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04 luglio 2016

L'Intolleranza da Nichel fa ingrassare?


 Mi occupo di intolleranze alimentari da 10 anni ed in particolare di intolleranza ed allergia al nichel almeno da 5 anni e posso testimoniare che lo studio conferma i risultati evidenziati in questi anni.

 Condivido la posizione dell'autrice dell'articolo. Unico problema è che non si possono eliminare tutti gli alimenti ad elevato contenuto in nichel perché si rischia di non mangiare quasi nulla e di conseguenza creare stati carenziali importanti. Allora è necessario fare un serio piano nutrizionale alternativo ma ben bilanciato che è possibile solo se ci si rivolge ad un nutrizionista esperto.
http://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0123265


L’allergia al nichel fa ingrassare
a cura di Paola P.
Che esista un legame tra allergie/intolleranze alimentari e sovrappeso si è capito da parecchio e, anzi, diversi studi scientifici sono opportunamente giunti a poterlo dimostrare. Ora gli esiti di una nuova, interessante ricerca sperimentale condotta in Italia è andata oltre, rivelando in modo inequivocabile l’associazione tra sovrappeso e allergia al nichel. Questo metallo è presente, oltre che in accessori di abbigliamento, oggetti e utensili a cucina, anche in molti alimenti che consumiamo comunemente. Tra questi basti citare il cioccolato (specialmente fondente), i legumi, i frutti di mare.
Stando alle evidenze dello studio, condotto dai ricercatori dell’Università di Chieti presso il Laboratorio della Croce Rossa in Roma (Unità di Immunologia clinica e Allergologia) su un campione di 87 soggetti (72 donne e 15 uomini), l’allergia al nichel può essere tranquillamente inclusa tra i fattori di rischio per obesità e sovrappeso come e più di altri indicatori tra cui la steatosi epatica (fegato grasso) e la sindrome da insulino-resistenza.
Basti pensare che il 59% del campione, soprattutto donne in “zona” menopausa, con un indice di massa corporea superiore a 26 (ovvero il valore che indica il sovrappeso) era anche allergica al nichel, come rilevato da un semplice patch test. Insomma, un dato di cui tenere conto.
La ricerca non si è limitata a riscontrare il legame, ma ha provato a determinare un’inversione di tendenza. Una parte del campione è stata infatti indotta a seguire quella che è la terapia d’elezione per combattere i sintomi dell’allergia al nichel: la dieta a bassa concentrazione di questo metallo. Dopo tre mesi di questo tipo di alimentazione che, lo specifichiamo, non era “dimagrante” ma normocalorica (ovvero rispettava il fabbisogno calorico di ciascun soggetto in base all’età e allo stile di vita), il campione non solo ha avuto un miglioramento generalizzato delle condizioni di salute, ma ha visto una riduzione del girovita e del proprio indice di massa corporea. Non solo, il dimagrimento ottenuto nel breve termine si è mantenuto tale anche dopo altri sei mesi di controllo. Insomma, un vero successo.
Molte delle donne in premenopausa che all’inizio dell’esperimento erano sovrappeso e soffrivano di fegato grasso e di sindrome da inulino-resistenza, dopo la dieta a basso contenuto di nichel avevano migliorato le loro condizioni generali anche relativamente ai disturbi metabolici. Questo buon esito è legato al fatto che le allergie ad alcuni alimenti o sostanze in essi contenuti (percepiti dal corpo come nocivi anche se non sono tali), portano ad un aumento nel sangue delle citochine, molecole proteiche che inducono una risposta immunitaria di tipo infiammatorio.
Quando nel corpo si verificano queste condizioni, con un aumento dell’insulina e difficoltà nell’assimilazione dei nutrienti, il corpo tende ad accumulare adipe. Ecco perché spesso chi soffre di allergie o intolleranze alimentari, specialmente “nascoste”, a fronte di un aumento di peso, presenta di pari passo anche un peggioramento della salute generale con affaticamento e rallentamento di tutte le funzioni fisiologiche.
Una dieta povera di nichel, quindi, può essere la soluzione per smaltire i chili di troppo e ritrovare il naturale benessere in chi abbia sviluppato allergie o sensibilità a questo metallo. Buono a sapersi visto che stiamo parlando di una fetta consistente di popolazione!


20 aprile 2016

Pane adatto alla colazione da campioni
















Questo pane è stato realizzato con un mix di farine di ben 7 cereali con l'aggiunta di semi di girasole, lino, sesamo e proteine isolate del pisello. La lievitazione con pasta madre di maiorca durata 20 ore garantisce l'assoluta digeribilità!

14 dicembre 2015

Cancro ed antiossidanti



Come evidente dal titolo di questo articolo nella giornata mondiale del cancro si è discusso della prevenzione del cancro con gli antiossidanti anche di origine naturale. In questo sommario di lavori scientifici sull'argomento è evidente che la loro efficacia è dimostrata per lo più in vitro. E troppo spesso è stata presa forse come prova definitiva nella prevenzione del cancro. In realtà in numerosi studi epidemiologici molti antiossidanti si sono dimostrati definitivamente efficaci, ma alcuni di essi, in particolare nei fumatori, hanno aumentato il rischio di cancro, per cui l'argomento è molto più complesso di quanto possa sembrare. L'articolo merita essere letto. È disponibile in Free full text.

Luigi Gori
Cerfit Aou Careggi - Università degli Studi di Firenze

Rafieian-Kopaie M On the Occasion of World Cancer Day 2015; the Possibility of Cancer Prevention or Treatment with Antioxidants: The Ongoing Cancer Prevention Researches. Int J Prev Med. 2015 Nov 4;6:108.


01 agosto 2015

Alimentazione e geni: le risposte della nutrigenomica per il sistema cardiovascolare e in oncologia


Abbiamo chiesto a Francesco Visioli, professore di Nutrizione Umana all'Università di Padova (Dipartimento di Medicina Molecolare), quali risposte può dare la nutrigenomica e le prospettive future.

Rispetto a quello che sappiamo oggi: fino a che punto, in che misura l'alimentazione interagisce con i geni?
Molto più di quanto pensiamo. Anche se l'uomo si evolve "in toto" abbastanza lentamente, il profilo genetico in realtà si modifica con rapidità sorprendente. Un esempio è quello della tolleranza al lattosio, che segue il corso delle migrazioni e della pastorizia. In un certo senso l'interazione geni-alimentazione è bidirezionale: i geni influiscono sugli effetti dell'alimentazione e viceversa.
Che tipo di risposte può dare oggi la nutrigenomica? Ci sono (o quali sono) aspetti limitanti nella ricerca?La nutrigenomica può dare varie risposte utili a indirizzare la dieta. Un individuo che geneticamente metabolizza l'alcool lentamente dovrà usarlo in modo diverso da chi lo metabolizza velocemente. Inoltre, individui con maggior propensione ad alcune patologie (es. il diabete) potranno e dovranno cambiare l'alimentazione per minimizzare il rischio. Lo stesso si può dire per il controllo del peso corporeo o della pressione arteriosa.
I limiti attuali sono rappresentati più che dai costi (in continua discesa) dalla difficoltà di analizzare e interpretare la moltitudine di dati che escono dalle analisi. In futuro si dovrà lavorare a livello informatico proprio per distillare le informazioni importanti in poco tempo.
Quali sono le linee di ricerca più promettenti?Le linee di ricerca più promettenti riguardano due grandi aree della ricerca biomedica: sistema cardiovascolare e oncologia. Per quanto riguarda il sistema nervoso centrale le ricerche sono, a mio avviso, ancora arretrate. Nel campo cardiovascolare sappiamo molto più di quanto il grande pubblico creda e possiamo (entro certi limiti) orientare i pazienti verso diete più adatte al loro profilo genetico. Per i tumori e la loro prevenzione il discorso è più complesso, ma si può anche in quel caso saggiare diete o profili dietetici che, per esempio, agiscano sull'infiammazione.
In cosa è consistito il vostro lavoro su tessuto adiposo e geni e a quali conclusioni siete giunti?Abbiamo svolto varie ricerche in questo campo. La più interessante di queste dimostra che l'idrossitirosolo, un composto con interessantissime azioni biologiche, che si trova nelle olive e nei loro derivati oppure si trova di sintesi, modula, nel tessuto adiposo, l'espressione di geni legati all'ossidazione/antiossidazione e all'infiammazione. Questo spiega in parte - a livello genetico - perché il consumo d'olio d'oliva extra-vergine si associa a minor incidenza di patologie cardiovascolari, anche se i suoi effetti sulla colesterolemia sono minimi.
Francesca De Vecchi

17 luglio 2015

Fondamentale l'uso degli enzimi nel trattamento delle patologie autoimmuni



La completa digestione degli alimenti e la riduzione degli antigeni residui nell'intestino ha un forte rilievo nel trattamento delle patologie autoimmuni e l'uso degli enzimi è una delle armi più frequentemente utilizzate, al pari degli antinfiammatori, dei regolatori immunitari e dei probiotici, nel piano terapeutico di ogni persona.
Molti pensano alle patologie autoimmuni come a malattie in cui si costruiscano anticorpi contro il proprio "self" che facilitino l'autodistruzione. Il tema è dibattuto, perché in realtà molti autoanticorpi esistono "normalmente" in persone che non hanno nessun tipo di disturbo e in molte situazioni, come nella tiroidite di Hashimoto, la presenza di autoanticorpi, anche a livelli elevati, non significa necessariamente che la tiroide smetta di funzionare. Ciò che genera "malattia" è la reazione infiammatoria, quasi sempre stimolata anche dal contatto tra intestino e cibo che assume così un ruolo spesso determinante. L'innesco di questo meccanismo può essere dovuto a citochine come BAFF (B Cell Activating Factor) e PAF (Platelet Activating Factor) che attivano a cascata una risposta immunologica diretta. Gli autoanticorpi non determinano necessariamente una lesione d'organo, ma possono invece creare, con alcune proteine assorbite dall'intestino e non ancora completamente digerite, dei reticoli complessi, quasi dei veri e propri "grumi", che vengono filtrati e trattenuti da alcuni organi e che generano una attivazione a cascata di reazioni infiammatorie di forte impatto sull'intero organismo.
Il malassorbimento intestinale, l'infiammazione da cibo e la "leaky gut syndrome" (situazione in cui la permeabilità intestinale è aumentata) sono tutte situazioni che facilitano la comparsa di malattie autoimmuni. Basti pensare per esempio alle strette relazioni tra tiroidite e Gluten sensitivity. Come ha descritto Fasano (1), l'aumentata permeabilità intestinale è la possibile causa di molte malattie autoimmuni e la completa digestione enzimatica della gliadina, ottenuta da proteasi prodotte dall'Aspergillo, è in grado di ridurre o annullare la risposta reattiva delle cellule T sensibli al glutine (2).
Quest'ultimo lavoro spiega perché la completa digestione della gliadina può ridurre la reazione che porta poi, nei soggetti predisposti, allo sviluppo della celiachia.
Quindi le reazioni autoimmuni sono spesso stimolate dalla presenza di un reticolo di proteine indigerite in cui gli autoanticorpi fanno da "legante", attivando l'azione del Complemento (dosabile nel sangue come C3 e C4) che viene consumato e si presenta in questi casi spesso ridotto. Il fatto che la grande maggioranza delle malattie autoimmuni, infiammatorie e allergiche tragga beneficio dall'utilizzazione a cicli ripetuti di enzimi digestivi fa capire che la cattiva digestione è una concausa importante di questi disturbi e tra le tante sicuramente una concausa facilmente risolvibile.
1) Fasano A. Clin Rev Allergy Immunol. 2012 Feb;42(1):71-8. doi: 10.1007/s12016-011-8291-x
2) Toft-Hansen H et al, Clin Immunol. 2014 Aug;153(2):323-31. doi: 10.1016/j.clim.2014.05.009. Epub 2014 Jun 3.
Attilio Speciani