03 agosto 2016

Sensibilità al glutine non celiaca (NCGS)

Key Points
• La “Non Celiac Disease Gluten Sensitivity” (NCGS) è una sindrome complessa,
 i cui aspetti epidemiologici, clinici e patogenetici restano da definire.
• L’assenza di biomarkers e la complessità delle procedure diagnostiche rendono 
difficilmente stimabile la prevalenza e le caratteristiche della NCGS.
• La clinica dei pazienti che si ritiene siano affetti da NCGS è varia.
• Oltre al glutine, è possibile la responsabilità di altri componenti della dieta, 
come i FODMAPs.
• Alcuni studi suggeriscono il possibile ruolo di un meccanismo immunitario, 
seppur diverso quello attivo nella celiachia, ma non è possibile escludere al momento 
alterazioni della motilità intestinale e/o della sensibilità viscerale


DEFINIZIONE ED EPIDEMIOLOGIA
La “gluten sensitivity”, o più precisamente “non celiac gluten sensitivity (NCGS)”,
è una sindrome caratterizzata da sintomi intestinali ed extra-intestinali correlati
all’ingestione di alimenti contenenti glutine, in soggetti non affetti da malattia 
celiaca (CD) né allergici al grano (1).
Per quanto sia inclusa nei disordini correlati all’ingestione di glutine, molti aspetti
epidemiologici e patogenetici sono ancora poco chiari.
In effetti questa entità è conosciuta da decenni: già negli anni ’80 si individuarono
gruppi di pazienti non celiaci con diarrea cronica, la cui sintomatologia
migliorava dopo eliminazione del glutine dalla dieta, e peggiorava dopo la sua
reintroduzione.
La prevalenza nella popolazione generale è difficilmente stimabile, visto anche
l’aumento di pazienti autodiagnosticatisi disturbi correlati al glutine che hanno
iniziato la dieta senza glutine (DSG) senza indicazione medica.
Tuttavia la NCGS sembra un disturbo piuttosto comune: in uno studio americano,
condotto su 7.762 persone dai sei anni in su coinvolte nel “National Health
and Nutrition Examination Survey” (NHANES), è stata stimata una percentuale
dello 0,55% di pazienti a DSG auto-prescritta, con una prevalenza più alta
nelle donne e nei pazienti adulti. 
Altri studi hanno mostrato prevalenze variabili tra lo 0,6% e il 6%. 
Gli importanti limiti di queste stime è che si tratta di dati spesso provenienti 
dai centri specialistici e in ogni caso la relazione tra sintomi gastrointestinali 
e l’intake di glutine non è stata adeguatamente esplorata.
Il gold standard diagnostico da tutti proposto è il challenge con glutine in doppio
cieco controllato con placebo (double-blind placebo-controlled challenge,
DBPC), con comparsa di sintomi intestinali ed extraintestinali direttamente 
correlabile al’ingestione di glutine e la loro scomparsa con l’eliminazione 
dello stesso dalla dieta.
Questa metodica non è tuttavia di facile esecuzione nella pratica clinica. 
In pochissimi studi i pazienti sono stati correttamente diagnosticati e ciò 
rappresenta un importante limite per molte delle informazioni disponibili 
circa la clinica e la patogenesi di questa condizione.
Il rapporto tra Irritable bowel Syndrome (IBS) e disturbi correlati al glutine è
complesso, ed è suggerito un legame tra il disordine funzionale e la NCGS. 
Secondo altri autori, il ruolo del glutine nell’insorgenza dei sintomi andrebbe 
ridimensionato, valorizzando invece il peso di altri nutrienti, in particolare 
gli oligoe monosaccaridi fermentabili e polioli (FODMAPs), presenti nel 
grano ma anche in altri alimenti come alcuni vegetali.

La relazione tra sintomi IBS-like e dieta priva di glutine non è chiara: uno studio
randomizzato e controllato non ha evidenziato effetti specifici o dose-dipendenti
del glutine, una volta esclusi i FODMAPs, in una coorte di pazienti con NCGS
“autoriportata” e sintomi IBS-like (2). Secondo alcuni sarebbe più corretto parlare
di “sensibilità al grano non celiaca” (Non Celiac Wheat Sensitivity - NCWS).

CARATTERISTICHE DEI PAZIENTI
Le caratteristiche dei pazienti con NCGS sono ancora poco chiare. 
Uno studio prospettico multicentrico condotto in Italia in 38 centri, di cui  
4 pediatrici, ha individuato, durante un periodo di sorveglianza di un anno, 
486 pazienti con NCGS, diagnosticati in base alla comparsa di sintomi in seguito 
all’assunzione di glutine, e alla loro scomparsa in seguito all’eliminazione del glutine
dalla dieta, ovviamente dopo aver escluso CD e allergia al grano. 
410 pazienti (84%) erano donne con un’età media di 38 anni e con più di due sintomi. 
Tra i sintomi gastrointestinali, i due più frequenti erano il gonfiore e il dolore 
addominale, seguiti da nausea, sensazione di reflusso, stomatite aftosa.
Più del 50% dei pazienti riferiva un alvo diarroico, il 24% costipazione e il 27% 
caratteristiche dell’alvo alternate. Tra i sintomi extraintestinali, i più frequenti sono 
stati l’astenia e la sensazione di malessere, il dolore osteo-artro-muscolare, 
la perdita di peso, l’anemia e alcune manifestazioni cutanee. 
Per quanto riguarda i sintomi neuropsichiatrici, circa il 54% dei pazienti riferiva 
cefalea, seguita da ansia e senso di mente annebbiata e da depressione. 
Il 95% di questi pazienti riferiva insorgenza dei sintomi ogni volta o quasi 
che assumeva cibo contenente glutine. 
In questo studio è stata valutata anche l’associazione con altre patologie: 
l’associazione più frequente era con IBS, rilevata nel 47% dei pazienti, 
mentre intolleranze alimentari e allergie ad inalanti, alimenti o metalli 
sono state individuate nel 35% e 20% dei pazienti rispettivamente. 
In questo studio è stata confermata la mancanza di associazione con l’aplotipo 
HLA, mentre il marker immunitario contro la gliadina più frequentemente 
individuato è rappresentato dagli anticorpi antigliadina IgG di prima generazione
(AGA IgG), riscontrato nel 25% dei pazienti. Una biopsia duodenale, quando 
effettuata, presentava un Marsh 0 nel 69% dei casi e un Marsh 1 nel 31%. 
Nei diversi centri il rapporto tra le nuove diagnosi di NCGS e celiachia durante 
lo studio è stato di 1,15:1, passando a 0,29:1 considerando soltanto le casistiche 
dei centri pediatrici (3). 
Lo studio è interessante perché offre uno spaccato di come è percepita oggi 
la NCGS, ma va sottolineato come tutte queste informazioni provengano da 
pazienti non sottoposti ad adeguato DBPC.
In uno studio condotto su popolazione adulta nel 2012 in cui gli autori preferiscono
l’espressione NCWS (4), sono stati analizzati 276 pazienti con una sintomatologia 
IBSlike che avevano ricevuto diagnosi di NCWS in base all’esecuzione di un
DBPC, con l’esclusione di altre diagnosi mediante metodiche di laboratorio, 
radiografiche ed endoscopiche.
I pazienti sono stati sottoposti a un DBPC per grano e latte. Durante il
periodo di studio sono state registrate la comparsa dei sintomi tramite questionario
validato, e la loro gravità mediante scala visiva analogica. I pazienti positivi al 
challenge erano divisibili in due gruppi, il primo caratterizzato dalla sola NCWS, 
il secondo caratterizzato da ipersensibilità alimentari multiple. Tutti i pazienti hanno 
mostrato un aumento della sintomatologia (gonfiore, dolore addominale, modifica 
della consistenza delle feci) in seguito all’assunzione di grano, ma nessuno ha mostrato 
aumento degliindici infiammatori. Nessuno dei pazienti con NCWS mostrava 
atrofia dei villi. I pazienti che erano pure HLA-DQ2 e/o DQ8 positivi appartenevano
principalmente al primo gruppo e mostravano infiltrazione linfocitaria maggiore 
rispetto ai negativi, inoltre circa un terzo delle biopsie presentava la produzione 
di anticorpi antiendomisio (EMA) nel mezzo di coltura, mentre i pazienti del 
secondo gruppo mostravano frequentemente un infiltrato eosinofilo. 
Inoltre i pazienti con sola NCWS presentavano una maggior frequenza di anemia 
e perdita di peso rispetto ai pazienti con intolleranze multiple, mentre in questi ultimi 
era più frequente la coesistente storia di atopia.
Viste le caratteristiche istologiche dei pazienti del primo gruppo, è possibile ipotizzare
che alcuni pazienti con NCWS rientrino piuttosto nello spettro della CD.
Gli effetti del glutine su pazienti con IBS sono stati indagati in uno studio del 2013 (5):
45 pazienti affetti da IBS con fenotipo diarroico sono stati randomizzati in due gruppi
per confrontare gli effetti della dieta con e senza glutine sulla motilità e permeabilità
intestinale. I pazienti HLA DQ2/8 positivi a dieta con glutine presentavano più movimenti
intestinali, un aumento della permeabilità e un’alterazione dell’espressione delle
proteine delle giunzioni cellulari.
Ci sono minori informazioni sulla popolazione pediatrica, anche se sembra che anche
i bambini presentino come sintomi più frequenti dolore addominale, diarrea cronica,
astenia e gonfiore, e spesso una positività degli AGA IgG (6).
Per quanto riguarda gruppi di pazienti particolari, l’efficacia della DSG nella popolazione
autistica non è stata provata da studi randomizzati e controllati. In uno studio
coinvolgente 140 bambini di cui 37 con autismo, 27 parenti sani di autistici e 76 controlli,
la popolazione con autismo mostrava livelli di AGA IgG significativamente più
alti rispetto ai controlli sani e ai parenti, mentre non si registravano differenze tra i
markers sierologici specifici della CD né una chiara associazione tra livelli di AGA IgG
e HLA. I pazienti autistici con sintomi gastrointestinali associati presentavano livelli di
AGA IgG significativamente più alti rispetto agli autistici senza sintomi gastrointestinali.
I risultati di questo studio suggeriscono la possibilità che nella popolazione autistica
agisca un meccanismo immunitario coinvolgente la gliadina ma diverso dai processi
coinvolti nella CD. Per ammissione stessa degli autori, questi dati non
necessariamente indicano la presenza di sensibilità al glutine nella popolazione autistica,
ma piuttosto confermano l’assenza di correlazione tra CD e autismo (7).

PATOGENESI
Le informazioni sui meccanismi patogenetici della NCGS provengono in larghissima
parte da studi condotti su soggetti non sottoposti ad appropriate procedure di challenge.
In uno studio condotto da Sapone et al (8) coinvolgente 26 pazienti con NCGS, 42 pazienti
con CD attiva e 39 controlli, i pazienti con NCGS non presentavano, a differenza
di pazienti con CD attiva, aumento della permeabilità intestinale, che anzi risultava significativamente ridotta rispetto ai controlli sani; parallelamente si osservava su campioni
bioptici duodenali un aumento della claudina 4, una proteina coinvolta nelle giunzioni
cellulari. Per quanto riguarda i markers immunitari, i campioni dei soggetti con
NCGS presentavano mediamente un aumento dei linfociti intraepiteliali CD3 rispetto
ai controlli, mentre il livello dei linfociti γδ era paragonabile ai controlli, probabilmente
per un meccanismo immunitario diverso rispetto a quello coinvolto nella CD. Valutando
l’espressione dei Toll Like Receptors (TLRs) 1, 2 e 4, coinvolti nell’immunità innata
e noti per essere aumentati nella CD, si è visto che il TLR2 era aumentato nelle biopsie
dei NCGS rispetto ai controlli, così come era presente una riduzione nell’espressione di
FOXP3 e TGFB1, due molecole marker delle cellule T regolatorie. Anche in questo
studio, circa il 50% dei pazienti con NCGS presentava una positività per gli AGA. Questi
dati suggerirebbero che CD e NCGS siano due entità distinte con diverse risposte
mucosali al glutine. Il ruolo dell’immunità nella NCGS è stato esplorato valutando anche
l’espressione di IFN-γ, IL-8, TNF-α, MCP-1, Hsp-27 e Hsp-70, molecole coinvolte
nell’immunità innata e adattativa, di MxA, proteina effettrice del pathway dell’IFN-α,
e delle cellule CD3, in biopsie di 30 pazienti con NCGS HLA-DQ2 positivi e 15 pazienti
con CD, tutti a DSG, ottenute prima e dopo un challenge in aperto al glutine.
Nello studio in questione (9) si confermava un aumento dei linfociti CD3 nella mucosa
dei pazienti con NCGS indipendentemente dal challenge. L’IFN-γ, che nello studio di
Sapone risultava più basso nei NCGS rispetto ai CD, aumentava nelle biopsie dei pazienti
con NCGS in risposta al challenge con glutine, mentre era costitutivamente aumentato
nelle biopsie dei pazienti con CD. Alcuni autori hanno infine riportato una
risposta immunitaria innata scatenata da componenti del grano diversi dal glutine, come
gli amylase/trypsin inhibitors (ATIs) (10), ed è stato ipotizzato un loro ruolo nella
genesi della NCGS.

CONCLUSIONI
L’assenza di biomarkers e in molti casi la inadeguatezza delle procedure 
diagnostiche rendono difficilmente stimabile la prevalenza e le caratteristiche 
della NCGS. Il ruolo del glutine è ancora da definirsi, così come i meccanismi 
immunitari eventualmente coinvolti.
Va infine sottolineato il pericolo, soprattutto nella popolazione adulta, che 
l’autodiagnosi di NCGS e l’autoprescrizione della DSG impedisca la corretta 
diagnosi di CD.

Bibliografia
1. Catassi C, Bai JC, Bonaz B et al. Non-Celiac Gluten sensitivity: the new frontier of gluten related
disorders. Nutrients. 2013 Sep 26;5(10):3839-53.
2. Biesiekierski JR, Peters SL, Newnham ED et al. No effects of gluten in patients with self-reported nonceliac
gluten sensitivity after dietary reduction of fermentable, poorly absorbed, short-chain
carbohydrates. Gastroenterology. 2013 Aug;145(2):320-8.
3. Volta U, Bardella MT, Calabrò A et al. An Italian prospective multicenter survey on patients suspected
of having non-celiac gluten sensitivity. BMC Med. 2014 May;12:85.
4. Carroccio A, Mansueto P, Iacono G et al. Non-celiac wheat sensitivity diagnosed by double-blind
placebo-controlled challenge: exploring a new clinical entity. Am J Gastroenterol. 2012
Dec;107(12):1898-906.
5. Vazquez-Roque MI, Camilleri M, Smyrk T et al. A controlled trial of gluten-free diet in patients with
irritable bowel syndrome-diarrhea: effects on bowel frequency and intestinal function. Gastroenterology.
2013 May;144(5):903-911.
6. Francavilla R, Cristofori F, Castellaneta S et al. Clinical, serologic, and histologic features of gluten
sensitivity in children. J Pediatr. 2014 Mar;164(3):463-7.
7. Lau NM, Green PH, Taylor AK et al. Markers of Celiac Disease and Gluten Sensitivity in Children
with Autism. PLoS One. 2013 Jun 18;8(6):e66155.
8. Sapone A, Lammers KM, Casolaro V et al. Divergence of gut permeability and mucosal immune
gene expression in two gluten-associated conditions: celiac disease and gluten sensitivity. BMC Med.
2011 Mar 9;9:23.
9. Brottveit M, Beitnes AC, Tollefsen S et al. Mucosal cytokine response after short-term gluten challenge
in celiac disease and non-celiac gluten sensitivity. Am J Gastroenterol. 2013 May;108(5):842-50
10. Junker Y, Zeissig S, Kim SJ et al. Wheat amylase trypsin inhibitors drive intestinal inflammation via
activation of toll-like receptor 4. J Exp Med. 2012 Dec 17;209(13):2395-408.


Corresponding Author
RICCARDO TRONCONE
Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali
Sezione di Pediatria
Università degli Studi di Napoli Federico II
Via Pansini, 5 - 80131 Napoli
Tel. + 39 081 7463383
Fax + 39 081 5469811
E-mail: troncone@unina.it

11 luglio 2016

AI NUTRIZIONISTI PIACE LA TIMILIA

Articolo a cura della


dott.ssa Cacciola Maria Stella

Biologa Nutrizionista


Perché ai Nutrizionisti piace la Timilia?

Sicuramente perché è buona, fa bene alla salute e favorisce la salvaguardia della biodiversità!

Ma cerchiamo di capire che cosa è la Timilia, anche chiamata Tumminia o Triminia e perché è salutare per noi, per l’ambiente e, perché no, anche per l’economia Siciliana!
La Timilia è una graminacea cioè un grano (Triticum Durum) che viene annoverato fra i “Grani Antichi” in particolare “Siciliano” perché è una varietà che si coltiva da secoli esclusivamente in Sicilia proprio per le caratteristiche climatiche, infatti la Timilia, che è un “grano estivo”, si semina in primavera e si miete in giugno ed ha bisogno di caldo secco e di nessun tipo di trattamento di tipo antiparassitario o anticrittogamico quindi è biologico per natura, ma rispetto al grano moderno, il Creso e tutte le varietà da esso ottenute, la spiga più piccola produce meno farina e la resa per ettaro è minore.
Fu proprio la maggiore resa per ettaro e la bassa statura, più facile da trebbiare con le macchine, che dagli anni ’70 portò l’affermazione del Creso, nelle sue varietà, come unica tipologia di grano prodotto e coltivato in Italia e nel mondo.
Il Creso è nato nel 1974 per “migliorare”, irradiando con raggi X nel Centro di Studi Nucleari del CNEN della Casaccia (Roma), un grano di ottima qualità come il Senatore Cappelli al fine di ottenere una qualità con caratteristiche di maggiore forza glutinica e resa per ettaro. Per molti oggi il Creso, alla luce dei disturbi correlati con il consumo di questo grano in questi 40 anni, è considerato “un peggioramento” che dovrebbe essere eliminato dalle nostre tavole o comunque utilizzato molto poco.


La Timilia è quindi un grano duro con cariosside piccola dal quale si produce una farina di semola ricca di Germe di grano, Sali minerali e Vitamine del gruppo B, fibra (8 -9 %) e proteine (13-15%) anche più delle varietà moderne ma con minore indice glutinico cioè forza della maglia glutinica, per capirci la manitoba che è una farina di un grano tenero americano con un contenuto proteico del 12- 13 % ma una forza glutinica molto alta, infatti viene usata spesso per fare la pizza sprint casalinga ma anche mescolata ad altre farine per accelerare la lievitazione del pane e portarlo sulle nostre tavole in un paio di ore al massimo, lievitazione e cottura compresa!
Al contrario un pane prodotto con farina di semola di grano duro Timilia deve essere lievitato molte ore sia che si utilizzi lievito di birra, anche se non è il più indicato, sia che si usi la pasta madre, migliore scelta perché provoca una lievitazione lenta, uniforme, naturale ed ad alta digeribilità.
Il Glutine, questo sconosciuto ma tanto odiato elemento costituente delle farine di quasi tutti i cereali (escluso riso, mais, grano saraceno) in realtà è un complesso di proteine che a secondo della qualità può avere caratteristiche chimico-fisico diverse e dare ai prodotti consistenze e digeribilità differenti. Non è quindi la quantità di Glutine ad essere importante ai fini della salute ma la qualità e quindi l’Indice di Glutine che per i Grani Antichi è abbastanza basso, in genere, molto basso in particolare per la Timilia.
E' proprio il tipo di proteine che costituiscono il glutine ad attrarre i ricercatori che non di rado hanno trovato nei campioni di “Grani Antichi” conservati presso le banche del germoplasma presenti nel mondo, varianti proteiche molto rare o addirittura assenti nelle moderne varietà.
Ringraziamo alcuni contadini/imprenditori e più di tutti la Stazione Consorziale Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia che ha sede a Caltagirone che provvedere alla conservazione e mantenimento del germoplasma di specie mediterranee, oltre molti altri compiti.
Infatti grazie a loro da qualche anno il grano Timilia e varietà come il Russello, Biancolilla, Bidì, Perciasacchi, Maiorca e molti altri sono nuovamente disponibili per il consumo locale ed anche nazionale.
La loro coltivazione e commercializzazione permette a tutti noi molti vantaggi in termini di salute ma anche perché ci permette di recuperare un’economia locale che innesca un volano di benessere per tutti!
Coltivare, molire a pietra, trasformare in prodotti da forno o in pasta i “nostri Grani Antichi Siciliani” sta portando l’economia siciliana al centro di una realtà che coinvolge molti mestieri quasi dimenticati e nuove professionalità, restituendoci quel ruolo primario di soggetti artefici della nostra salute e della nostra economia visti come integrati e non dicotomici.
Tre anni fa il Centro Studi di medicina integrata (CESMI) di Palermo, in collaborazione con l’Ordine dei Chimici e Legambiente di Palermo, ha deciso di valutare la Timilia su 30 volontari sofferenti di disturbi dell’apparato gastrointestinale comunemente chiamate “coliti” o più correttamente Sindrome del Colon Irritabile. È stata esclusa la celiachia mediante test specifici ed è stata valutata mediante test genetico HLADQ2/DQ8 la Sensibilità Non Celiaca al Glutine (GSNC), che è stata riscontrata nella maggior parte dei volontari.
Tutti coloro che hanno aderito allo studio osservazionale per 30 giorni hanno sostituito la pasta ed il pane comune con prodotti a base di farina di Timilia. Tutti hanno avuto la remissione dei sintomi.
I particolari dello studio sono presenti nel sito del CESMI di Palermo.
Due anni fa a settembre la dott.ssa Gabriella Pravatà, medico presidente del CESMI ha presentato questo studio al Convegno sui Grani Antichi Siciliani che si è tenuto ad Enna, alla presenza di produttori di grano, mugnai, pastificatori e agronomi, in quell’occasione ero stata invitata anch’io come biologa nutrizionista.
Per me è stata una vera rivelazione! Ho iniziato a consigliare il pane e la pasta di Timilia ai pazienti con disturbi gastrointestinali, all’inizio con molte difficoltà di reperimento ma via via con maggiore semplicità!
Credevo che lo studio presentato avrebbe avuto maggiore risalto nell’ambiente medico siciliano, invece ho scoperto che è più conosciuto dai colleghi nutrizionisti fuori dalla Sicilia che dai Siciliani.
Lo studio ha dimostrato che la Timilia è un grano adatto per fare pane, pasta, biscotti consumabili da persone sofferenti di disturbi gastrointestinali non celiaci, purtroppo gli altri grani antichi non dimostrano di avere le medesime caratteristiche pur distinguendosi per il gusto, la più facile lievitazione e maggiore plasticità di impiego, sono infatti più adatti per fare pizza, brioche o dolci. 
Se dovessi fare un distinguo direi “Timilia sta a patologie gastrointestinali mentre Altri Grani Antichi stanno a prevenzione”.  
Quindi possiamo dire che abbiamo trovato l’oro, la pietra filosofale alchemica, nel grano Timilia ma non ne comprendiamo le grandi potenzialità e lo stiamo lasciando in mano ad interessi commerciali che non si integrano con quelli scientifici, costretti ad assistere impotenti a panificazioni di basso livello con l’impiego di farina di Timilia al 20 – 30 %, con “lievitazione naturale” di poche ore prodotta con il lievito di birra, che provoca gonfiori addominali ed intolleranze alimentari, anziché con l’uso della Pasta Madre.

È necessario che diventiamo consumatori più consapevoli, perché la “Scelta” è l’unica arma di cui disponiamo. La “Scelta” può provocare terremoti commerciali come è già avvenuto di recente con l’Olio di Palma.

E per coloro che amano fare in casa come me, un piccolo regalo: come fare il Pane di Timilia in casa!






INGREDIENTI

500 g di semola di Timilia o Tumminia integrale 
Mix di semi di Sesamo, Canapa, Chia, Lino, Girasole
200 g di lievito di Pasta Madre
400 ml d’acqua
14 g di sale

PREPARAZIONE DELLA RICETTA

1 • Sciogliete la pasta madre nell’acqua, poi unite la farina. Lavorate sino a ottenere un impasto liscio e omogeneo. Aggiungere il sale e 2/3 del mix di semi. Impastare qualche altro minuto. Lasciatelo riposare per 6-8 ore coperto da un panno umido, in primavera o in estate ma in inverno si può favorire la lievitazione tenendolo nel forno spento con la luce accesa.

2 • Ricavate 2 pagnottelle o dei panini, formatele a vostro piacere e lasciatele riposare per 2 ore in ambiente tiepido coperte da un panno umido.

3 • Dopo avere cosparso la superficie con i rimanenti semi, cuocete in forno preriscaldato a 220 °C per 30 minuti, abbassate la temperatura a 180° C e tenere in forno ancora 15 minuti, infine lasciare in forno spento per mezz’ora.

Il pane di Timilia è pronto e può essere consumato con un filo di marmellata o miele per una colazione energetica o con un’insalata mista ed una mozzarella per un pranzo completo e veloce.
Buona salute!



Dott.ssa Cacciola Maria Stella
Biologa Nutrizionista
Esperta in Intolleranze Alimentari


Cell. 3339959391

04 luglio 2016

L'Intolleranza da Nichel fa ingrassare?


 Mi occupo di intolleranze alimentari da 10 anni ed in particolare di intolleranza ed allergia al nichel almeno da 5 anni e posso testimoniare che lo studio conferma i risultati evidenziati in questi anni.

 Condivido la posizione dell'autrice dell'articolo. Unico problema è che non si possono eliminare tutti gli alimenti ad elevato contenuto in nichel perché si rischia di non mangiare quasi nulla e di conseguenza creare stati carenziali importanti. Allora è necessario fare un serio piano nutrizionale alternativo ma ben bilanciato che è possibile solo se ci si rivolge ad un nutrizionista esperto.
http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0123265


L’allergia al nichel fa ingrassare
a cura di Paola P.
Che esista un legame tra allergie/intolleranze alimentari e sovrappeso si è capito da parecchio e, anzi, diversi studi scientifici sono opportunamente giunti a poterlo dimostrare. Ora gli esiti di una nuova, interessante ricerca sperimentale condotta in Italia è andata oltre, rivelando in modo inequivocabile l’associazione tra sovrappeso e allergia al nichel. Questo metallo è presente, oltre che in accessori di abbigliamento, oggetti e utensili a cucina, anche in molti alimenti che consumiamo comunemente. Tra questi basti citare il cioccolato (specialmente fondente), i legumi, i frutti di mare.
Stando alle evidenze dello studio, condotto dai ricercatori dell’Università di Chieti presso il Laboratorio della Croce Rossa in Roma (Unità di Immunologia clinica e Allergologia) su un campione di 87 soggetti (72 donne e 15 uomini), l’allergia al nichel può essere tranquillamente inclusa tra i fattori di rischio per obesità e sovrappeso come e più di altri indicatori tra cui la steatosi epatica (fegato grasso) e la sindrome da insulino-resistenza.
Basti pensare che il 59% del campione, soprattutto donne in “zona” menopausa, con un indice di massa corporea superiore a 26 (ovvero il valore che indica il sovrappeso) era anche allergica al nichel, come rilevato da un semplice patch test. Insomma, un dato di cui tenere conto.
La ricerca non si è limitata a riscontrare il legame, ma ha provato a determinare un’inversione di tendenza. Una parte del campione è stata infatti indotta a seguire quella che è la terapia d’elezione per combattere i sintomi dell’allergia al nichel: la dieta a bassa concentrazione di questo metallo. Dopo tre mesi di questo tipo di alimentazione che, lo specifichiamo, non era “dimagrante” ma normocalorica (ovvero rispettava il fabbisogno calorico di ciascun soggetto in base all’età e allo stile di vita), il campione non solo ha avuto un miglioramento generalizzato delle condizioni di salute, ma ha visto una riduzione del girovita e del proprio indice di massa corporea. Non solo, il dimagrimento ottenuto nel breve termine si è mantenuto tale anche dopo altri sei mesi di controllo. Insomma, un vero successo.
Molte delle donne in premenopausa che all’inizio dell’esperimento erano sovrappeso e soffrivano di fegato grasso e di sindrome da inulino-resistenza, dopo la dieta a basso contenuto di nichel avevano migliorato le loro condizioni generali anche relativamente ai disturbi metabolici. Questo buon esito è legato al fatto che le allergie ad alcuni alimenti o sostanze in essi contenuti (percepiti dal corpo come nocivi anche se non sono tali), portano ad un aumento nel sangue delle citochine, molecole proteiche che inducono una risposta immunitaria di tipo infiammatorio.
Quando nel corpo si verificano queste condizioni, con un aumento dell’insulina e difficoltà nell’assimilazione dei nutrienti, il corpo tende ad accumulare adipe. Ecco perché spesso chi soffre di allergie o intolleranze alimentari, specialmente “nascoste”, a fronte di un aumento di peso, presenta di pari passo anche un peggioramento della salute generale con affaticamento e rallentamento di tutte le funzioni fisiologiche.
Una dieta povera di nichel, quindi, può essere la soluzione per smaltire i chili di troppo e ritrovare il naturale benessere in chi abbia sviluppato allergie o sensibilità a questo metallo. Buono a sapersi visto che stiamo parlando di una fetta consistente di popolazione!


23 maggio 2016

Pane e ancora pane ma per gusti diversi e sempre adatto a buone colazioni!

Si pane...ancora pane...per tutti quelli che lo amano come ma lo vogliono sano, buono digeribile, da mangiare a colazione o farci uno spuntino veloce...


Pane di Timilia, farina di lupino, farina di grano saraceno e un mondo di semi misti!



 Pane di Timilia, farina di castagne, farina di Carosella del Pollino, latte di riso e nocciole spezzettate!

14 maggio 2016

Dieta integrata con amminoacidi, folati e vitamina D3: un nuovo approccio nel trattamento della sarcopenia

Con l'avanzare dell'età gli anziani vanno incontro ad una progressiva perdita di massa muscolare e a una diminuzione della funzionalità fisica. Questo tipo di condizione può essere definita "sarcopenia" secondo una definizione proposta da Irwin Rosenberg. Le cause della sarcopenia sono molteplici, ma la malnutrizione e le carenze di specifici nutrienti, in particolare di proteine, sono tra i principali fattori che aggravano questa condizione. La carenza di proteine è infatti dovuta ad una diminuzione della loro sintesi a partire dagli amminoacidi. Secondo alcuni studi osservazionali, un'altra causa importante è il mancato raggiungimento dell'intake proteico giornaliero raccomandato per l'anziano, che corrisponde a 1,1-1,2 g/kg di peso corporeo. L'invecchiamento comporta anche il deficit di alcuni micronutrienti, ad esempio viene riscontrata una diminuzione di vitamina D a livello dei recettori presenti nelle cellule muscolari. Anche per quanto riguarda l'acido folico (vitamina B9), una carenza può ridurre la forza muscolare, in quanto si tratta di sostanze alla base del metabolismo dell'omocisteina.

L'iperomocisteinemia è stata infatti associata a una diminuzione della forza muscolare nel quadricipite e della densità muscolare nel polpaccio e anche ad un aumentato rischio di disabilità nell'anziano, secondo uno studio di Kuo et al. del 2007. Un recentissimo studio di Rondanelli et al, ha sperimentato un'integrazione alla dieta (durante la prima colazione) con amminoacidi (4 g), in particolare leucina, con vitamina D3 (800 IU al giorno) e con folati (400 µg  al giorno) in un gruppo di anziani sarcopenici mostrando un aumento della massa magra e una concomitante diminuzione della percentuale di grasso aneroide. In particolare questi pazienti hanno mostrato un significativo aumento della forza muscolare, tale da permettere classificare ben il 68% dei pazienti sarcopenici come non più sarcopenici; infine è stato evidenziato un aumento delle concentrazioni di Igf (Insulin Growth Factor).

Per approfondimenti:1. Mithal, Ambrish, et al. "Impact of nutrition on muscle mass, strength, and performance in older adults." Osteoporosis international 24.5 (2013): 1555-1566.
2. Rondanelli, Mariangela, et al. "Whey protein, amino acids, and vitamin D supplementation with physical activity increases fat-free mass and strength, functionality, and quality of life and decreases inflammation in sarcopenic elderly." The American journal of clinical nutrition (2016): ajcn113357.
3. Kuo HK, Liao KC, Leveille SG, Bean JF, Yen CJ, Chen JH, Yu YH, Tai TY (2007)
Simone Perna

12 maggio 2016

Da microbiota e metagenomica un aiuto per comprendere le disbiosi intestinali

Mappare la composizione del microbiota intestinale consente di riconoscere le connessioni esistenti fra batteri intestinali e malattia. Ne abbiamo parlato con il Professor Marco Ventura, Responsabile del Laboratorio di Probiogenomica del Dipartimento di Bioscienze dell'Università degli Studi di Parma.

Quali sono le cause di una disbiosi intestinale?
Gli agenti antimicrobici e la dieta sono i principali fattori responsabili di una disbiosi intestinale, cioè un'alterazione della composizione del microbiota intestinale, accompagnata da una rottura dell'omeostasi delle comunità microbiche presenti. In entrambi i casi e con meccanismi diversi, questi due elementi favoriscono il sopravvento di quei gruppi microbici che sono causa o concausa dell'insorgenza di una serie di malattie, anche importanti. Una terapia antibiotica seppure efficace verso uno specifico patogeno, può svolgere un'azione battericida a largo spettro; un'alimentazione non bilanciata con eccesso di certi nutrienti (ad es. grassi e proteine) può avvantaggiare certi gruppi microbici a scapito di altri (ad es. batteri proteolitici, a danno dei saccarolitici).

Quali sono le potenzialità della metagenomica nella mappatura del microbiota?
La coprocoltura, il test di indagine più utilizzato per identificare in vitro uno specifico patogeno è inefficace quando si voglia mappare la composizione del microbiota intestinale. La 16S rRNA Microbial Profiling invece è un'analisi che sfrutta le recenti applicazioni della metagenomica nel campo dell'ecologia microbica: si basa sul sequenziamento del gene 16S rRNA (costituente della subunità minore dei ribosomi dei procarioti) e rappresenta un marcatore molecolare ampiamente utilizzato nella tassonomia batterica. Da un campione biologico (materiale fecale o biopsia intestinale) viene isolato il DNA microbico che poi è sottoposto ad amplificazione del gene 16S rRNA. L'analisi viene poi completata dal sequenziamento del pool di geni 16S rRNA corrispondenti ai microrganismi presenti nel microbiota e quindi dal loro riconoscimento tramite l'impiego di strumenti bioinformatici.

Quali vantaggi?
Questa analisi permette di valutare le concentrazioni relative dei vari microrganismi presenti nel campione originale. Il nostro Laboratorio ha collaborato alla messa a punto di un test, oggi in commercio, che, partendo da un campione di feci e da un database costituito da diverse centinaia di profili microbici intestinali di diversi soggetti, permette di conoscere la composizione del microbiota. È il punto di partenza per capire le relazioni fra le comunità microbiche intestinali e gli stati di malattia e per riequilibrare, anche per mezzo di interventi mirati, le attività metaboliche e le funzioni immunostimolatorie e d'interazione con il sistema nervoso, in cui è coinvolto in larga parte il microbiota intestinale.

Francesca De Vecchi

04 maggio 2016

Cura delle dislipidemie e prevenzione oncologica. Il ruolo della crusca di riso

La crusca di riso, il prodotto di scarto della fresatura del riso integrale, è un'importante fonte di fibra e proteine, presente in tutti i cereali integrali e nei prodotti che ne derivano come pane, biscotti, crackers.
Essa contiene numerosi composti bioattivi con effetti benefici sulla salute dell'uomo per la loro forte attività antiossidante; questi sono presenti nel riso integrale, in quanto subisce solo l'eliminazione della lolla, ma vengono invece persi nel riso brillato, in cui viene eliminata anche la pula al momento della raffinazione.
Queste sostanze comprendono antiossidanti liposubili come fitosteroli, steroli, carotenoidi e vitamine come B1, B2, B3 e i tocoferoli e i tocotrienoli (vitamine del gruppo E). Questi ultimi, in particolare, agiscono riducendo la sintesi del colesterolo, in quanto inibiscono il meccanismo della HMG-CoA reduttasi e proteggono le cellule neuronali e i recettori per la serotonina contro la tossicità indotta dai glutammati e da altre tossine.



Oltre alla crusca, anche l'olio estraibile dal chicco può avere effetti benefici sulla salute, dal momento che, oltre ad essere una fonte naturale di acido linoleico, oleico e alfa linoleico, contiene anche elevate quantità di sostanze non saponificabili come steroli vegetali e gamma orizanolo, assenti negli altri olii vegetali.
L'olio di riso o il gamma orizanolo assunti per via orale risultano efficaci nella riduzione della concentrazione plasmatica di colesterolo totale, lipoproteine e trigliceridi, inoltre la loro azione è sinergica con farmaci come le statine, di cui attenuano anche gli effetti collaterali.


Un'altra importante proprietà del riso è la sua capacità di ritardare la proliferazione delle cellule tumorali della mammella e del colon grazie al suo contenuto di composti fenolici: è stato infatti comprovato che in Asia, dove il riso riveste una particolare importanza nell'alimentazione, l'incidenza di cancro al seno e al colon è notevolmente inferiore a quella nel mondo occidentale. Tra i composti fenolici, quelli che sembrano avere un ruolo predominante in termini di capacità antiproliferativa sono la tricina e l'acido ferulico: quest'ultimo, specialmente, che deriva dal metabolismo di fenilalanina e tirosina, ha effetti terapeutici contro alcune neoplasie, vasculopatie, diabete e malattie neurodegenerative.
Anche gli isoflavonoidi, sempre presenti nel riso integrale, e la monacolina presente nel riso rosso, hanno significativi effetti antitumorali, in particolare contro il cancro alla prostata, ma anche a colon, fegato, stomaco, esofago e vescica.
Per questo motivo il riso è un alimento molto studiato in campo di chemioprevenzione, così da identificare e chiarire il meccanismo d'azione di quei composti che possono prevenire o ritardare l'insorgenza di cancro.





Approfondimenti:
1. Jang S, Xu Z. Lipophilic and hydrophilic antioxidants and their antioxidant activities in purple rice bran. J Agric Food Chem 2009; 11: 858-62.
2. Hudson EA, Dinh PA, Kokubun T, Simmonds MS, Gescher A. Characterization of potentially chemopreventive phenols in extracts of brown rice that inhibit the growth of human breast and colon cancer cells. Cancer Epidemiol Biomarkers Prev 2000; 9: 1163-70.
3. Cicero AFG, Gaddi A. Rice bran oil and oryzanol in the treatment of hyperl7ipoproteinemias and other conditions. Phytother Res 2001; 15: 277-89.
4. Rondanelli M, Opizzi A, Monteferrario F, Klersy C, Cazzola R, Cestaro B. Beta-glucan- or rice bran-enriched foods: a comparative crossover clinical trial on lipidic pattern in mildly hypercholesterolemic men. Eur J Clin Nutr 2011; Epub ahead of print.
5. Chan JM, Wang F, Holly EA. Whole grains and risk of pancreatic cancer in a large population-based case-control study in the San Francisco Bay Area, California. Am J Epidemiol 2007; 15: 1174-85.
Simone Perna