che costituiscono il glutine ad attrarre i ricercatori che non di rado hanno trovato nei campioni di “Grani Antichi” conservati presso le banche del germoplasma presenti nel mondo, varianti proteiche molto rare o addirittura assenti nelle moderne varietà.
Ringraziamo alcuni contadini/imprenditori e più di tutti la Stazione Consorziale Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia che ha sede a Caltagirone che provvedere alla conservazione e mantenimento del germoplasma di specie mediterranee, oltre molti altri compiti.
Infatti grazie a loro da qualche anno il grano Timilia e varietà come il Russello, Biancolilla, Bidì, Perciasacchi, Maiorca e molti altri sono nuovamente disponibili per il consumo locale ed anche nazionale.
La loro coltivazione e commercializzazione permette a tutti noi molti vantaggi in termini di salute ma anche perché ci permette di recuperare un’economia locale che innesca un volano di benessere per tutti!
Coltivare, molire a pietra, trasformare in prodotti da forno o in pasta i “nostri Grani Antichi Siciliani” sta portando l’economia siciliana al centro di una realtà che coinvolge molti mestieri quasi dimenticati e nuove professionalità, restituendoci quel ruolo primario di soggetti artefici della nostra salute e della nostra economia visti come integrati e non dicotomici.
Tre anni fa il Centro Studi di medicina integrata (CESMI) di Palermo, in collaborazione con l’Ordine dei Chimici e Legambiente di Palermo, ha deciso di valutare la Timilia su 30 volontari sofferenti di disturbi dell’apparato gastrointestinale comunemente chiamate “coliti” o più correttamente Sindrome del Colon Irritabile. È stata esclusa la celiachia mediante test specifici ed è stata valutata mediante test genetico HLADQ2/DQ8 la Sensibilità Non Celiaca al Glutine (GSNC), che è stata riscontrata nella maggior parte dei volontari.
Tutti coloro che hanno aderito allo studio osservazionale per 30 giorni hanno sostituito la pasta ed il pane comune con prodotti a base di farina di Timilia. Tutti hanno avuto la remissione dei sintomi.
I particolari dello studio sono presenti nel sito del CESMI di Palermo.
Due anni fa a settembre la dott.ssa Gabriella Pravatà, medico presidente del CESMI ha presentato questo studio al Convegno sui Grani Antichi Siciliani che si è tenuto ad Enna, alla presenza di produttori di grano, mugnai, pastificatori e agronomi, in quell’occasione ero stata invitata anch’io come biologa nutrizionista.
Per me è stata una vera rivelazione! Ho iniziato a consigliare il pane e la pasta di Timilia ai pazienti con disturbi gastrointestinali, all’inizio con molte difficoltà di reperimento ma via via con maggiore semplicità!
Credevo che lo studio presentato avrebbe avuto maggiore risalto nell’ambiente medico siciliano, invece ho scoperto che è più conosciuto dai colleghi nutrizionisti fuori dalla Sicilia che dai Siciliani.
Lo studio ha dimostrato che la Timilia è un grano adatto per fare pane, pasta, biscotti consumabili da persone sofferenti di disturbi gastrointestinali non celiaci, purtroppo gli altri grani antichi non dimostrano di avere le medesime caratteristiche pur distinguendosi per il gusto, la più facile lievitazione e maggiore plasticità di impiego, sono infatti più adatti per fare pizza, brioche o dolci. 
Se dovessi fare un distinguo direi “Timilia sta a patologie gastrointestinali mentre Altri Grani Antichi stanno a prevenzione”.  
Quindi possiamo dire che abbiamo trovato l’oro, la pietra filosofale alchemica, nel grano Timilia ma non ne comprendiamo le grandi potenzialità e lo stiamo lasciando in mano ad interessi commerciali che non si integrano con quelli scientifici, costretti ad assistere impotenti a panificazioni di basso livello con l’impiego di farina di Timilia al 20 – 30 %, con “lievitazione naturale” di poche ore prodotta con il lievito di birra, che provoca gonfiori addominali ed intolleranze alimentari, anziché con l’uso della Pasta Madre.

È necessario che diventiamo consumatori più consapevoli, perché la “Scelta” è l’unica arma di cui disponiamo. La “Scelta” può provocare terremoti commerciali come è già avvenuto di recente con l’Olio di Palma.

E per coloro che amano fare in casa come me, un piccolo regalo: come fare il Pane di Timilia in casa!






INGREDIENTI

500 g di semola di Timilia o Tumminia integrale 
Mix di semi di Sesamo, Canapa, Chia, Lino, Girasole
200 g di lievito di Pasta Madre
400 ml d’acqua
14 g di sale

PREPARAZIONE DELLA RICETTA

1 • Sciogliete la pasta madre nell’acqua, poi unite la farina. Lavorate sino a ottenere un impasto liscio e omogeneo. Aggiungere il sale e 2/3 del mix di semi. Impastare qualche altro minuto. Lasciatelo riposare per 6-8 ore coperto da un panno umido, in primavera o in estate ma in inverno si può favorire la lievitazione tenendolo nel forno spento con la luce accesa.

2 • Ricavate 2 pagnottelle o dei panini, formatele a vostro piacere e lasciatele riposare per 2 ore in ambiente tiepido coperte da un panno umido.

3 • Dopo avere cosparso la superficie con i rimanenti semi, cuocete in forno preriscaldato a 220 °C per 30 minuti, abbassate la temperatura a 180° C e tenere in forno ancora 15 minuti, infine lasciare in forno spento per mezz’ora.

Il pane di Timilia è pronto e può essere consumato con un filo di marmellata o miele per una colazione energetica o con un’insalata mista ed una mozzarella per un pranzo completo e veloce.
Buona salute!



Dott.ssa Cacciola Maria Stella
Biologa Nutrizionista
Esperta in Intolleranze Alimentari


Cell. 3339959391

04 luglio 2016

L'Intolleranza da Nichel fa ingrassare?


 Mi occupo di intolleranze alimentari da 10 anni ed in particolare di intolleranza ed allergia al nichel almeno da 5 anni e posso testimoniare che lo studio conferma i risultati evidenziati in questi anni.

 Condivido la posizione dell'autrice dell'articolo. Unico problema è che non si possono eliminare tutti gli alimenti ad elevato contenuto in nichel perché si rischia di non mangiare quasi nulla e di conseguenza creare stati carenziali importanti. Allora è necessario fare un serio piano nutrizionale alternativo ma ben bilanciato che è possibile solo se ci si rivolge ad un nutrizionista esperto.
http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0123265


L’allergia al nichel fa ingrassare
a cura di Paola P.
Che esista un legame tra allergie/intolleranze alimentari e sovrappeso si è capito da parecchio e, anzi, diversi studi scientifici sono opportunamente giunti a poterlo dimostrare. Ora gli esiti di una nuova, interessante ricerca sperimentale condotta in Italia è andata oltre, rivelando in modo inequivocabile l’associazione tra sovrappeso e allergia al nichel. Questo metallo è presente, oltre che in accessori di abbigliamento, oggetti e utensili a cucina, anche in molti alimenti che consumiamo comunemente. Tra questi basti citare il cioccolato (specialmente fondente), i legumi, i frutti di mare.
Stando alle evidenze dello studio, condotto dai ricercatori dell’Università di Chieti presso il Laboratorio della Croce Rossa in Roma (Unità di Immunologia clinica e Allergologia) su un campione di 87 soggetti (72 donne e 15 uomini), l’allergia al nichel può essere tranquillamente inclusa tra i fattori di rischio per obesità e sovrappeso come e più di altri indicatori tra cui la steatosi epatica (fegato grasso) e la sindrome da insulino-resistenza.
Basti pensare che il 59% del campione, soprattutto donne in “zona” menopausa, con un indice di massa corporea superiore a 26 (ovvero il valore che indica il sovrappeso) era anche allergica al nichel, come rilevato da un semplice patch test. Insomma, un dato di cui tenere conto.
La ricerca non si è limitata a riscontrare il legame, ma ha provato a determinare un’inversione di tendenza. Una parte del campione è stata infatti indotta a seguire quella che è la terapia d’elezione per combattere i sintomi dell’allergia al nichel: la dieta a bassa concentrazione di questo metallo. Dopo tre mesi di questo tipo di alimentazione che, lo specifichiamo, non era “dimagrante” ma normocalorica (ovvero rispettava il fabbisogno calorico di ciascun soggetto in base all’età e allo stile di vita), il campione non solo ha avuto un miglioramento generalizzato delle condizioni di salute, ma ha visto una riduzione del girovita e del proprio indice di massa corporea. Non solo, il dimagrimento ottenuto nel breve termine si è mantenuto tale anche dopo altri sei mesi di controllo. Insomma, un vero successo.
Molte delle donne in premenopausa che all’inizio dell’esperimento erano sovrappeso e soffrivano di fegato grasso e di sindrome da inulino-resistenza, dopo la dieta a basso contenuto di nichel avevano migliorato le loro condizioni generali anche relativamente ai disturbi metabolici. Questo buon esito è legato al fatto che le allergie ad alcuni alimenti o sostanze in essi contenuti (percepiti dal corpo come nocivi anche se non sono tali), portano ad un aumento nel sangue delle citochine, molecole proteiche che inducono una risposta immunitaria di tipo infiammatorio.
Quando nel corpo si verificano queste condizioni, con un aumento dell’insulina e difficoltà nell’assimilazione dei nutrienti, il corpo tende ad accumulare adipe. Ecco perché spesso chi soffre di allergie o intolleranze alimentari, specialmente “nascoste”, a fronte di un aumento di peso, presenta di pari passo anche un peggioramento della salute generale con affaticamento e rallentamento di tutte le funzioni fisiologiche.
Una dieta povera di nichel, quindi, può essere la soluzione per smaltire i chili di troppo e ritrovare il naturale benessere in chi abbia sviluppato allergie o sensibilità a questo metallo. Buono a sapersi visto che stiamo parlando di una fetta consistente di popolazione!


23 maggio 2016

Pane e ancora pane ma per gusti diversi e sempre adatto a buone colazioni!

Si pane...ancora pane...per tutti quelli che lo amano come ma lo vogliono sano, buono digeribile, da mangiare a colazione o farci uno spuntino veloce...


Pane di Timilia, farina di lupino, farina di grano saraceno e un mondo di semi misti!



 Pane di Timilia, farina di castagne, farina di Carosella del Pollino, latte di riso e nocciole spezzettate!

14 maggio 2016

Dieta integrata con amminoacidi, folati e vitamina D3: un nuovo approccio nel trattamento della sarcopenia

Con l'avanzare dell'età gli anziani vanno incontro ad una progressiva perdita di massa muscolare e a una diminuzione della funzionalità fisica. Questo tipo di condizione può essere definita "sarcopenia" secondo una definizione proposta da Irwin Rosenberg. Le cause della sarcopenia sono molteplici, ma la malnutrizione e le carenze di specifici nutrienti, in particolare di proteine, sono tra i principali fattori che aggravano questa condizione. La carenza di proteine è infatti dovuta ad una diminuzione della loro sintesi a partire dagli amminoacidi. Secondo alcuni studi osservazionali, un'altra causa importante è il mancato raggiungimento dell'intake proteico giornaliero raccomandato per l'anziano, che corrisponde a 1,1-1,2 g/kg di peso corporeo. L'invecchiamento comporta anche il deficit di alcuni micronutrienti, ad esempio viene riscontrata una diminuzione di vitamina D a livello dei recettori presenti nelle cellule muscolari. Anche per quanto riguarda l'acido folico (vitamina B9), una carenza può ridurre la forza muscolare, in quanto si tratta di sostanze alla base del metabolismo dell'omocisteina.

L'iperomocisteinemia è stata infatti associata a una diminuzione della forza muscolare nel quadricipite e della densità muscolare nel polpaccio e anche ad un aumentato rischio di disabilità nell'anziano, secondo uno studio di Kuo et al. del 2007. Un recentissimo studio di Rondanelli et al, ha sperimentato un'integrazione alla dieta (durante la prima colazione) con amminoacidi (4 g), in particolare leucina, con vitamina D3 (800 IU al giorno) e con folati (400 µg  al giorno) in un gruppo di anziani sarcopenici mostrando un aumento della massa magra e una concomitante diminuzione della percentuale di grasso aneroide. In particolare questi pazienti hanno mostrato un significativo aumento della forza muscolare, tale da permettere classificare ben il 68% dei pazienti sarcopenici come non più sarcopenici; infine è stato evidenziato un aumento delle concentrazioni di Igf (Insulin Growth Factor).

Per approfondimenti:1. Mithal, Ambrish, et al. "Impact of nutrition on muscle mass, strength, and performance in older adults." Osteoporosis international 24.5 (2013): 1555-1566.
2. Rondanelli, Mariangela, et al. "Whey protein, amino acids, and vitamin D supplementation with physical activity increases fat-free mass and strength, functionality, and quality of life and decreases inflammation in sarcopenic elderly." The American journal of clinical nutrition (2016): ajcn113357.
3. Kuo HK, Liao KC, Leveille SG, Bean JF, Yen CJ, Chen JH, Yu YH, Tai TY (2007)
Simone Perna

12 maggio 2016

Da microbiota e metagenomica un aiuto per comprendere le disbiosi intestinali

Mappare la composizione del microbiota intestinale consente di riconoscere le connessioni esistenti fra batteri intestinali e malattia. Ne abbiamo parlato con il Professor Marco Ventura, Responsabile del Laboratorio di Probiogenomica del Dipartimento di Bioscienze dell'Università degli Studi di Parma.

Quali sono le cause di una disbiosi intestinale?
Gli agenti antimicrobici e la dieta sono i principali fattori responsabili di una disbiosi intestinale, cioè un'alterazione della composizione del microbiota intestinale, accompagnata da una rottura dell'omeostasi delle comunità microbiche presenti. In entrambi i casi e con meccanismi diversi, questi due elementi favoriscono il sopravvento di quei gruppi microbici che sono causa o concausa dell'insorgenza di una serie di malattie, anche importanti. Una terapia antibiotica seppure efficace verso uno specifico patogeno, può svolgere un'azione battericida a largo spettro; un'alimentazione non bilanciata con eccesso di certi nutrienti (ad es. grassi e proteine) può avvantaggiare certi gruppi microbici a scapito di altri (ad es. batteri proteolitici, a danno dei saccarolitici).

Quali sono le potenzialità della metagenomica nella mappatura del microbiota?
La coprocoltura, il test di indagine più utilizzato per identificare in vitro uno specifico patogeno è inefficace quando si voglia mappare la composizione del microbiota intestinale. La 16S rRNA Microbial Profiling invece è un'analisi che sfrutta le recenti applicazioni della metagenomica nel campo dell'ecologia microbica: si basa sul sequenziamento del gene 16S rRNA (costituente della subunità minore dei ribosomi dei procarioti) e rappresenta un marcatore molecolare ampiamente utilizzato nella tassonomia batterica. Da un campione biologico (materiale fecale o biopsia intestinale) viene isolato il DNA microbico che poi è sottoposto ad amplificazione del gene 16S rRNA. L'analisi viene poi completata dal sequenziamento del pool di geni 16S rRNA corrispondenti ai microrganismi presenti nel microbiota e quindi dal loro riconoscimento tramite l'impiego di strumenti bioinformatici.

Quali vantaggi?
Questa analisi permette di valutare le concentrazioni relative dei vari microrganismi presenti nel campione originale. Il nostro Laboratorio ha collaborato alla messa a punto di un test, oggi in commercio, che, partendo da un campione di feci e da un database costituito da diverse centinaia di profili microbici intestinali di diversi soggetti, permette di conoscere la composizione del microbiota. È il punto di partenza per capire le relazioni fra le comunità microbiche intestinali e gli stati di malattia e per riequilibrare, anche per mezzo di interventi mirati, le attività metaboliche e le funzioni immunostimolatorie e d'interazione con il sistema nervoso, in cui è coinvolto in larga parte il microbiota intestinale.

Francesca De Vecchi

04 maggio 2016

Cura delle dislipidemie e prevenzione oncologica. Il ruolo della crusca di riso

La crusca di riso, il prodotto di scarto della fresatura del riso integrale, è un'importante fonte di fibra e proteine, presente in tutti i cereali integrali e nei prodotti che ne derivano come pane, biscotti, crackers.
Essa contiene numerosi composti bioattivi con effetti benefici sulla salute dell'uomo per la loro forte attività antiossidante; questi sono presenti nel riso integrale, in quanto subisce solo l'eliminazione della lolla, ma vengono invece persi nel riso brillato, in cui viene eliminata anche la pula al momento della raffinazione.
Queste sostanze comprendono antiossidanti liposubili come fitosteroli, steroli, carotenoidi e vitamine come B1, B2, B3 e i tocoferoli e i tocotrienoli (vitamine del gruppo E). Questi ultimi, in particolare, agiscono riducendo la sintesi del colesterolo, in quanto inibiscono il meccanismo della HMG-CoA reduttasi e proteggono le cellule neuronali e i recettori per la serotonina contro la tossicità indotta dai glutammati e da altre tossine.



Oltre alla crusca, anche l'olio estraibile dal chicco può avere effetti benefici sulla salute, dal momento che, oltre ad essere una fonte naturale di acido linoleico, oleico e alfa linoleico, contiene anche elevate quantità di sostanze non saponificabili come steroli vegetali e gamma orizanolo, assenti negli altri olii vegetali.
L'olio di riso o il gamma orizanolo assunti per via orale risultano efficaci nella riduzione della concentrazione plasmatica di colesterolo totale, lipoproteine e trigliceridi, inoltre la loro azione è sinergica con farmaci come le statine, di cui attenuano anche gli effetti collaterali.


Un'altra importante proprietà del riso è la sua capacità di ritardare la proliferazione delle cellule tumorali della mammella e del colon grazie al suo contenuto di composti fenolici: è stato infatti comprovato che in Asia, dove il riso riveste una particolare importanza nell'alimentazione, l'incidenza di cancro al seno e al colon è notevolmente inferiore a quella nel mondo occidentale. Tra i composti fenolici, quelli che sembrano avere un ruolo predominante in termini di capacità antiproliferativa sono la tricina e l'acido ferulico: quest'ultimo, specialmente, che deriva dal metabolismo di fenilalanina e tirosina, ha effetti terapeutici contro alcune neoplasie, vasculopatie, diabete e malattie neurodegenerative.
Anche gli isoflavonoidi, sempre presenti nel riso integrale, e la monacolina presente nel riso rosso, hanno significativi effetti antitumorali, in particolare contro il cancro alla prostata, ma anche a colon, fegato, stomaco, esofago e vescica.
Per questo motivo il riso è un alimento molto studiato in campo di chemioprevenzione, così da identificare e chiarire il meccanismo d'azione di quei composti che possono prevenire o ritardare l'insorgenza di cancro.





Approfondimenti:
1. Jang S, Xu Z. Lipophilic and hydrophilic antioxidants and their antioxidant activities in purple rice bran. J Agric Food Chem 2009; 11: 858-62.
2. Hudson EA, Dinh PA, Kokubun T, Simmonds MS, Gescher A. Characterization of potentially chemopreventive phenols in extracts of brown rice that inhibit the growth of human breast and colon cancer cells. Cancer Epidemiol Biomarkers Prev 2000; 9: 1163-70.
3. Cicero AFG, Gaddi A. Rice bran oil and oryzanol in the treatment of hyperl7ipoproteinemias and other conditions. Phytother Res 2001; 15: 277-89.
4. Rondanelli M, Opizzi A, Monteferrario F, Klersy C, Cazzola R, Cestaro B. Beta-glucan- or rice bran-enriched foods: a comparative crossover clinical trial on lipidic pattern in mildly hypercholesterolemic men. Eur J Clin Nutr 2011; Epub ahead of print.
5. Chan JM, Wang F, Holly EA. Whole grains and risk of pancreatic cancer in a large population-based case-control study in the San Francisco Bay Area, California. Am J Epidemiol 2007; 15: 1174-85.
Simone Perna

27 aprile 2016

Intervista al Dott. Keith Grimaldi, uno dei padri della Nutrigenetica

 Dott. Grimaldi Che cos’è la nutrigenetica? 

Scientificamente, la nutrigenetica è lo studio di come la variazione genetica nei geni individuali influenza la risposta di un individuo a particolari nutrienti e tossine nella dieta.

Che cosa sta tentando di fare la nutrigenetica? 

La nutrigenetica aspira ad usare l’informazione genotipica di un individuo per determinare le proprietà delle proteine codificate da certi geni e in questo senso l’effetto sul metabolismo, trasporto ed assorbimento dei nutrienti nella dieta e l’effetto sull’eliminazione delle tossine. Una variazione genetica, p. es. uno SNP, può influenzare l’attività di un enzima che può influenzare il metabolismo di un nutriente come l’acido folico. Questo è esattamente analogo alla farmacogenetica dove la variazione in un gene influenza la velocità del metabolismo del farmaco.
Noi abbiamo linee guida standard del mangiar sano che sono basate su molti anni di prove scientifiche accumulate principalmente da studi epidemiologici e di intervento (e NON prove cliniche). Queste linee guida sono state sviluppate per aiutare a mantenere uno stile di vita salutare più a lungo possibile. Lo scopo della nutrigenetica è di essere capace di modificare le linee guida alimentari in accordo col genotipo e fenotipoindividuali – anche la nutrigenetica è basata su molti anni di prove scientifiche accumulate principalmente da studi epidemiologici e di intervento. Il livello di prove per la nutrigenetica è almeno all’altezza di quello usato per sviluppare e giustificare le linee guida standard.


Che cosa propone al consumatore/paziente? 

L’uso dell’informazione genetica sia per la guida delle scelte alimentari e sia per informare gli individui circa l’importanza dell’alimentazione, del cibo e del metabolismo. La nutrigenetica ci mette in grado di usare il genotipo ed il fenotipo per migliorare la nostra conoscenza di come il cibo lavora insieme con il corpo. L’aspetto informativo di un servizio nutrigenetico è estremamente importante – gli scienziati lo usano e imparano da esso, dunque perché non potrebbe trarne benefici anche il pubblico? Purché l’informazione sia fornita in un modo serio, responsabile e corretto allora il risultato sarà benefico per il paziente/consumatore.


















La nutrigenetica definirà un’alimentazione perfetta? 

No, non si pretende tanto. Usando l’evidenza corrente che è disponibile nella letteratura scientifica “peer reviewed” la nutrigenetica può essere usata per programmare un’alimentazione che è migliore di quella delle linee standard che offre “una taglia unica per tutti” quando in realtà le variazioni genetiche significano una diversità metabolica. Abbiamo ancora tanto da studiare, può darsi che non raggiungeremo mai quella dieta “perfetta”, ma abbiamo accumulato una conoscenza che possiamo usare adesso, stiamo muovendo i primi passi essenziali.

Dunque qual è il punto, sarà realmente di aiuto? 

Lo scopo di tutti i consigli alimentari è di stabilire abitudini del mangiare buono permanentemente perché una buona salute nella vita più tarda dipende molto da come la vita è stata precedentemente vissuta. Piccole variazioni, anche variazioni apparentemente insignificanti, possono produrre una grande differenza nell’arco di 10-20 anni. Per esempio l’eccesso di calorie al giorno richiesto per aumentare di 15 Kg dall’età di 20 anni all’età di 40 anni è soltanto di 10 calorie, che è proprio mezzo cucchiaino di zucchero in più al giorno! L’aiuto che ci offre la nutrigenetica è l’averci fatto capire che ciò non vale per tutti ma solo per coloro che sono geneticamente predisposti.

C’è qualche prova scientifica per la Nutrigenetica? 

Sì, molta. A parte i nostri propri studi ci sono letteralmente migliaia di studi “peer reviewed” che sono stati pubblicati nel corso degli ultimi due decenni e che dimostrano scientificamente le interazioni gene-dieta. Il livello dello studio scientifico è in generale molto alto ed è di qualità simile, se non più rigoroso, delle prove scientifiche usate per giustificare i consigli alimentari standard, come consumare molta frutta e verdura, ridurre i grassi saturi, ridurre gli zuccheri ecc 

20 aprile 2016

La Nutrigenetica:Conosci i tuoi geni per mangiare e vivere meglio

   Questa è la nuova possibilità che la genetica applicata alla nutrizione mette a disposizione di noi tutti. 

    Oggi alcuni semplici test ci rivelano quelle peculiarità genetiche che sono sensibili alle variabili ambientali, in primo luogo la dieta ed il nostro stile di vita e che incidono nel bene e nel male sulla qualità della nostra vita stessa.

    Ognuno di noi è unico e ciò è dovuto ai nostri geni. Le differenze da individuo a individuo si manifestano sia esteriormente nel nostro aspetto fisico, come il colore dei capelli e degli occhi, sia internamente, ad esempio nella diversa capacità di metabolizzare i nutrienti, o eliminare le tossine ecc.. Infatti, sebbene condividiamo gran parte del materiale genetico, in ciascun gene vi sono punti di variazione: il più comune è il “Single Nucleotide Polymorphism” o SNP, l’insieme di queste piccole variazioni che influenzano ciò che siamo e definiscono la nostra individualità.

    Ma i geni non sono tutto, essi non lavorano da soli e non ci determinano in modo assoluto. Essi interagiscono con il nostro ambiente pertanto, modificando la nostra interazione con l’ambiente, modifichiamo l’espressione dei geni. Ad esempio, una persona dalla pelle chiara (geni) si scotterà al sole (ambiente) solo se si espone senza la necessaria cautela.

    L’aspetto dell’ambiente che ci influenza maggiormente e sul quale possiamo, per fortuna, esercitare il maggior controllo, è quello che immettiamo nel nostro organismo con l’alimentazione. Conoscendo meglio l’effetto che i nutrienti hanno sulla nostra particolare costituzione genetica, possiamo esercitare un controllo più effettivo sulla qualità e le nostre aspettative di vita.
Una dieta corretta ed equilibrata è essenziale per una vita sana e lunga, ma non è la stessa per tutti.

    Negli ultimi dieci anni sono stati fatti notevoli progressi nello studio dei rapporti tra geni ed ambiente e da essi è emerso un nuovo territorio della conoscenza: la Nutrigenetica. Essa è pronta per essere messa a disposizione di ciascuno al fine di migliorare il nostro benessere presente e soprattutto futuro. Infatti, grazie ad essa abbiamo selezionato un gruppo di geni che determinano il modo in cui un individuo reagisce a certi nutrienti essenziali. In tal modo è possibile studiare un’alimentazione più adatta a ciascuno, suggerendo in base al suo genotipo linee guida per il tipo e la quantità ottimali dei nutrienti necessari al suo organismo. A questo si è dato il nome di “Sistema NutriGENE” che consiste nell’analisi di materiale genetico: un semplice tampone passato all’interno dellla bocca viene analizzato, ed in base ai risultati ottenuti si offre una serie di suggerimenti alimentari adatti al proprio profilo genetico. Ciò è il frutto di comprovati studi scientifici, condotti in laboratori di varie parti del mondo, i cui risultati sono stati pubblicati da riviste internazionali. Vi è, infatti, una quantità enorme di letteratura scientifica che documenta nei dettagli come le variazioni genetiche influenzano il metabolismo di particolari nutrienti.

    I Geni modificano i nostri bisogni nutrizionali ed il sistema Eurogenetica Full Nutrition determina quali sono le necessità peculiari di ciascuno. Il test rivela le variazioni presenti in 20 geni specifici per la nutrizione e fattori di rischio ad essa associati (come colesterolo, ipertensione, ecc.), i risultati sono convertiti in una guida alimentare. Il report fornito dal sistema Eurogenetica Full Nutrition contiene la spiegazione del significato delle variazioni genetiche e la tavola dei nutrienti consente di modificare, laddove sia necessario la propria alimentazione. Non è, d’altra parte, una dieta radicale, ma consiste in piccole variazioni dell’alimentazione e dello stile di vita. Piccole variazioni che a lungo termine possono avere un effetto significativo e fare la differenza. Non si tratta dunque di una dieta per dimagrire ma di un investimento a lungo termine sulla propria salute. Sapevate che appena 10 calorie in eccesso al giorno, mezzo cucchiaino di zucchero, possono causare un aumento di peso di 15 kg nell’arco di 20 anni in persone geneticamente predisposte? Un eccesso tanto difficile da eliminare quanto facile da accumulare. Pensate allora quali danni può causare un po’ di grassi saturi in eccesso durante l’arco di 20 anni.



    La conoscenza della propria disposizione genetica, la conoscenza del ruolo di certi geni nel determinare i nutrienti di cui ognuno necessita, la conoscenza del proprio hardware, può offrire una forte motivazione a seguire un’alimentazione ed uno stile di vita più consoni ai propri bisogni.


Pane adatto alla colazione da campioni
















Questo pane è stato realizzato con un mix di farine di ben 7 cereali con l'aggiunta di semi di girasole, lino, sesamo e proteine isolate del pisello. La lievitazione con pasta madre di maiorca durata 20 ore garantisce l'assoluta digeribilità!

17 marzo 2016

Per persone a rischio, mangiare mirtilli contrasta l’Alzheimer

Risultati immagini per mirtilli

I mirtilli appaiono confermati come frutti anti-aging per il cervello. E’ probabile, infatti, che grazie al loro elevato contenuto in antiossidanti, i mirtilli aiutino a proteggere dall’Alzheimer le persone a rischio di malattia, perché già colpite da un lieve declino cognitivo. Lo rivelano gli studi presentati da Robert Krikorian dell’Università di Cincinnnati in occasione del XXV Meeting della American Chemical Society (ACS) che si tiene a San Diego. Non è la prima volta che viene suggerito un ruolo protettivo dei mirtilli per il cervello, ma le ricerche di Krikorian mostrano che ad avere più benefici sono proprio gli anziani con un rischio reale di malattia di Alzheimer, perché hanno già ricevuto una diagnosi di lieve declino cognitivo, una riduzione patologica delle funzioni cognitive che spesso è l’anticamera della demenza vera e propria.
Primo studio
Krikorian ha in realtà condotto due studi: il primo su un campione di persone oltre i 68 anni di età con lieve declino cognitivo. A metà di questi anziani Krikorian ha somministrato tutti i giorni per 16 settimane polvere di mirtilli essiccati (una dose è equivalente a una tazza di mirtilli freschi); all’altra metà una polvere placebo, ovvero priva di qualsiasi ingrediente attivo. Ebbene è emerso – con misurazioni oggettive mediante test ad hoc – un miglioramento delle funzioni cognitive e della memoria proprio nel gruppo che ha consumato polvere di mirtilli essiccati. Inoltre tramite la risonanza magnetica è emerso un aumento della loro attività cerebrale.
Secondo studio
Nel secondo studio Krikorian ha coinvolto un altro gruppo di persone dai 62 agli 80 anni, tutte sane (senza evidenze di declino cognitivo), ma che avevano lamentato dei problemi generici di memoria. In questo caso la polvere di mirtillo è risultata non sempre efficace nel migliorare le funzioni cognitive, lo studio, insomma, ha dato risultati più dubbi. Probabilmente ciò si spiega col fatto che l’estratto di mirtilli funziona laddove vi sia un vero declino cognitivo già clinicamente accertato.

Patrizia Maria Gatti


16 marzo 2016

MAFALDE CON SEMINI VARI E CURCUMA

Stamattina avevo voglia di provare la mia farina Bio di Maiorca e così ho pensato ad un pane della mia infanzia: la mafalda! Le prime due foto sono prima dell'infornata mentre nella terza sono già cotte e sfornate!




15 marzo 2016

Dimagrire con i Pesi è Possibile? Come



Dallo scrittore Myprotein Roberto Flenghi, personal trainer laureato in Scienze Motorie e Sportive.



Quante volte avete sentito dire: “non faccio i pesi perchè poi mi ingrosso”, “per dimagrire devi fare cardio per tanto tempo a bassa intensità”, “quando facevo sala pesi ero ingrassata!!”?


Tante volte, vero? Purtroppo in gran parte dell’ambiente fitness troneggia ancora la regola che l’allenamento con i pesi sia nemico deldimagrimento, mentre interminabili ed estenuanti sedute cardio rappresentano il santo Graal per tutte quelle persone (soprattutto donne) che identificano nella bilancia il loro peggior nemico.


Ma è vero che i pesi non servono a dimagrire (anzi peggiorano le cose) mentre il cardio si?

La risposta è ovviamente no, ma andiamo con ordine.



Come Siamo Fatti?


Il nostro corpo è un sistema incredibilmente complesso, ma possiamo individuare in esso quattro grandi componenti: ossa, organi, muscolo epannicolo adiposo, a cui vanno aggiunti i liquidi.


Ossa e organi sono componenti che, tendenzialmente possiamo considerare fisse (ovvero non sottoposte ad oscillazioni), mentre muscoli e tessuto adiposo sono le due componenti variabili a cui possiamo e dobbiamo fare riferimento quando parliamo di dimagrimento.



Cos’è il Dimagrimento?


Per dimagrimento si intende il miglioramento del rapporto tra massa grassa e massa magra, all’aumentare della seconda diminuirà la prima e viceversa; e in tutto questo il peso ricopre un ruolo marginale se non nullo (tranne in particolari condizioni).


Inoltre va detto che grasso e muscolo hanno due densità completamente diverse a parità di peso, il che significa che, se in un lasso di tempo X ci allenassimo con i pesi e perdessimo 3 kg di massa adiposa, a favore di 3 kg di massa magra, davanti allo specchio risulteremmo molto più asciutti, pur pesando sempre uguale.
Il Peso


Croce e delizia di chiunque debba (o pensa di dovere) dimagrire, alcuni arrivano a consultare la bilancia anche più volte al giorno disperandosi o gioendo di oscillazioni di pochi etti, sprecando tempo ed energie preziose. Il nostro peso infatti è un valore di per se abbastanza vuoto, che indica la somma di tutti i nostri tessuti, liquidi e quant’altro; ci da una stima quantitativa, ma non qualitativa, della nostra condizione attuale.


Quindi, a meno che non rientriate nella categoria del forte sovrappeso o dell’obesità (condizione nella quale, perdere peso è necessario, almeno in una prima fase), potete tranquillamente consultare la bilancia non più di una volta ogni settimana, o anche meglio ogni due).



Il Metabolismo, Questo Sconosciuto


Il nostro corpo consuma una certa quantità di calorie ogni giorno per mantenere le proprie funzioni vitali (metabolismo basale) e per permetterci di svolgere tutte le nostre attività giornaliere, dal lavoro all’allenamento; e noi ingeriamo giornalmente una certa quantità di calorie per far si che tutto funzioni a dovere.


Ogni tessuto del nostro corpo utilizza una certa quantità di calorie, e il tessuto che ne utilizza la quantità maggiore è il muscolo; va da se che più muscolo (massa magra) abbiamo, e più calorie il nostro corpo utilizzerà per le proprie funzioni.



Cardio VS Pesi


Ricapitolando, il dimagrimento si considera rapportando la percentuale di massa grassa con la percentuale di massa magra, il peso non è una discriminante fondamentale e il muscolo è il nostro principale alleato per innalzare il metabolismo e rendere più efficace il processo di dimagrimento.



Da queste considerazioni si evince che il lavoro con i pesi (ovviamente ben organizzato e strutturato) è sicuramente preferibile all’allenamento cardio(che può comunque essere abbinato), perchè ci consente di rafforzare e potenziare quelle strutture che ci consentiranno di avere un metabolismo più efficiente e più veloce, a discapito della massa grassa.


Avere una percentuale più alta di muscolo vi consentirà inoltre di mangiare di più (non cheesecake), perchè è un substrato energeticamente più efficiente.


In tutto questo non dimentichiamo che l’allenamento cardio può essere un ottimo alleato, se eseguito anch’esso con criterio; sono infatti sconsigliateinterminabili sedute di camminata sul tappeto che hanno come unico risultato quello di farvi morire di noia, molto meglio una sessione più breve (anche venti, trenta minuti massimo), ma organizzata secondo degli intervalli di intensità variabili, che permetteranno al vostro corpo di non abituarsi mai a quello che state facendo, reagendo e migliorando la risposta metabolica.


Un Consiglio da Non Dimenticare


Per concludere, il dimagrimento è senza dubbio un processo che va affrontato da più versanti (alimentazione, allenamento, integrazione), ma che trova nell’allenamento con i pesi il suo principale strumento di successo, e se riuscirete a superare tutte le leggende e i miti (per lo più sbagliati) che lo circondano, vi renderete conto di quanti e quali risultati positivi e durature potrete ottenere per mezzo di esso.


Inoltre, e questo vale soprattutto per le donne, non fatevi ingannare dalla storiella che fare pesi equivale a diventare come gli uomini, perchè il vostroquadro ormonale ve lo impedirebbe anche se lo voleste, inoltre la qualità muscolare e la compattezza che potete ottenere con allenamenti di forza sono irraggiungibili seguendo qualsiasi altra pratica, men che meno facendo soltanto cardio.


L’unico rischio che correrete facendo seriamente pesi è che diventi una dipendenza!

Curcumina e sindrome metabolica




La curcumina è il componente attivo più studiato della curcuma, é dotata di un ampio spettro di attività farmacologiche e mostra una potenziale attività per il trattamento della sindrome metabolica, l'obesità e il diabete. Nel tessuto adiposo umano, la curcumina riduce l'espressione di adipochine, interleuchina-6 (IL-6) e tumore necrosis factor-alfa (TNF), potenti agenti pro infiammatori e induce l'espressione di adiponectina, l'agente antinfiammatorio più importante secreto dagli adipociti. La curcumina presenta effetti anti-iperglicemici e insulina sensibilizzanti. Inoltre, la curcumina ⪚rav e; inibitore selettivo della 11-betaHSD122 umana, la cui attività è in relazione con alte concentrazioni di cortisolo nel tessuto adiposo e con lo sviluppo di obesità centrale, insulino-resistenza, e diabete in modelli murini. Nell'uomo il cortisolo è uno dei fattori importanti nel promuovere la sindrome metabolica. La curcumina è purtroppo una molecola scarsamente biodisponibile quando assunta per via orale ed è per questo che negli ultimi anni sono sorte diverse forme di curcumina, dove la sostanza si trova coniugata ad altre molecole allo scopo di favorirne l'assorbimento e un'emivita più lunga. Sulla base di queste conoscenze, alcuni ricercatori hanno valutato in uno studio(1) controllato randomizzato, la tollerabilità e l'efficacia di un complesso curcumina-fosfatidilserina in forma di fitosoma e di fosfatidilserina pura in soggetti in sovrappeso affetti da sindrome metabolica, con particolare attenzione alla intolleranza a l glucosio e all'accumulo di grasso di tipo androide. Un gruppo di 127 soggetti, sono stati sottoposti a un trattamento di 30 giorni che includeva correzione dietetica e modificazione dello stile di vita. I soggetti hanno mostrato una perdita di peso inferiore al 2%. Tra questi, 44 soggetti sono stati assegnati casualmente rispettivamente o a un gruppo che per ulteriori 30 giorni ha proseguito aggiungendo l'assunzione CUR-SER o a un gruppo che ha proseguito aggiungendo solo fosfatildiserina.

I risultati riguardanti le misurazioni antropometriche e la composizione corporea sono stati analizzati al momento dell'arruolamento e dopo 30 e 60 giorni.

La somministrazione di curcumina aumenta la perdita di peso dall' 1,88 al 4,91%, una percentuale di riduzione del grasso corporeo (0,70-8,43%), una riduzione del girovita (2,36-4,14%), il miglioramento della riduzione della circonferenza fianchi 0,74-2,51% e la riduzione del BMI (dalle 2.10 al 6,43% del) (p

La tollerabilità è stata molto buona per entrambi i trattamenti. Anche se preliminari, i risultati suggeriscono che una forma biodisponibile di curcumina è ben tollerata e in grado di influenzare positivamente la gestione di peso nelle persone in sovrappeso affetti da sindrome metabolica. Di Pierro F, et al. Eur Rev Med Pharmacol Sci. 2015 Nov;19(21):4195-202.


Eugenia Gallo
CERFIT Fitovigilanza
AOU Careggi - Università di Firenze


08 febbraio 2016

LA BARRIERA ANTIOSSIDANTE E LE VARIANTI GENETICHE CHE LA MODULANO


Lo stress ossidativo è la conseguenza di uno squilibrio tra l'attività dei radicali liberi e il sistema antiossidante dell'organismo. Gli antiossidanti esogeni ottenuti con la dieta, come vitamina C, E, carotenoidi hanno un ruolo molto importante nella prevenzione e nella riduzione dello stress ossidativo. Le variazioni genetiche individuali coinvolte nell'assorbimento, nell'utilizzo e nel metabolismo di questi antiossidanti possono alterarne i livelli ematici, la loro esposizione a cellule bersaglio e conseguentemente l'avanzamento dello stress ossidativo. Gli antiossidanti endogeni includono enzimi come superossido dismutasi, catalasi, glutatione perossidasi e glutatione S tranferasi. Variazioni nei geni che codificano per questi enzimi possono influenzare l'attività del sistema antiossidante e il rischio di sviluppo di determinate patologie. I livelli circolanti di acido ascorbico sono influenzati da polimorfismi a singolo nucleotide (Snps) nel gene SLC23A1 che codifica per il trasportatore di tipo 1 della vitamina C (SVCT1), responsabile del trasporto attivo della vitamina C dall'intestino. Anche i livelli circolanti di tocoferolo sono influenzati da polimorfismi nei geni codificanti proteine coinvolte nell'assorbimento, trasporto e metabolismo come apoliproteine, citocromo P450 ed il gene SR-B1. MnSOD è la più importante tra le isoforme dell'enzima superossido dismutasi. Il polimorfismo più studiato di questo gene, Val16Ala, altera la funzionalità dell'enzima e la capacità del suo precursore di difendere le cellule dallo stress ossidativo.  L'enzima catalasi è codificato dal gene catalasi (CAT) ed è espresso principalmente nel fegato, nei reni e negli eritrociti. Un polimorfismo comune nella posizione -262 della regione non tradotta del gene CAT, dove una C (citosina) è sostituita con una T (timidina), determina una bassa attività dell'enzima, come riportato in alcuni studi. L'impatto di questo polimorfismo può essere anche influenzato dall'etnia, dal sesso e dal consumo di frutta e verdura. In uno studio di 1008 casi di cancro alla mammella e 1056 controlli del progetto Long Island Breast Cancer Study, il genotipo CAT-262 CC è associato con il 17% di diminuzione del rischio di sviluppo della patologia, rispetto ai portatori dell'allele T. Inoltre un alto consumo di frutta (>10 porzioni a settimana) o una supplementazione di vitamina C (> 133.7 mg/die) associato al genotipo CC ha dimostrato il più basso rischio di cancro alla mammella in questo studio. Ulteriori ricerche su altre Snps di questo e altri geni coinvolti nei processi antiossidanti sono in corso per migliorare la comprensione della complessa interazione geni-dieta.


Approfondimenti:Cahill LE, El-Sohemy A: Vitamin C transporter gene polymorphisms, dietary vitamin C and serum ascorbic acid. J Nutrigenet Nutrigenomics 2009;2:292-301.

Bastaki M, Huen K, Manzanillo P, Chande N, Chen C, Balmes JR, Tager IB, Holland N: Genotype-activity relationship for Mn-superoxide dismutase, glutathione peroxidase 1 and catalase in humans. Pharmacogenet Genomics 2006;16:279-286

Possible risk modifications in the association between MnSOD Ala-9Val polymorphism and breast cancer risk: subgroup analysis and evidence-based sample size calculation for a future trial. Breast Cancer Res Treat 2011;125:495-504.
Elena Giordano


http://www.nutrizione33.it