07 aprile 2011

Pandora: L'autonomia professionale del biologo nutrizionista

Pandora: L'autonomia professionale del biologo nutrizionista

Sci Transl Med. 2009; 1: 6-14. The Effect of Diet on the Human Gut Microbiome: A Metagenomic Analysis in Humanized Gnotobiotic Mice


Turnbaugh PJ, Ridaura VK, Faith JJ, Rey FE, Knight R, Gordon JI

ABSTRACT
Diet and nutritional status are among the most important modifiable determinants of human health. The nutritional value of food is influenced in part by a person’s gut microbial community (microbiota) and its component genes (microbiome). Unraveling the interrelations among diet, the structure and operations of the gut microbiota, and nutrient and energy harvest is confounded by variations in human environmental exposures, microbial ecology, and genotype.
To help overcome these problems, we created a well-defined, representative animal model of the human gut ecosystem by transplanting fresh or frozen adult human fecal microbial communities into germ-free C57BL/6J mice. Culture-independent metagenomic analysis of the temporal, spatial, and intergenerational patterns of bacterial colonization showed that these humanized mice were stably and heritably colonized and reproduced much of the bacterial diversity of the donor’s microbiota. Switching from a low-fat, plant polysaccharide–rich diet to a high-fat, high-sugar “Western” diet shifted the structure of the microbiota within a single day, changed the representation of metabolic pathways in the microbiome, and altered microbiome gene expression. Reciprocal transplants involving various combinations of donor and recipient diets revealed that colonization history influences the initial structure of the microbial community but that these effects can be rapidly altered by diet. Humanized mice fed the Western diet have increased adiposity; this trait is transmissible via microbiota transplantation.
Humanized gnotobiotic mice will be useful for conducting proof-of-principle “clinical trials” that test the effects of environmental and genetic factors on the gut microbiota and host physiology.

Commento
Alcuni ricercatori hanno trasferito con successo batteri intestinali da esseri umani obesi a topi germ-free per studiare il legame tra microflora intestinale e obesità. E’ stato osservato che le popolazioni microbiche dell’intestino sono diverse tra persone obese e magre e che gli obesi che dimagriscono tornano ad avere lo stesso tipo di microflora di quando erano magri. Questo suggerisce che l’obesità può avere un componente microbica sostanziale. Il microbioma cambia rapidamente passando da una dieta povera ad una ricca di grassi, ma non solo: è stato anche evidenziato che il semplice trasporto del microbiota da topi nutriti con una dieta ricca di grasso in topi germ-free, causava l’accumulo di grasso da parte di questi ultimi, anche se alimentati con una dieta a basso contenuto di grassi.
L’ingestione, tramite alimenti funzionali, di probiotici vivi può alterare la flora microbica intestinale e indurre effetti favorevoli. Inoltre è stato osservato che le fibre prebiotiche (inulina e fruttooligosaccaridi) promuovono la crescita selettiva di bifidobatteri, presenti a livelli più bassi negli animali obesi rispetto ai loro omologhi magri.

IL BIOLOGO NUTRIZIONISTA E LA MEDICINA OLISTICA


06 aprile 2011

TANTO RUMORE PER NULLA

TANTO RUMORE PER NULLA
È proprio così, tanto rumore si è levato dopo la pronuncia della sentenza n.
3527/2011 della I sezione civile del Tribunale di Roma. I colleghi medici
hanno gridato alla riaffermazione del ruolo centrale del medico nella cura
delle malattie e che sarebbe stato sventato il tentativo dell’ONB di ottenere
un pronunciamento che potesse attribuire alla categoria professionale dei
biologi competenze esclusive del medico nelle fattispecie inerenti la
prescrizione di diete. E ancora si grida da parte medica che consentire ai
biologi di sostituirsi ai medici nella prescrizione di diete avrebbe significato
demolire (addirittura) la figura del medico quale garante del bene salute.
Perché diciamo tanto rumore per nulla? Lo diciamo perché i biologi non
hanno mai pensato e non pensano di sostituirsi al medico nella cura
delle patologie e hanno sempre detto chiaramente e lo dicono ancora che
non pensano e non hanno mai pensato di essere abilitati ad
accertamenti di stati patologici e di pretendere di curarli con la
prescrizione di diete.
Ciò che i biologi rivendicano e lo si legge in maniera inconfutabile
nell’autorevole parere del Ministro della Salute del 15/12/2009, è di
potere stabilire in maniera autonoma le diete necessarie per mantenere
l’individuo in buona salute, valutando non solo le caratteristiche
nutrizionali dei vari alimenti, ma altresì se sia il caso di ricorrere ad
integratori alimentari.
Se invece il cliente sospetta di presumere di essere affetto da una qualche
patologia e vorrebbe dal biologo consigli alimentari per curarla, è ovvio che
il biologo lo rinvierà al medico perché accerti, con le sue competenze, se il
soggetto è affetto da una qualche patologia quale essa sia e solo dopo questo
accertamento potrà consigliare, determinare, proporre, suggerire, e di certo
prescrivere la dieta che consenta, unitamente ai farmaci consigliati dal
medico, il recupero dello stato di benessere.
Stupisce che i colleghi medici e purtroppo anche il Giudice unico del
Tribunale di Roma si attardino a discutere se possa essere utilizzato dai
biologi il verbo “prescrivere” e dare quindi al cliente delle prescrizioni. Nella
lingua italiana il verbo “prescrivere” è sinonimo di stabilire, determinare e
talvolta consigliare. Non per nulla nel linguaggio comune si dice: “Il medico
mi ha consigliato queste medicine”, come altrettante volte si può dire: “Il
medico mi ha prescritto determinati farmaci”.
E l’equivalenza dei termini prescrivere, determinare, consigliare, risulta dal
fatto indubitabile che nessuno può imporre l’assunzione o l’uso di un
farmaco o il rispetto di una dieta. Ogni “prescrizione” vale per il paziente
come un invito, un consiglio a tenere un certo comportamento, ma il paziente
rimane arbitro indiscusso della scelta se utilizzare o meno i consigli del suo
medico.
Come si vede, quindi, attardarsi a discutere se il biologo possa “prescrivere”
o se lo possa fare solo il medico equivale a un’inutile perdita di tempo
perché ogni prescrizione non ha mai carattere imperativo e cogente , ma si
presenta all’uomo come un consiglio sia pure autorevole, ma pur sempre un
consiglio, che può essere disatteso secondo l’autonoma e inviolabile
decisione del soggetto a cui si rivolge.
Deve essere chiaro, quindi, che la sentenza n. 3527/2011 del Giudice
unico non ha modificato di una virgola la situazione preesistente:
l’accertamento e la cura delle patologie spettano al medico. Se la
patologia accertata può essere fronteggiata oltre che con i farmaci suggeriti
dal medico anche con una dieta adeguata, questa può essere consigliata dal
biologo, che ha, per legge, la competenza a valutare i bisogni nutritivi
dell’uomo sino al punto da giudicare se sia il caso, oltre che consigliare e
sconsigliare determinati cibi, di ricorrere a integratori alimentari.
Se l’individuo è invece in buona salute e vuole restarci o vuole intraprendere
un’attività sportiva, può indifferentemente rivolgersi tanto al medico quanto
al biologo perché in questo caso non viene in rilievo l’accertamento e la cura
di nessuna patologia.
Ma se così stanno le cose c’è da chiedersi che cosa ha stabilito la sentenza n.
3527/2011 che ha scatenato l’entusiasmo dei colleghi medici?
La sentenza ha semplicemente stabilito che il prof. Del Toma Eugenio, che
era stato ritenuto dall’Ordine responsabile di avere usato espressioni
ingiuriose nei confronti dei biologi nutrizionisti, si era limitato in realtà a
manifestare un’opinione soggettiva e peraltro l’opinione che il prof. Del
Toma aveva sostenuto “rientra nell’espressione – come si legge nella
sentenza - del diritto di libera manifestazione del pensiero, di opinione e di
critica sui fatti che interessano il pubblico”. Il prof. Del Toma, quindi, non è
stato ritenuto dal Giudice unico responsabile di espressioni ingiuriose e
diffamatorie, anche se l’Ordine Nazionale dei Biologi si riserva di valutare,
tramite i suoi legali, la correttezza della decisione assunta e di valutare se
procedere ad appello. In breve l’oggetto della decisione è stato il
riconoscimento che le opinioni espresse dal prof. Del Toma non erano
offensive – a giudizio del Tribunale – nei confronti dei biologi.
Ma, per quanto attiene alle competenze dei biologi nulla è stato cambiato.
Valga quanto si legge a conclusione della sentenza: “Il biologo può solo
elaborare determinate diete (il giudice ha cura di precisare “non prescrivere”,
malgrado come si è visto, ciò non significhi proprio nulla), quindi
riprendiamo “il biologo può solo elaborare determinate diete sia nei
confronti di soggetti sani sia di soggetti cui è stata diagnosticata una
patologia, solo previo accertamento delle condizioni fisiopatologiche
effettuate dal medico chirurgo e altresì il biologo può autonomamente
elaborare profili nutrizionali al fine di proporre alla persona che ne fa
richiesta un miglioramento del proprio benessere”.
“In tale ambito - continua il Giudice unico - può suggerire o consigliare
integratori alimentari stabilendone o indicandone anche le modalità di
assunzione che è sempre cosa diversa dalla prescrizione della dieta come
atto curativo, che rimane sempre un’attribuzione esclusiva del medico”.
L’Ordine dei biologi sottoscrive l’affermazione che gli atti curativi
appartengono al medico e che l’accertamento delle patologie spetta al
medico, si rallegra che nella stessa sentenza sia riconosciuta la competenza
del biologo a elaborare in maniera autonoma profili nutrizionali e proporli
alla persona che ne fa richiesta (cioè il cliente), ai fini del miglioramento del
proprio benessere e della propria salute.
Non dubita che, una volta che sia stata accertata dal medico una patologia, il
cliente possa scegliere in condizioni di libertà se, oltre ai farmaci, utilizzare
cautele alimentari e cibi appropriati alla sua patologia e possa quindi
rivolgersi indifferentemente, a tal fine, sia al medico che al biologo.
Come dicevamo prima tanto rumore per nulla e i colleghi medici, anziché
arroccarsi e rinchiudersi nel fortilizio dove sventola la bandiera dell’atto
medico, portino rispetto agli altri professionisti che acquisiscono,
frequentando corsi universitari ricchi di insegnamenti in parte uguali a quelli
dei medici, competenze altrettanto valide di quelle che acquisiscono i medici
insieme ai quali possono contribuire al mantenimento di un adeguato livello
di benessere e di salute della collettività. Ma mi raccomando, sottovoce,
senza fare troppo rumore.
Roma, 5 aprile 2011
IL PRESIDENTE
Dott. Ermanno Calcatelli

02 marzo 2011

Intolleranze alimentari ed emicrania: una nuova via per guarire di Attilio Speciani


PDF Stampa E-mail
  
headache-sofa.jpgUna cosa è l'emicrania da ristorante cinese (legata all'eccesso di glutammato nei cibi) o l'emicrania scatenata dal cioccolato o dal vino. Tutti la hanno sempre riconosciuta come un dato di fatto legato all'eccesso di alcune sostanze presenti in uno o nell'altro cibo.
L'emicrania da intolleranza alimentare invece, legata cioè all'uso ripetuto di cibi comuni, ha sempre rappresentato un tema controverso. Non capiamo per quale motivo, ma riconoscere che l'emicrania e il mal di testa dipendano da come mangia una persona sembra essere uno sgarbo nei confronti della utilizzazione farmacologica. Eurosalus ha sempre sostenuto questa tesi e nella nostra pratica clinica, anche sulla base di lavori già esistenti, abbiamo sempre affrontato le cefalee e le emicranie ricorrenti cercando di ridurre, attraverso l'alimentazione, lo stato infiammatorio indotto dalla reazione immunologica agli alimenti.
Il lavoro pubblicato alla fine di luglio su Cephalalgia (una delle riviste internazionali più importanti nel campo dell'emicrania) è invece uno di quei lavori impostati in modo assolutamente inequivocabile (Alpay K et al, Cephalalgia. 2010 Jul;30(7):829-37. Epub 2010 Mar 10). Si tratta di un lavoro randomizzato, controllato ed effettuato in doppio cieco, sfruttando la diagnosi di intolleranza alimentare proveniente da un test IgG. Si valuta cioè la presenza di un certo tipo di anticorpi, quelli attivati nella via alternativa dell'allergia, che sono espressione di una allergia alimentare ritardata.
I soggetti che hanno controllato i cibi indicati dal test IgG hanno avuto una importante e significativa riduzione della frequenza e della durata degli attacchi emicranici. 

22 febbraio 2011

Fondamentali i primi cinque mesi di vita I SAPORI DEL LATTE MATERNO INFLUENZANO IL GUSTO

(AGI) - Washington, 21 feb. - Per far imparare ai bimbi a mangiare frutta e verdura meglio iniziare dai primissimi mesi di vita. I sapori assorbiti dai bambini attraverso il latte materno, infatti, influenzano i gusti anche per il resto dell'infanzia e dell'adolescenza. Lo afferma uno studio dell'Universita' di Philadelphia, presentato al meeting dell'American Association for the Advancement of Science in corso a Washington. I ricercatori hanno dimostrato la loro teoria dando ai neonati un latte artificiale arricchito che aveva un sapore amarognolo e acido che poi i soggetti hanno continuato a cercare e apprezzare anche nei mesi successivi fino all'adolescenza. Bambini a cui questo latte era stato dato dopo i sei mesi, invece, lo hanno rifiutato. ''Abbiamo dimostrato che il periodo tra i due e i cinque mesi di vita e' fondamentale per formare il gusto dei bambini - ha spiegato Gary Beauchamp, uno degli autori - e crediamo che la madre sia in grado di orientarlo, ad esempio mangiando molta frutta e verdura durante la gravidanza e l'allattamento''.
Latte materno
Una ricerca dell'Università di Philadelphia, diretta dal dottor Gary Beauchamp e presentata alla riunione dell'America Association for the Advancement of Science
Il periodo dai 2 ai 5 mesi è fondamentale per determinare l'alimentazione futura del neonato
L'alimentazione della madre ricade su quella dei figli. I cibi che la donna ingerisce determinano il sapore del suo latte che, a sua volta pesa sui gusti dei bambini, sopratutto nell'infanzia ed adolescenza.
Così spiega una ricerca dell'Università di Philadelphia, diretta dal dottor Gary Beauchamp e presentata alla riunione dell'America Association for the Advancement of Science in corso a Washington.
Il gruppo dell'Università ha lavorato con alcuni neonati, dividendoli in due gruppi. Tutti i piccoli sono stati nutriti con un latte artificiale, dalla particolare composizione e dal caratteristico sapore, acido ed amarognolo. Tuttavia, il primo gruppo ha ricevuto il latte subito, mentre il secondo lo ha potuto gustare solo dopo i 6 mesi.
E' così risultato come i soggetti del primo gruppo apprezzassero molto il latte, consumandolo regolarmente fino all'adolescenza. Totalmente diversa la reazione dei pari età del secondo, che lo hanno rifiutato con decisione.
Secondo il Beauchamp, il lavoro svolto dimostra come l'intervallo tra i 2 ed i 5 mesi sia periodo fondamentale in cui si forma il gusto dei bambini. Perciò, lo scienziato consiglia alla donne che allattano di consumare cibi sani, come frutta e verdura. Così facendo, il loro sapore si trasmetterà al latte ed il bambino imparerà ad amare i prodotti in questione ancora prima di averli assaggiati "dal vivo".
FONTE: Richard Gray, "Flavours in mothers milk may determine the foods children like", Telegraph 20/02/011