Mi occupo di Nutrizione per patologie accertate, Lipedema, Policistosi Ovarica, Intolleranze Alimentari, Disbiosi, Dieta Chetogenica su misura. Ricevo a Messina e Catania. In queste pagine offro consigli nutrizionali, ricette per tutti coloro che si interessano di Dieta, Nutrizione e Salute. Sono disponibile a consulenze online. Questo blog è collegato alla pagina Facebook Camice&Mestoli ed Instagram Bionutrizionistacacciola
11 ottobre 2012
01 ottobre 2012
La Zeolite Clinoptilolite Attivata ZE.CL.A® è la sola sostanza in grado di ridurre simultaneamente nell’organismo l’eccesso di TRAM®
La Zeolite Clinoptilolite Attivata ZE.CL.A® è la sola sostanza in grado di ridurre simultaneamente nell’organismo l’eccesso di TRAM® e....
e la loro sinergica tossicità: Tossine (esogene ed endogene), Radicali liberi, Ammonio, Metalli pesanti.
La ZC così attivata (ZCA) è stata sottoposta a una serie di sperimentazioni biologiche che hanno portato alla registrazione da parte della Società austriaca PANACEO di diverse preparazioni che la contengono come Dispositivi Medici a Livello Europeo (DM - TUV CE 0197 del 2006) date la sue caratteristiche azioni di tipo fisico di scambiatore di cationi, di blocco dei radicali liberi e di setaccio molecolare. Inoltre i prodotti composti di zeolite clinoptilolite attivata (ZCA) sono state classificate dalla EU (codice GMDN) come: "sostanze ad uso orale adatte ad assorbire/chelare e rimuovere sostanze dannose e tossiche nel tratto gastrointestinale (es. metalli pesanti, nitrosamine, ammonio, micotossine, cationi (radioattivi), pesticidi) riducendone l'assorbimento nel corpo.
Una nuova strada è stata aperta da studi sull'uso di sostanze polifunzionali di origine minerale costituite da particelle attive, ma non assorbibili, di zeolite clinoptililoite in grado di interagire nell'intestino con gli equilibri presenti nell'organismo, svolgendo così un'azione selettiva di eliminazione delle sostanze tossiche ("spazzino") attraverso le feci, senza modificare i componenti fisiologici.
Lo stress ossidativo può essere responsabile dell'insorgenza o dell'aggravamento di molte malattie come diabete, malattie cardiovascolari, tumori ed invecchiamento precoce. In Austria, il professor Wolfgang Toma dell'Ospedale di Villach, utilizza la zeolite in oncologia allo scopo di ridurre gli effetti collaterali della chemioterapia tradizionale.
La zeolite, dopo essere stata sottoposta ad un trattamento brevettato che la rende più attiva, viene ingerita sotto forma di capsule e svolge la sua funzione all'interno dell'intestino senza essere assorbita: trattiene le tossine, i metalli pesanti e assorbe i radicali liberi per venire eliminata con le feci. Il meccanismo che interviene è esclusivamente di tipo fisico: è come se la zeolite intrappolasse al suo interno queste sostanze tossiche attirandole come una calamita impedendone l'assorbimento intestinale trattenendole appiccicate su di sè.
Questo vale anche per le sostanze tossiche che si trovano già all'interno del corpo che vengono richiamate dentro il lume intestinale con lo stesso meccanismo, con il risultato di una efficace disintossicazione sistemica.
La ZC così attivata (ZCA) è stata sottoposta a una serie di sperimentazioni biologiche che hanno portato alla registrazione da parte della Società austriaca PANACEO di diverse preparazioni che la contengono come Dispositivi Medici a Livello Europeo (DM - TUV CE 0197 del 2006) date la sue caratteristiche azioni di tipo fisico di scambiatore di cationi, di blocco dei radicali liberi e di setaccio molecolare. Inoltre i prodotti composti di zeolite clinoptilolite attivata (ZCA) sono state classificate dalla EU (codice GMDN) come: "sostanze ad uso orale adatte ad assorbire/chelare e rimuovere sostanze dannose e tossiche nel tratto gastrointestinale (es. metalli pesanti, nitrosamine, ammonio, micotossine, cationi (radioattivi), pesticidi) riducendone l'assorbimento nel corpo.
Una nuova strada è stata aperta da studi sull'uso di sostanze polifunzionali di origine minerale costituite da particelle attive, ma non assorbibili, di zeolite clinoptililoite in grado di interagire nell'intestino con gli equilibri presenti nell'organismo, svolgendo così un'azione selettiva di eliminazione delle sostanze tossiche ("spazzino") attraverso le feci, senza modificare i componenti fisiologici.
Lo stress ossidativo può essere responsabile dell'insorgenza o dell'aggravamento di molte malattie come diabete, malattie cardiovascolari, tumori ed invecchiamento precoce. In Austria, il professor Wolfgang Toma dell'Ospedale di Villach, utilizza la zeolite in oncologia allo scopo di ridurre gli effetti collaterali della chemioterapia tradizionale.
La zeolite, dopo essere stata sottoposta ad un trattamento brevettato che la rende più attiva, viene ingerita sotto forma di capsule e svolge la sua funzione all'interno dell'intestino senza essere assorbita: trattiene le tossine, i metalli pesanti e assorbe i radicali liberi per venire eliminata con le feci. Il meccanismo che interviene è esclusivamente di tipo fisico: è come se la zeolite intrappolasse al suo interno queste sostanze tossiche attirandole come una calamita impedendone l'assorbimento intestinale trattenendole appiccicate su di sè.
Questo vale anche per le sostanze tossiche che si trovano già all'interno del corpo che vengono richiamate dentro il lume intestinale con lo stesso meccanismo, con il risultato di una efficace disintossicazione sistemica.
26 settembre 2012
DIABETE: calano i decessi se aumenta l'attività fisica
Da una riduzione del 10% dell'inattività fisica della popolazione mondiale si potrebbero verificare ogni anno oltre 533.000 decessi in meno e se si raggiungesse una diminuzione del 25% la cifra salirebbe a 1,3 milioni. È questo uno dei risultati emersi dallo studio "Effect of physical inactivity on major non-communicable diseases worldwide: an analysis of burden of disease and life expectancy" pubblicato dal Lancet a metà luglio. Obiettivo dell'indagine è stato di quantificare gli effetti della sedentarietà sull'aspettativa di vita e sul rischio di sviluppare patologie non trasmissibili - quali diabete di tipo 2, disturbi cardiovascolari, tumori al seno e al colon - attraverso una stima della riduzione dell'incidenza di tali problematiche nell'ipotesi di una corretta attività fisica da parte dei cittadini. A emergere è che stili di vita più pigri sono alla base del 10% dei casi di tumori al colon (con una variabilità regionale che va dal 5,7% del Sudest asiatico al 13,8% dell'area mediterranea) e al seno (con un range tra il 5,6% e il 14,1%), del 7% del diabete di tipo 2 (3,9-9,6%) e del 6% delle malattie cardiovascolari (3,2-7,8%). L'inattività fisica è additata poi come la responsabile del 9% della mortalità prematura (range 5,1-12,5%) e, in generale, di oltre 5,3 milioni di decessi dei 57 milioni totali che si sono registrati a livello mondiale nel 2008. In sostanza, con l'eliminazione dell'inattività fisica, l'aspettativa di vita della popolazione mondiale potrebbe aumentare, complessivamente, di 0,68 anni (ma il valore potrebbe essere maggiore se riferito alla sola fetta di popolazione che allo stato attuale risulta sedentaria). Un parametro, questo, che pone l'impatto dell'inattività fisica come fattore di rischio al pari di fumo e obesità.
17 settembre 2012
La sindrome dell’ovaio policistico: un problema di molte donne
Post di Laura Pentassuglia, ricercatrice in cardioncologia
al Departement Biomedizin, CardioBiology, Physiology Institute dell’università di Basilea
al Departement Biomedizin, CardioBiology, Physiology Institute dell’università di Basilea
La sindrome dell’ovaio policisticoè problema che riguarda circa il 10% della popolazione femminile delle zone industrializzate, ed è un problema che mi riguarda da vicino. La diagnosi fu fatta quasi 20 anni fa, ma è stato solo di recente che mi sono resa conto del suo reale significato e di che cosa implica. La prima cosa che mi ha sorpreso quando ho iniziato a cercare informazioni su questa sindrome è stato apprendere che l’ovaio policistico ha radici comuni con ildiabete, e per questo motivo viene, di fatto, considerata una disfunzione ormonale. La seconda cosa è che viene considerata una problematica prettamente femminile. In realtà colpisce anche gli uomini, anche se in questo caso la diagnosi diventa più difficile e i sintomi si presentano in maniera diversa rispetto alle donne. Ma andiamo per gradi. Innanzitutto che cosa è la sindrome dell’ovaio policistico?
Nella maggioranza dei casi questa malattia è causata dal fatto che il nostro corpo non risponde normalmente all’insulina, condizione che è comunemente chiamata resistenza. La funzione principale dell’insulina è di regolare il metabolismo energetico, ovvero come il nostro corpo utilizza zuccheri e grassi. L’insulina favorisce l’utilizzo e l’accumulo degli zuccheri e allo stesso tempo inibisce l’utilizzo dei grassi come fonte di energia. Ma questo non è tutto, l’insulina ha anche un ruolo chiave nel regolare la crescita post-parto, è essenziale per il funzionamento ottimale di ormoni e proteine, e nelle ovaie stimola la proliferazione cellulare. La resistenza all’insulina può insorgere per diversi motivi, ma il risultato finale è lo stesso: un aumento nella produzione dell’insulina stessa.
Quest’aumento va a influenzare diversi organi fra cui anche le ovaie. In che maniera questo eccesso d’insulina è legato all’ovaio policistico? L’insulina è in grado di stimolare la produzione sia del testosterone sia degli estrogeni, e più alta è l’insulina, maggiore sarà la quantità di ormoni sessuali prodotti. In condizioni normali il testosterone è convertito in estrogeno, e solo una minima parte è presente nel flusso sanguigno. Nell’ovaio policistico la produzione di testosterone è talmente alta che una buona parte non subisce questo processo portando a concentrazioni tipicamente maschili anche nella donna. Da questo momento in poi diventa un circolo vizioso, dato che l’aumento del testosterone stimola la ghiandola pituitaria alla produzione di un altro ormone luteinizzante, che a sua volta stimola la produzione ormonale nelle ovaie. Come se non bastasse, l’insulina non solo porta direttamente ed indirettamente ad un aumento della quantità del testosterone circolante, ma anche nella sua disponibilità. Molte proteine che circolano nel sangue vengono “sequestrate” e quindi rese inattive fino al loro utilizzo. L’aumento d’insulina riduce in maniera significativa anche questo processo.
Quali sono quindi i sintomi dell’ovaio policistico? I sintomi sono diversi e non è necessario che si presentino nello stesso momento. Quelli più evidenti sono la mancanza di un ciclo regolare e sterilità, irsutismo, in altre parole una distribuzione della peluria simile a quella maschile e sovrappeso. In quest’ultimo caso è importante notare qual è la distribuzione del grasso, infatti, nella sindrome dell’ovaio policistico, il grasso tende ad accumularsi nella zona addominale, in maniera del tutto simile agli uomini. Altri sintomi possono essere la presenza diacne, il sentirsi spesso stanchi senza nessun apparente motivo, bassa concentrazione degli zuccheri dopo i pasti caratterizzata da improvvisa sonnolenza e/o vertigini. In casi di severa resistenza all’insulina si possono anche presentare delle macchie nell’incavo delle braccia. Bisogna anche ricordare che questa sindrome é spesso ereditaria, in particolare in quelle famiglie con casi di diabete di tipo 2. In ogni caso, è sempre consigliabile far riferimento a un ginecologo ed endocrinologo per una diagnosi accurata tramite un’ecografia ed analisi del sangue.
Come si affronta questa sindrome? Il primo e più importante passo da fare è di consultare il proprio medico. Ogni donna, ogni paziente, ha le proprie esigenze e motivi diversi per porre fine al circolo vizioso innescato da questa sindrome. Nel mio caso specifico ho voluto fare un lavoro preventivo, poiché a lungo termine chi ha l’ovaio policistico ha una maggiore possibilità di sviluppare malattie cardiocircolatorie. Nel mio caso l’approccio è diverso rispetto a una donna che vuole avere un figlio. In ogni caso un primo importante passo è di cambiare il proprio stile di vita: una dieta sana, equilibrata, a basso indice glicemico, accostata ad attività fisica saranno sempre il primo importante rimedio a questa e molte altre patologie.
09 settembre 2012
04 settembre 2012
Meccanismo epigenetico della vitamina D contro l'infiammazione
Si stima che oltre il 50% della popolazione europea abbia una carenza di vitamina D. La carenza di vitamina D, oltre ad aumentare il rischio di insorgenza di alcuni disturbi come ad esempio l'osteoporosi, è correlata a numerosi disturbi infiammatori tuttavia non era stato fino ad oggi chiarito il meccanismo d'azione attraverso il quale la vitamina D contrastasse l'infiammazione. Zhang Y et al. hanno studiato gli effetti inibitori della vitamina D sulla risposta infiammatoria stimolata dal lipopolisaccaride LPS sui monociti circolanti e hanno indagato il potenziale meccanismo d'azione della vitamina D.
E' stato osservato che due forme di vitamina D (1,25(OH)2D3 e 25(OH)D3 ) in misura dose dipendente hanno inibito la fosforilazione della p38 (una chinasi citosolica del monocita che può attivare specifici fattori di trascrizione) indotta dal LPS a concentrazioni fisiologiche e hanno inibito la produzione di IL-6 e TNF-α da parte dei monociti. In seguito al trattamento con vitamina D è risultata significativamente sovra-regolata l'espressione della fosfatasiMAPK-1 in monociti umani e in macrofagi midollari del topo. Erano già dimostrati l'incremento del legame della vitamina D al recettore e l'aumento dell'acetilazione dell'istone H4 all'elemento di risposta alla vitamina D dei promotori MPK-1 (l'acetilazione degli istoni e la metilazione del DNA sono possibili meccanismi provocante effetti epigenetici*).
Questo studio ha ora identificato la sovra-regolazione della MKP-1 da parte della vitamina D come nuova via attraverso la quale la vitamina D inibisce la produzione di citochine ed inibisce l'attivazione della p38 indotta dal Lipopolisaccaride LPS nei monociti e nei macrofagi.
* L'epigenetica studia i meccanismi molecolari mediante i quali l'ambiente altera il grado di espressione dei geni senza tuttavia modificare l'informazione contenuta, ossia senza modificare la sequenza del DNA.
Bibliografia: Zhang Y. et al. 'Vitamin D inhibits monocyte/macrophage proinflammatory cytokine production by targeting MAPK Phosphatase-1' The Journal of Immunology 1012,188 (5): 2127-2135
31 agosto 2012
Vitamina D3 e Alzheimer
Un gruppo di ricercatori ha identificato il meccanismo intracellulare regolato dalla vitamina D3 che potrebbe aiutare il corpo a 'pulire' il cervello dal beta-amiloide, il principale componente delle placche associate al morbo di Alzheimer.
I risultati della ricerca, pubblicati nel Journal of Alzheimer's Disease, mostrano come la vitamina D3 possa attivare geni chiave e una rete di segnali cellulari che aiutano a stimolare il sistema immunitario a contrastare la proteina beta-amiloide. Questo studio evidenzia che la vitamina D, nei pazienti con morbo di Alzheimer, stimola i macrofagi a fagocitare il beta amiloide attraverso segnali genomici e non genomici. La clearance cerebrale del beta-amiloide ad opera dei macrofagi è necessaria per il mantenimento della normale funzionalità cerebrale. Questo processo di fagocitosi è carente in pazienti con morbo di Alzheimer.
Sono stati identificati due tipi di macrofagi nei pazienti con morbo di Alzheimer: macrofagi di tipo I e di tipo II. I ricercatori hanno evidenziato che la funzionalità dei macrofagi di tipo I può essere migliorata con vitamina D3 e curcuminoidi; i macrofagi di tipo II sono stati stimolati dalla sola vitamina D3. In particolare la vitamina D3 supporta la trascrizione di geni che codificano per il canale del cloro e del recettore della vitamina D3 nei macrofagi di tipo II. Il ripristino della fagocitosi del beta-amiloide nei macrofagi di tipo II ad opera della vitamina D3 è dipendente dal calcio e da un segnale che coinvolge una proteina chinasi attivata da mitogeni (MPAPK).
Bibliografia: Mizwicki MT et al. 'Genomic and nongenomic signaling induced by 1α,25(OH)2-Vitamin D3 promotes the recovery of amyloid-β phagocytosis by Alzheimer's disease macrophages' Journal of Alzheimer's Disease 2012: 51-62
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