Mi occupo di Nutrizione per patologie accertate, Lipedema, Policistosi Ovarica, Intolleranze Alimentari, Disbiosi, Dieta Chetogenica su misura. Ricevo a Messina e Catania. In queste pagine offro consigli nutrizionali, ricette per tutti coloro che si interessano di Dieta, Nutrizione e Salute. Sono disponibile a consulenze online. Questo blog è collegato alla pagina Facebook Camice&Mestoli ed Instagram Bionutrizionistacacciola
30 agosto 2016
03 agosto 2016
Sensibilità al glutine non celiaca (NCGS)
Key Points
• La “Non Celiac Disease Gluten Sensitivity” (NCGS) è una sindrome complessa,
i cui aspetti epidemiologici, clinici e patogenetici restano da definire.
• L’assenza di biomarkers e la complessità delle procedure diagnostiche rendono
difficilmente stimabile la prevalenza e le caratteristiche della NCGS.
• La clinica dei pazienti che si ritiene siano affetti da NCGS è varia.
• Oltre al glutine, è possibile la responsabilità di altri componenti della dieta,
come i FODMAPs.
• Alcuni studi suggeriscono il possibile ruolo di un meccanismo immunitario,
seppur diverso quello attivo nella celiachia, ma non è possibile escludere al momento
alterazioni della motilità intestinale e/o della sensibilità viscerale
DEFINIZIONE ED EPIDEMIOLOGIA
La
“gluten sensitivity”, o più precisamente “non celiac gluten sensitivity
(NCGS)”,
è
una sindrome caratterizzata da sintomi intestinali ed extra-intestinali
correlati
all’ingestione
di alimenti contenenti glutine, in soggetti non affetti da malattia
celiaca (CD)
né allergici al grano (1).
Per
quanto sia inclusa nei disordini correlati all’ingestione di glutine, molti
aspetti
epidemiologici
e patogenetici sono ancora poco chiari.
In
effetti questa entità è conosciuta da decenni: già negli anni ’80 si
individuarono
gruppi
di pazienti non celiaci con diarrea cronica, la cui sintomatologia
migliorava
dopo eliminazione del glutine dalla dieta, e peggiorava dopo la sua
reintroduzione.
La
prevalenza nella popolazione generale è difficilmente stimabile, visto anche
l’aumento
di pazienti autodiagnosticatisi disturbi correlati al glutine che hanno
iniziato
la dieta senza glutine (DSG) senza indicazione medica.
Tuttavia
la NCGS sembra un disturbo piuttosto comune: in uno studio americano,
condotto
su 7.762 persone dai sei anni in su coinvolte nel “National Health
and
Nutrition Examination Survey” (NHANES), è stata stimata una percentuale
dello
0,55% di pazienti a DSG auto-prescritta, con una prevalenza più alta
nelle
donne e nei pazienti adulti.
Altri studi hanno mostrato prevalenze variabili tra
lo 0,6% e il 6%.
Gli importanti limiti di queste stime è che si tratta di dati spesso
provenienti
dai centri specialistici e in ogni caso la relazione tra sintomi gastrointestinali
e l’intake di glutine non è stata adeguatamente esplorata.
Il
gold standard diagnostico da tutti proposto è il challenge con glutine in
doppio
cieco
controllato con placebo (double-blind placebo-controlled challenge,
DBPC),
con comparsa di sintomi intestinali ed extraintestinali direttamente
correlabile al’ingestione
di glutine e la loro scomparsa con l’eliminazione
dello stesso dalla
dieta.
Questa
metodica non è tuttavia di facile esecuzione nella pratica clinica.
In pochissimi studi
i pazienti sono stati correttamente diagnosticati e ciò
rappresenta un
importante limite per molte delle informazioni disponibili
circa la clinica e
la patogenesi
di questa condizione.
Il
rapporto tra Irritable bowel Syndrome (IBS) e disturbi correlati al glutine è
complesso,
ed è suggerito un legame tra il disordine funzionale e la NCGS.
Secondo altri
autori, il ruolo del glutine nell’insorgenza dei sintomi andrebbe
ridimensionato, valorizzando
invece il peso di altri nutrienti, in particolare
gli oligoe monosaccaridi
fermentabili e polioli (FODMAPs), presenti nel
grano ma anche in
altri alimenti come alcuni vegetali.
La
relazione tra sintomi IBS-like e dieta priva di glutine non è chiara: uno
studio
randomizzato
e controllato non ha evidenziato effetti specifici o dose-dipendenti
del
glutine, una volta esclusi i FODMAPs, in una coorte di pazienti con NCGS
“autoriportata”
e sintomi IBS-like (2). Secondo alcuni sarebbe più corretto parlare
di
“sensibilità al grano non celiaca” (Non Celiac Wheat Sensitivity - NCWS).
CARATTERISTICHE DEI PAZIENTI
Le
caratteristiche dei pazienti con NCGS sono ancora poco chiare.
Uno studio
prospettico multicentrico
condotto in Italia in 38 centri, di cui
4 pediatrici, ha individuato, durante
un periodo di sorveglianza di un anno,
486 pazienti con NCGS, diagnosticati in
base alla comparsa di sintomi in seguito
all’assunzione di glutine, e alla loro
scomparsa in
seguito all’eliminazione del glutine
dalla dieta, ovviamente dopo aver escluso CD
e allergia al grano.
410 pazienti (84%) erano donne con un’età media di 38 anni
e con
più di due sintomi.
Tra i sintomi gastrointestinali, i due più frequenti erano
il gonfiore e
il dolore
addominale, seguiti da nausea, sensazione di reflusso, stomatite
aftosa.
Più
del 50% dei pazienti riferiva un alvo diarroico, il 24% costipazione e il 27%
caratteristiche dell’alvo
alternate. Tra i sintomi extraintestinali, i più frequenti sono
stati l’astenia
e la sensazione di malessere, il dolore osteo-artro-muscolare,
la perdita di
peso, l’anemia
e alcune manifestazioni cutanee.
Per quanto riguarda i sintomi
neuropsichiatrici, circa
il 54% dei pazienti riferiva
cefalea, seguita da ansia e senso di mente annebbiata
e da depressione.
Il 95% di questi pazienti riferiva insorgenza dei sintomi ogni
volta o quasi
che assumeva cibo contenente glutine.
In questo studio è stata
valutata anche
l’associazione con altre patologie:
l’associazione più frequente era con IBS, rilevata
nel 47% dei pazienti,
mentre intolleranze alimentari e allergie ad inalanti,
alimenti o
metalli
sono state individuate nel 35% e 20% dei pazienti rispettivamente.
In questo
studio è stata confermata la mancanza di associazione con l’aplotipo
HLA, mentre
il marker immunitario contro la gliadina più frequentemente
individuato è rappresentato
dagli anticorpi antigliadina IgG di prima generazione
(AGA IgG), riscontrato nel
25% dei pazienti. Una biopsia duodenale, quando
effettuata, presentava un
Marsh 0 nel 69% dei casi e un Marsh 1 nel 31%.
Nei diversi centri il rapporto
tra le
nuove diagnosi di NCGS e celiachia durante
lo studio è stato di 1,15:1,
passando a 0,29:1
considerando soltanto le casistiche
dei centri pediatrici (3).
Lo studio è
interessante perché
offre uno spaccato di come è percepita oggi
la NCGS, ma va sottolineato come
tutte queste informazioni provengano da
pazienti non sottoposti ad adeguato DBPC.
In
uno studio condotto su popolazione adulta nel 2012 in cui gli autori
preferiscono
l’espressione
NCWS (4), sono stati analizzati 276 pazienti con una sintomatologia
IBSlike che
avevano ricevuto diagnosi di NCWS in base all’esecuzione di un
DBPC, con l’esclusione
di altre diagnosi mediante metodiche di laboratorio,
radiografiche ed
endoscopiche.
I
pazienti sono stati sottoposti a un DBPC per grano e latte. Durante il
periodo
di studio sono state registrate la comparsa dei sintomi tramite questionario
validato,
e la loro gravità mediante scala visiva analogica. I pazienti positivi al
challenge erano
divisibili in due gruppi, il primo caratterizzato dalla sola NCWS,
il secondo caratterizzato
da ipersensibilità alimentari multiple. Tutti i pazienti hanno
mostrato un aumento
della sintomatologia (gonfiore, dolore addominale, modifica
della consistenza delle
feci) in seguito all’assunzione di grano, ma nessuno ha mostrato
aumento degliindici
infiammatori. Nessuno dei pazienti con NCWS mostrava
atrofia dei villi. I
pazienti che
erano pure HLA-DQ2 e/o DQ8 positivi appartenevano
principalmente al primo
gruppo e mostravano infiltrazione linfocitaria maggiore
rispetto ai negativi, inoltre
circa un terzo delle biopsie presentava la produzione
di anticorpi
antiendomisio (EMA)
nel mezzo di coltura, mentre i pazienti del
secondo gruppo mostravano
frequentemente un
infiltrato eosinofilo.
Inoltre i pazienti con sola NCWS presentavano una
maggior frequenza di anemia
e perdita di peso rispetto ai pazienti con
intolleranze multiple,
mentre in questi ultimi
era più frequente la coesistente storia di atopia.
Viste
le caratteristiche istologiche dei pazienti del primo gruppo, è possibile
ipotizzare
che
alcuni pazienti con NCWS rientrino piuttosto nello spettro della CD.
Gli
effetti del glutine su pazienti con IBS sono stati indagati in uno studio del
2013 (5):
45
pazienti affetti da IBS con fenotipo diarroico sono stati randomizzati in due
gruppi
per
confrontare gli effetti della dieta con e senza glutine sulla motilità e
permeabilità
intestinale.
I pazienti HLA DQ2/8 positivi a dieta con glutine presentavano più movimenti
intestinali,
un aumento della permeabilità e un’alterazione dell’espressione delle
proteine
delle giunzioni cellulari.
Ci
sono minori informazioni sulla popolazione pediatrica, anche se sembra che
anche
i
bambini presentino come sintomi più frequenti dolore addominale, diarrea
cronica,
astenia
e gonfiore, e spesso una positività degli AGA IgG (6).
Per
quanto riguarda gruppi di pazienti particolari, l’efficacia della DSG nella
popolazione
autistica
non è stata provata da studi randomizzati e controllati. In uno studio
coinvolgente
140 bambini di cui 37 con autismo, 27 parenti sani di autistici e 76 controlli,
la
popolazione con autismo mostrava livelli di AGA IgG significativamente più
alti
rispetto ai controlli sani e ai parenti, mentre non si registravano differenze
tra i
markers
sierologici specifici della CD né una chiara associazione tra livelli di AGA
IgG
e
HLA. I pazienti autistici con sintomi gastrointestinali associati presentavano
livelli di
AGA
IgG significativamente più alti rispetto agli autistici senza sintomi
gastrointestinali.
I
risultati di questo studio suggeriscono la possibilità che nella popolazione
autistica
agisca
un meccanismo immunitario coinvolgente la gliadina ma diverso dai processi
coinvolti
nella CD. Per ammissione stessa degli autori, questi dati non
necessariamente
indicano la presenza di sensibilità al glutine nella popolazione autistica,
ma
piuttosto confermano l’assenza di correlazione tra CD e autismo (7).
PATOGENESI
Le
informazioni sui meccanismi patogenetici della NCGS provengono in larghissima
parte
da studi condotti su soggetti non sottoposti ad appropriate procedure di
challenge.
In
uno studio condotto da Sapone et al (8) coinvolgente 26 pazienti con NCGS, 42
pazienti
con
CD attiva e 39 controlli, i pazienti con NCGS non presentavano, a differenza
di
pazienti con CD attiva, aumento della permeabilità intestinale, che anzi
risultava significativamente ridotta
rispetto ai controlli sani; parallelamente si osservava su campioni
bioptici
duodenali un aumento della claudina 4, una proteina coinvolta nelle giunzioni
cellulari.
Per quanto riguarda i markers immunitari, i campioni dei soggetti con
NCGS
presentavano mediamente un aumento dei linfociti intraepiteliali CD3 rispetto
ai
controlli, mentre il livello dei linfociti γδ era paragonabile ai controlli, probabilmente
per
un meccanismo immunitario diverso rispetto a quello coinvolto nella CD.
Valutando
l’espressione
dei Toll Like Receptors (TLRs) 1, 2 e 4, coinvolti nell’immunità innata
e
noti per essere aumentati nella CD, si è visto che il TLR2 era aumentato nelle
biopsie
dei
NCGS rispetto ai controlli, così come era presente una riduzione
nell’espressione di
FOXP3
e TGFB1, due molecole marker delle cellule T regolatorie. Anche in questo
studio,
circa il 50% dei pazienti con NCGS presentava una positività per gli AGA. Questi
dati
suggerirebbero che CD e NCGS siano due entità distinte con diverse risposte
mucosali
al glutine. Il ruolo dell’immunità nella NCGS è stato esplorato valutando anche
l’espressione
di IFN-γ, IL-8, TNF-α, MCP-1, Hsp-27 e Hsp-70, molecole coinvolte
nell’immunità
innata e adattativa, di MxA, proteina effettrice del pathway dell’IFN-α,
e
delle cellule CD3, in biopsie di 30 pazienti con NCGS HLA-DQ2 positivi e 15
pazienti
con
CD, tutti a DSG, ottenute prima e dopo un challenge in aperto al glutine.
Nello
studio in questione (9) si confermava un aumento dei linfociti CD3 nella mucosa
dei
pazienti con NCGS indipendentemente dal challenge. L’IFN-γ, che nello studio di
Sapone
risultava più basso nei NCGS rispetto ai CD, aumentava nelle biopsie dei
pazienti
con
NCGS in risposta al challenge con glutine, mentre era costitutivamente
aumentato
nelle
biopsie dei pazienti con CD. Alcuni autori hanno infine riportato una
risposta
immunitaria innata scatenata da componenti del grano diversi dal glutine, come
gli
amylase/trypsin inhibitors (ATIs) (10), ed è stato ipotizzato un loro ruolo
nella
genesi
della NCGS.
CONCLUSIONI
L’assenza
di biomarkers e in molti casi la inadeguatezza delle procedure
diagnostiche rendono difficilmente stimabile la prevalenza e le caratteristiche
della NCGS. Il ruolo del glutine è ancora da definirsi, così come i meccanismi
immunitari eventualmente coinvolti.
diagnostiche rendono difficilmente stimabile la prevalenza e le caratteristiche
della NCGS. Il ruolo del glutine è ancora da definirsi, così come i meccanismi
immunitari eventualmente coinvolti.
Va
infine sottolineato il pericolo, soprattutto nella popolazione adulta, che
l’autodiagnosi di NCGS e l’autoprescrizione della DSG impedisca la corretta
diagnosi di CD.
l’autodiagnosi di NCGS e l’autoprescrizione della DSG impedisca la corretta
diagnosi di CD.
Bibliografia
1. Catassi C, Bai JC, Bonaz B et al.
Non-Celiac Gluten sensitivity: the new frontier of gluten related
disorders. Nutrients. 2013 Sep 26;5(10):3839-53.
2. Biesiekierski JR, Peters SL,
Newnham ED et al. No effects of gluten in patients with self-reported nonceliac
gluten sensitivity after dietary reduction of
fermentable, poorly absorbed, short-chain
carbohydrates. Gastroenterology. 2013
Aug;145(2):320-8.
3. Volta U, Bardella MT, Calabrò A
et al. An Italian prospective multicenter survey on patients suspected
of having non-celiac gluten sensitivity. BMC Med. 2014
May;12:85.
4. Carroccio A, Mansueto P, Iacono G
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entity. Am J Gastroenterol. 2012
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5. Vazquez-Roque MI, Camilleri M,
Smyrk T et al. A controlled trial of gluten-free diet in patients with
irritable bowel syndrome-diarrhea: effects on bowel
frequency and intestinal function. Gastroenterology.
2013 May;144(5):903-911.
6. Francavilla R, Cristofori F,
Castellaneta S et al. Clinical, serologic, and histologic features of gluten
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Mar;164(3):463-7.
7. Lau NM, Green PH, Taylor AK et
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with Autism. PLoS One. 2013 Jun 18;8(6):e66155.
8. Sapone A, Lammers KM, Casolaro V
et al. Divergence of gut permeability and mucosal immune
gene expression in two gluten-associated conditions:
celiac disease and gluten sensitivity. BMC Med.
2011 Mar 9;9:23.
9. Brottveit M, Beitnes AC,
Tollefsen S et al. Mucosal cytokine response after short-term gluten challenge
in celiac disease and non-celiac gluten sensitivity.
Am J Gastroenterol. 2013 May;108(5):842-50
10. Junker Y, Zeissig S, Kim SJ et
al. Wheat amylase trypsin inhibitors drive intestinal inflammation via
activation of toll-like receptor 4. J Exp Med. 2012
Dec 17;209(13):2395-408.
Corresponding
Author
RICCARDO TRONCONE
Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali
Sezione di Pediatria
Università degli Studi di Napoli Federico II
Via Pansini, 5 - 80131 Napoli
Tel. + 39 081 7463383
Fax + 39 081 5469811
E-mail: troncone@unina.it
11 luglio 2016
AI NUTRIZIONISTI PIACE LA TIMILIA
Articolo a cura della
dott.ssa Cacciola Maria Stella
Biologa Nutrizionista
Perché ai
Nutrizionisti piace la Timilia?
Sicuramente
perché è buona, fa bene alla salute e favorisce la salvaguardia della
biodiversità!
Ma cerchiamo
di capire che cosa è la Timilia, anche chiamata Tumminia o Triminia e perché è salutare per
noi, per l’ambiente e, perché no, anche per l’economia Siciliana!
La Timilia è
una graminacea cioè un grano (Triticum Durum) che viene annoverato fra i “Grani
Antichi” in particolare “Siciliano” perché è una varietà che si coltiva da
secoli esclusivamente in Sicilia proprio per le caratteristiche climatiche,
infatti la Timilia, che è un “grano estivo”, si semina in primavera e si miete
in giugno ed ha bisogno di caldo secco e di nessun tipo di trattamento di tipo
antiparassitario o anticrittogamico quindi è biologico per natura, ma rispetto
al grano moderno, il Creso e tutte le
varietà da esso ottenute, la spiga più piccola produce meno farina e la resa
per ettaro è minore.
Fu proprio
la maggiore resa per ettaro e la bassa statura, più facile da trebbiare con le
macchine, che dagli anni ’70 portò l’affermazione del Creso, nelle sue varietà, come unica tipologia di grano prodotto e
coltivato in Italia e nel mondo.
Il Creso è
nato nel 1974 per “migliorare”, irradiando con raggi X nel Centro di Studi Nucleari del CNEN
della Casaccia (Roma), un grano di ottima qualità come il Senatore Cappelli al
fine di ottenere una qualità con caratteristiche di maggiore forza glutinica e
resa per ettaro. Per molti oggi il Creso,
alla luce dei disturbi correlati con il consumo di questo grano in questi 40
anni, è considerato “un peggioramento” che dovrebbe essere eliminato dalle
nostre tavole o comunque utilizzato molto poco.
La Timilia è
quindi un grano duro con cariosside piccola dal quale si produce una farina di
semola ricca di Germe di grano, Sali minerali e Vitamine del gruppo B, fibra (8
-9 %) e proteine (13-15%) anche più delle varietà moderne ma con minore indice
glutinico cioè forza della maglia glutinica, per capirci la manitoba che è una farina di un grano tenero
americano con un contenuto proteico del 12- 13 % ma una forza glutinica molto
alta, infatti viene usata spesso per fare la pizza sprint casalinga ma anche mescolata
ad altre farine per accelerare la lievitazione del pane e portarlo sulle nostre
tavole in un paio di ore al massimo, lievitazione e cottura compresa!
Al contrario
un pane prodotto con farina di semola di grano duro Timilia deve essere
lievitato molte ore sia che si utilizzi lievito di birra, anche se non è il più
indicato, sia che si usi la pasta madre, migliore scelta perché provoca una
lievitazione lenta, uniforme, naturale ed ad alta digeribilità.
Il Glutine, questo sconosciuto ma tanto
odiato elemento costituente delle farine di quasi tutti i cereali (escluso
riso, mais, grano saraceno) in realtà è un complesso di proteine che a secondo
della qualità può avere caratteristiche chimico-fisico diverse e dare ai
prodotti consistenze e digeribilità differenti. Non è quindi la quantità di Glutine ad essere importante ai fini
della salute ma la qualità e quindi l’Indice di Glutine che per i Grani
Antichi è abbastanza basso, in genere, molto basso in particolare per la Timilia.
E' proprio
il tipo di proteine che costituiscono il glutine ad attrarre i ricercatori che
non di rado hanno trovato nei campioni di “Grani Antichi” conservati presso le
banche del germoplasma presenti nel mondo, varianti proteiche molto rare o
addirittura assenti nelle moderne varietà.
Ringraziamo
alcuni contadini/imprenditori e più di tutti la Stazione Consorziale Sperimentale di Granicoltura per
la Sicilia che ha sede a Caltagirone che provvedere alla conservazione e
mantenimento del germoplasma di specie mediterranee, oltre molti altri compiti.
Infatti
grazie a loro da qualche anno il grano
Timilia e varietà come il Russello,
Biancolilla, Bidì, Perciasacchi, Maiorca
e molti altri sono nuovamente disponibili per il consumo locale ed anche
nazionale.
La loro
coltivazione e commercializzazione permette a tutti noi molti vantaggi in
termini di salute ma anche perché ci permette di recuperare un’economia locale
che innesca un volano di benessere per tutti!
Coltivare, molire
a pietra, trasformare in prodotti da forno o in pasta i “nostri Grani Antichi Siciliani”
sta portando l’economia siciliana al centro di una realtà che coinvolge molti
mestieri quasi dimenticati e nuove professionalità, restituendoci quel ruolo
primario di soggetti artefici della nostra salute e della nostra economia visti
come integrati e non dicotomici.
Tre anni fa
il Centro Studi di medicina integrata (CESMI) di Palermo, in collaborazione con
l’Ordine dei Chimici e Legambiente di Palermo, ha deciso di valutare la Timilia
su 30 volontari sofferenti di disturbi dell’apparato gastrointestinale
comunemente chiamate “coliti” o più correttamente Sindrome del Colon Irritabile.
È stata esclusa la celiachia mediante test specifici ed è stata valutata
mediante test genetico HLADQ2/DQ8 la Sensibilità Non Celiaca al Glutine (GSNC),
che è stata riscontrata nella maggior parte dei volontari.
Tutti coloro
che hanno aderito allo studio osservazionale per 30 giorni hanno sostituito la
pasta ed il pane comune con prodotti a base di farina di Timilia. Tutti hanno
avuto la remissione dei sintomi.
I
particolari dello studio sono presenti nel sito del CESMI di Palermo.
Due anni fa
a settembre la dott.ssa Gabriella Pravatà, medico presidente del CESMI ha presentato
questo studio al Convegno sui Grani Antichi Siciliani che si è tenuto ad Enna,
alla presenza di produttori di grano, mugnai, pastificatori e agronomi, in
quell’occasione ero stata invitata anch’io come biologa nutrizionista.
Per me è
stata una vera rivelazione! Ho iniziato a consigliare il pane e la pasta di
Timilia ai pazienti con disturbi gastrointestinali, all’inizio con molte
difficoltà di reperimento ma via via con maggiore semplicità!
Credevo che
lo studio presentato avrebbe avuto maggiore risalto nell’ambiente medico
siciliano, invece ho scoperto che è più conosciuto dai colleghi nutrizionisti
fuori dalla Sicilia che dai Siciliani.
Lo studio ha
dimostrato che la Timilia è un grano adatto per fare pane, pasta, biscotti
consumabili da persone sofferenti di disturbi gastrointestinali non celiaci,
purtroppo gli altri grani antichi non dimostrano di avere le medesime
caratteristiche pur distinguendosi per il gusto, la più facile lievitazione e
maggiore plasticità di impiego, sono infatti più adatti per fare pizza, brioche
o dolci.
Se dovessi
fare un distinguo direi “Timilia sta a patologie gastrointestinali mentre Altri
Grani Antichi stanno a prevenzione”.
Quindi
possiamo dire che abbiamo trovato l’oro, la pietra filosofale alchemica, nel
grano Timilia ma non ne comprendiamo le grandi potenzialità e lo stiamo lasciando
in mano ad interessi commerciali che non si integrano con quelli scientifici,
costretti ad assistere impotenti a panificazioni di basso livello con l’impiego
di farina di Timilia al 20 – 30 %, con “lievitazione naturale” di poche
ore prodotta con il lievito
di birra, che provoca gonfiori addominali ed intolleranze alimentari, anziché
con l’uso della Pasta Madre.
È necessario
che diventiamo consumatori più consapevoli, perché la “Scelta” è l’unica arma
di cui disponiamo. La “Scelta” può provocare terremoti commerciali come è già
avvenuto di recente con l’Olio di Palma.
E per coloro
che amano fare in casa come me, un piccolo regalo: come fare il Pane di Timilia
in casa!
INGREDIENTI
500 g di
semola di Timilia o Tumminia integrale
Mix di semi
di Sesamo, Canapa, Chia, Lino, Girasole
200 g di
lievito di Pasta Madre
400 ml
d’acqua
14 g di sale
PREPARAZIONE
DELLA RICETTA
1 •
Sciogliete la pasta madre nell’acqua, poi unite la farina. Lavorate sino a
ottenere un impasto liscio e omogeneo. Aggiungere il sale e 2/3 del mix di
semi. Impastare qualche altro minuto. Lasciatelo riposare per 6-8 ore coperto
da un panno umido, in primavera o in estate ma in inverno si può favorire la
lievitazione tenendolo nel forno spento con la luce accesa.
2 • Ricavate
2 pagnottelle o dei panini, formatele a vostro piacere e lasciatele riposare
per 2 ore in ambiente tiepido coperte da un panno umido.
3 • Dopo
avere cosparso la superficie con i rimanenti semi, cuocete in forno preriscaldato
a 220 °C per 30 minuti, abbassate la temperatura a 180° C e tenere in forno
ancora 15 minuti, infine lasciare in forno spento per mezz’ora.
Il pane di
Timilia è pronto e può essere consumato con un filo di marmellata o miele per
una colazione energetica o con un’insalata mista ed una mozzarella per un
pranzo completo e veloce.
Buona
salute!
Dott.ssa
Cacciola Maria Stella
Biologa
Nutrizionista
Esperta in
Intolleranze Alimentari
Cell.
3339959391
04 luglio 2016
L'Intolleranza da Nichel fa ingrassare?
Mi occupo di intolleranze alimentari da 10 anni ed in particolare di intolleranza ed allergia al nichel almeno da 5 anni e posso testimoniare che lo studio conferma i risultati evidenziati in questi anni.
Condivido la posizione dell'autrice dell'articolo. Unico problema è che non si possono eliminare tutti gli alimenti ad elevato contenuto in nichel perché si rischia di non mangiare quasi nulla e di conseguenza creare stati carenziali importanti. Allora è necessario fare un serio piano nutrizionale alternativo ma ben bilanciato che è possibile solo se ci si rivolge ad un nutrizionista esperto.
http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0123265
L’allergia al nichel fa ingrassare
a cura di Paola P.
Che esista un legame tra allergie/intolleranze alimentari e
sovrappeso si è capito da parecchio e, anzi, diversi studi scientifici sono
opportunamente giunti a poterlo dimostrare. Ora gli esiti di una nuova,
interessante ricerca sperimentale condotta in Italia è andata oltre, rivelando
in modo inequivocabile l’associazione tra sovrappeso e allergia al nichel.
Questo metallo è presente, oltre che in accessori di abbigliamento, oggetti e
utensili a cucina, anche in molti alimenti che consumiamo comunemente. Tra
questi basti citare il cioccolato (specialmente fondente), i legumi, i frutti
di mare.
Stando alle evidenze dello studio, condotto dai ricercatori
dell’Università di Chieti presso il Laboratorio della Croce Rossa in Roma
(Unità di Immunologia clinica e Allergologia) su un campione di 87 soggetti (72
donne e 15 uomini), l’allergia al nichel può essere tranquillamente inclusa tra
i fattori di rischio per obesità e sovrappeso come e più di altri indicatori
tra cui la steatosi epatica (fegato grasso) e la sindrome da
insulino-resistenza.
Basti pensare che il 59% del campione, soprattutto donne in
“zona” menopausa, con un indice di massa corporea superiore a 26 (ovvero il
valore che indica il sovrappeso) era anche allergica al nichel, come rilevato
da un semplice patch test. Insomma, un dato di cui tenere conto.
La ricerca non si è limitata a riscontrare il legame, ma ha
provato a determinare un’inversione di tendenza. Una parte del campione è stata
infatti indotta a seguire quella che è la terapia d’elezione per combattere i
sintomi dell’allergia al nichel: la dieta a bassa concentrazione di questo
metallo. Dopo tre mesi di questo tipo di alimentazione che, lo specifichiamo,
non era “dimagrante” ma normocalorica (ovvero rispettava il fabbisogno calorico
di ciascun soggetto in base all’età e allo stile di vita), il campione non solo
ha avuto un miglioramento generalizzato delle condizioni di salute, ma ha visto
una riduzione del girovita e del proprio indice di massa corporea. Non solo, il
dimagrimento ottenuto nel breve termine si è mantenuto tale anche dopo altri
sei mesi di controllo. Insomma, un vero successo.
Molte delle donne in premenopausa che all’inizio
dell’esperimento erano sovrappeso e soffrivano di fegato grasso e di sindrome da
inulino-resistenza, dopo la dieta a basso contenuto di nichel avevano
migliorato le loro condizioni generali anche relativamente ai disturbi
metabolici. Questo buon esito è legato al fatto che le allergie ad alcuni
alimenti o sostanze in essi contenuti (percepiti dal corpo come nocivi anche se
non sono tali), portano ad un aumento nel sangue delle citochine, molecole
proteiche che inducono una risposta immunitaria di tipo infiammatorio.
Quando nel corpo si verificano queste condizioni, con un
aumento dell’insulina e difficoltà nell’assimilazione dei nutrienti, il corpo
tende ad accumulare adipe. Ecco perché spesso chi soffre di allergie o
intolleranze alimentari, specialmente “nascoste”, a fronte di un aumento di
peso, presenta di pari passo anche un peggioramento della salute generale con
affaticamento e rallentamento di tutte le funzioni fisiologiche.
Una dieta povera di nichel, quindi, può essere la soluzione
per smaltire i chili di troppo e ritrovare il naturale benessere in chi abbia
sviluppato allergie o sensibilità a questo metallo. Buono a sapersi visto che
stiamo parlando di una fetta consistente di popolazione!
23 maggio 2016
Pane e ancora pane ma per gusti diversi e sempre adatto a buone colazioni!
Si pane...ancora pane...per tutti quelli che lo amano come ma lo vogliono sano, buono digeribile, da mangiare a colazione o farci uno spuntino veloce...
Pane di Timilia, farina di lupino, farina di grano saraceno e un mondo di semi misti!
Pane di Timilia, farina di castagne, farina di Carosella del Pollino, latte di riso e nocciole spezzettate!
Pane di Timilia, farina di lupino, farina di grano saraceno e un mondo di semi misti!
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14 maggio 2016
Dieta integrata con amminoacidi, folati e vitamina D3: un nuovo approccio nel trattamento della sarcopenia
Con l'avanzare dell'età gli anziani vanno incontro ad una progressiva
perdita di massa muscolare e a una diminuzione della funzionalità
fisica. Questo tipo di condizione può essere definita "sarcopenia"
secondo una definizione proposta da Irwin Rosenberg. Le cause della
sarcopenia sono molteplici, ma la malnutrizione e le carenze di
specifici nutrienti, in particolare di proteine, sono tra i principali
fattori che aggravano questa condizione. La carenza di proteine è
infatti dovuta ad una diminuzione della loro sintesi a partire dagli
amminoacidi. Secondo alcuni studi osservazionali, un'altra causa
importante è il mancato raggiungimento dell'intake proteico giornaliero
raccomandato per l'anziano, che corrisponde a 1,1-1,2 g/kg di peso
corporeo. L'invecchiamento comporta anche il deficit di alcuni
micronutrienti, ad esempio viene riscontrata una diminuzione di vitamina
D a livello dei recettori presenti nelle cellule muscolari. Anche per
quanto riguarda l'acido folico (vitamina B9), una carenza può ridurre la
forza muscolare, in quanto si tratta di sostanze alla base del
metabolismo dell'omocisteina.
L'iperomocisteinemia è stata infatti associata a una diminuzione della forza muscolare nel quadricipite e della densità muscolare nel polpaccio e anche ad un aumentato rischio di disabilità nell'anziano, secondo uno studio di Kuo et al. del 2007. Un recentissimo studio di Rondanelli et al, ha sperimentato un'integrazione alla dieta (durante la prima colazione) con amminoacidi (4 g), in particolare leucina, con vitamina D3 (800 IU al giorno) e con folati (400 µg al giorno) in un gruppo di anziani sarcopenici mostrando un aumento della massa magra e una concomitante diminuzione della percentuale di grasso aneroide. In particolare questi pazienti hanno mostrato un significativo aumento della forza muscolare, tale da permettere classificare ben il 68% dei pazienti sarcopenici come non più sarcopenici; infine è stato evidenziato un aumento delle concentrazioni di Igf (Insulin Growth Factor).
Per approfondimenti:1. Mithal, Ambrish, et al. "Impact of nutrition on muscle mass, strength, and performance in older adults." Osteoporosis international 24.5 (2013): 1555-1566.
2. Rondanelli, Mariangela, et al. "Whey protein, amino acids, and vitamin D supplementation with physical activity increases fat-free mass and strength, functionality, and quality of life and decreases inflammation in sarcopenic elderly." The American journal of clinical nutrition (2016): ajcn113357.
3. Kuo HK, Liao KC, Leveille SG, Bean JF, Yen CJ, Chen JH, Yu YH, Tai TY (2007)Simone Perna
L'iperomocisteinemia è stata infatti associata a una diminuzione della forza muscolare nel quadricipite e della densità muscolare nel polpaccio e anche ad un aumentato rischio di disabilità nell'anziano, secondo uno studio di Kuo et al. del 2007. Un recentissimo studio di Rondanelli et al, ha sperimentato un'integrazione alla dieta (durante la prima colazione) con amminoacidi (4 g), in particolare leucina, con vitamina D3 (800 IU al giorno) e con folati (400 µg al giorno) in un gruppo di anziani sarcopenici mostrando un aumento della massa magra e una concomitante diminuzione della percentuale di grasso aneroide. In particolare questi pazienti hanno mostrato un significativo aumento della forza muscolare, tale da permettere classificare ben il 68% dei pazienti sarcopenici come non più sarcopenici; infine è stato evidenziato un aumento delle concentrazioni di Igf (Insulin Growth Factor).
Per approfondimenti:1. Mithal, Ambrish, et al. "Impact of nutrition on muscle mass, strength, and performance in older adults." Osteoporosis international 24.5 (2013): 1555-1566.
2. Rondanelli, Mariangela, et al. "Whey protein, amino acids, and vitamin D supplementation with physical activity increases fat-free mass and strength, functionality, and quality of life and decreases inflammation in sarcopenic elderly." The American journal of clinical nutrition (2016): ajcn113357.
3. Kuo HK, Liao KC, Leveille SG, Bean JF, Yen CJ, Chen JH, Yu YH, Tai TY (2007)Simone Perna
12 maggio 2016
Da microbiota e metagenomica un aiuto per comprendere le disbiosi intestinali
Mappare la composizione del microbiota intestinale consente di
riconoscere le connessioni esistenti fra batteri intestinali e malattia.
Ne abbiamo parlato con il Professor Marco Ventura, Responsabile del
Laboratorio di Probiogenomica del Dipartimento di Bioscienze
dell'Università degli Studi di Parma.
Quali sono le cause di una disbiosi intestinale?
Gli agenti antimicrobici e la dieta sono i principali fattori responsabili di una disbiosi intestinale, cioè un'alterazione della composizione del microbiota intestinale, accompagnata da una rottura dell'omeostasi delle comunità microbiche presenti. In entrambi i casi e con meccanismi diversi, questi due elementi favoriscono il sopravvento di quei gruppi microbici che sono causa o concausa dell'insorgenza di una serie di malattie, anche importanti. Una terapia antibiotica seppure efficace verso uno specifico patogeno, può svolgere un'azione battericida a largo spettro; un'alimentazione non bilanciata con eccesso di certi nutrienti (ad es. grassi e proteine) può avvantaggiare certi gruppi microbici a scapito di altri (ad es. batteri proteolitici, a danno dei saccarolitici).
Quali sono le potenzialità della metagenomica nella mappatura del microbiota?
La coprocoltura, il test di indagine più utilizzato per identificare in vitro uno specifico patogeno è inefficace quando si voglia mappare la composizione del microbiota intestinale. La 16S rRNA Microbial Profiling invece è un'analisi che sfrutta le recenti applicazioni della metagenomica nel campo dell'ecologia microbica: si basa sul sequenziamento del gene 16S rRNA (costituente della subunità minore dei ribosomi dei procarioti) e rappresenta un marcatore molecolare ampiamente utilizzato nella tassonomia batterica. Da un campione biologico (materiale fecale o biopsia intestinale) viene isolato il DNA microbico che poi è sottoposto ad amplificazione del gene 16S rRNA. L'analisi viene poi completata dal sequenziamento del pool di geni 16S rRNA corrispondenti ai microrganismi presenti nel microbiota e quindi dal loro riconoscimento tramite l'impiego di strumenti bioinformatici.
Quali vantaggi?
Questa analisi permette di valutare le concentrazioni relative dei vari microrganismi presenti nel campione originale. Il nostro Laboratorio ha collaborato alla messa a punto di un test, oggi in commercio, che, partendo da un campione di feci e da un database costituito da diverse centinaia di profili microbici intestinali di diversi soggetti, permette di conoscere la composizione del microbiota. È il punto di partenza per capire le relazioni fra le comunità microbiche intestinali e gli stati di malattia e per riequilibrare, anche per mezzo di interventi mirati, le attività metaboliche e le funzioni immunostimolatorie e d'interazione con il sistema nervoso, in cui è coinvolto in larga parte il microbiota intestinale.
Francesca De Vecchi
Quali sono le cause di una disbiosi intestinale?
Gli agenti antimicrobici e la dieta sono i principali fattori responsabili di una disbiosi intestinale, cioè un'alterazione della composizione del microbiota intestinale, accompagnata da una rottura dell'omeostasi delle comunità microbiche presenti. In entrambi i casi e con meccanismi diversi, questi due elementi favoriscono il sopravvento di quei gruppi microbici che sono causa o concausa dell'insorgenza di una serie di malattie, anche importanti. Una terapia antibiotica seppure efficace verso uno specifico patogeno, può svolgere un'azione battericida a largo spettro; un'alimentazione non bilanciata con eccesso di certi nutrienti (ad es. grassi e proteine) può avvantaggiare certi gruppi microbici a scapito di altri (ad es. batteri proteolitici, a danno dei saccarolitici).
Quali sono le potenzialità della metagenomica nella mappatura del microbiota?
La coprocoltura, il test di indagine più utilizzato per identificare in vitro uno specifico patogeno è inefficace quando si voglia mappare la composizione del microbiota intestinale. La 16S rRNA Microbial Profiling invece è un'analisi che sfrutta le recenti applicazioni della metagenomica nel campo dell'ecologia microbica: si basa sul sequenziamento del gene 16S rRNA (costituente della subunità minore dei ribosomi dei procarioti) e rappresenta un marcatore molecolare ampiamente utilizzato nella tassonomia batterica. Da un campione biologico (materiale fecale o biopsia intestinale) viene isolato il DNA microbico che poi è sottoposto ad amplificazione del gene 16S rRNA. L'analisi viene poi completata dal sequenziamento del pool di geni 16S rRNA corrispondenti ai microrganismi presenti nel microbiota e quindi dal loro riconoscimento tramite l'impiego di strumenti bioinformatici.
Quali vantaggi?
Questa analisi permette di valutare le concentrazioni relative dei vari microrganismi presenti nel campione originale. Il nostro Laboratorio ha collaborato alla messa a punto di un test, oggi in commercio, che, partendo da un campione di feci e da un database costituito da diverse centinaia di profili microbici intestinali di diversi soggetti, permette di conoscere la composizione del microbiota. È il punto di partenza per capire le relazioni fra le comunità microbiche intestinali e gli stati di malattia e per riequilibrare, anche per mezzo di interventi mirati, le attività metaboliche e le funzioni immunostimolatorie e d'interazione con il sistema nervoso, in cui è coinvolto in larga parte il microbiota intestinale.
Francesca De Vecchi
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