Mi occupo di Nutrizione per patologie accertate, Lipedema, Policistosi Ovarica, Intolleranze Alimentari, Disbiosi, Dieta Chetogenica su misura. Ricevo a Messina e Catania. In queste pagine offro consigli nutrizionali, ricette per tutti coloro che si interessano di Dieta, Nutrizione e Salute. Sono disponibile a consulenze online. Questo blog è collegato alla pagina Facebook Camice&Mestoli ed Instagram Bionutrizionistacacciola
06 novembre 2016
30 settembre 2016
Prebiotici ad alta specificità per lattobacilli e bifidobatteri
da DOTT. F.DI PIERRO il 28 FEBBRAIO 2013
L’intestino di un soggetto adulto ospita circa 500 specie unicellulari. Queste, quasi tutte batteriche, vengono identificate come ‘flora’ o ‘microflora’ intestinale con funzioni fondamentali e vitali per il benessere e la sopravvivenza stessa dell’individuo.
L’intestino umano, sterile alla nascita, viene rapidamente colonizzato da microrganismi (piogeni, patogeni, funghi e altri più rari organismi unicellulari) fino ad ammontare, in un individuo adulto, a circa 1014 cellule vive.
Lo sviluppo della flora intestinale segue uno schema ben noto: all’inizio l’intestino è sterile nell’utero materno, e subisce la prima contaminazione per via orale a partire dalla flora vaginale materna. Tra il 20° giorno dalla nascita, e fino al 4°-6° mese di vita, si sviluppa una flora primariamente costituita da bifidobatteri. Con lo svezzamento si assiste ad una lenta transizione che condurrà infine il giovane intestino ad una composizione sovrapponibile a quella tipica di un soggetto adulto.
Una volta stabilizzata nell’intestino adulto, la flora risulterà essere piuttosto segmento-specifica lungo l’asse gastrointestinale: lo stomaco, con meno di 104 microrganismi totali/ml, conterrà essenzialmente i generi candida, helicobacter, lattobacillus e streptococcus; il duodeno e il digiuno (circa 104 /10 5 cellule totali/ml) conterranno bacteroides, candida, lattobacillus e streptococcus; l’ileo (circa 107 /108 cellule totali/ml) conterrà bacteroides, clostridium, enterococcus, lattobacillus e veillonella; il colon (circa 1010/1011 cellule totali/ml) conterrà bacteroides, bacillus, bifidobacterium, clostridium, enterococcus, eubacterium, fusobacterium, peptostreptococcus, ruminococcus, streptococcus.
Un’analisi numerica, non segmento-specifica, consente invece di evidenziare le popolazioni in relazione alla loro presenza quantitativa totale. In base a quest’analisi riconosciamo: 1010 bacteroidi
(organismi patogeni solo nei tessuti al di fuori dell’ambito intestinale); 109 bifidobatteri; 109 eubacteriaceae (tra cui coliformi e clostridi non necessariamente patogeni); 109 streptococchi e 108 batteri lattici. Nel loro insieme compongono la microflora.
Per quanto concerne il trattamento prebiotico, è potenzialmente possibile costituire uno strumento preventivo-terapeutico per le disbiosi in genere, tenendo in attenta considerazione i rapporti quantitativi tra bifidobatteri e batteri lattici che, nel loro insieme, sono il reale bersaglio del trattamento prebiotico (Composizione prebiotica ad alta specificità per lattobacilli e bifido batteri in prevenzione e trattamento delle alterazioni della flora intestinale, F. Di Pierro, A. Callegari, M. Speroni, R. Prazzoli, G. Rapacioli, L’ Integratore Nutrizionale 2009, 12 ).
Largamente riconosciuti dalla comunità scientifica come in grado di influenzare positivamente il benessere intestinale inteso come capacità immunologica, digestiva, di transito, anti-stipsi, anti-diarroica e di assorbimento dei nutrienti, bifidi e lattobacilli possono essere infatti ‘alimentati’ ricorrendo all’uso di fibre prebiotiche, costituendo queste un vero e proprio substrato nutritizio solo per queste due specie batteriche.
Secondo la definizione del Ministero della Salute ‘le fibre prebiotiche sono sostanze non digeribili di origine alimentare che, quando assunte in quantità adeguata, favoriscono selettivamente la crescita e l’attività di uno o più batteri già presenti nel tratto intestinale o che vengono assunti insieme al prebiotico’.
Fibre prebiotiche scientificamente documentate, e quindi impiegabili in sicurezza, per uso umano sono: l’inulina, i galatto-oligosaccaridi (GOS), i frutto-oligosaccaridi (FOS), il lattosaccarosio, le pirodestrine, i soia-oligosaccaridi, i trans-galatto-oligosaccaridi, gli isomalto-oligosaccaridi, il lattilolo, il lattulosio, gli xilo-oligosaccaridi e il polidestrosio.
- Fibre bifido-specifiche.
L’inulina è una miscela di oligosaccaridi caratterizzata dalla presenza di fruttosio polimerico a 10-12 subunità (legame beta-2-1-glucosidico); è presente in natura e rintracciabile, ad esempio, nella radice di Cichorium intybus (la comune cicoria) e in altre specie vegetali. L’inulina è una fibra bifido-specifica.
I GOS sono invece oligomeri del galattosio (epimero del glucosio), ma anch’essi mostrano elevata ceppo-specificità verso i bifidobatteri.
I FOS sono polimeri a corta catena, contenenti alternanza di D-fruttosio e D-glucosio (3-5 subunità). Anche i FOS sono fibre bifido-specifiche.
- Fibre lattobacillo-specifiche.
Gli isomalto-oligosaccaridi (IMO) sono polimeri dell’isomalto, a sua volta disaccaride costituito da glucosio e mannitolo, fermentabili anche, e principalmente, dai batteri lattici.
Il lattilolo e il lattulosio sono fibre disaccaridiche analoghe (D-lattosio e D-fruttosio) ottenute per via semi-sintetica e normalmente impiegate nel trattamento della costipazione e dell’encefalopatia epatica. Sono anch’esse fermentabili anche dai lattobacilli ad acidi organici a corta catena (lattato, acetato, butirrato e propinato).
Infine il polidestrosio, polimero del destrosio, che è invece particolarmente fermentabile dai batteri lattici.
Già da questa elencazione è possibile notare un certo grado di specificità, per genere, in favore delle fibre con caratteristiche di bifidogenicità, almeno in termini numerici. La conoscenza di questa caratteristica però non è sufficiente per elaborare, sotto il profilo teorico, un optimum nutrizionale prebiotico.
Altre caratteristiche devono infatti essere considerate: il rapporto numerico tra le popolazioni, la loro locazione specifica (soprattutto a livello di colon ascendente, trasverso e discendente) e il grado di fermentabilità di una determinata fibra nei diversi acidi organici a corta catena.
- Correlazioni numeriche necessarie alla corretta formulazione della miscela prebiotica.
Come già detto, in un intestino sano i due ceppi, bifidobacterium e lattobacillus, coesistono in rapporto 10:1: di conseguenza i componenti prebiotici bifidogenici e lattogenici dovranno essere opportunamente miscelati in rapporto 10:1 così da riprodurre le naturali proporzioni intestinali.
Tra i bifidogenici, particolare attenzione deve essere rivolta soprattutto ai rapporti tra inulina, GOS e FOS; nell’insieme tali fibre risultano essere la scelta d’elezione, se non altro per mole di documentazione disponibile in ambito clinico.
Degno di nota e rilievo, GOS e FOS sono naturalmente presenti, in rapporto 9:1, nel latte materno. Questo rapporto deve essere ritenuto fondamentale, e quindi mantenuto invariato, se si considera il latte materno come il primo elemento dietetico naturale formante la microflora intestinale bilanciata del neonato.
In considerazione del fatto che GOS e FOS hanno tempi di fermentabilità più brevi, e quindi teoricamente vengono scisse nella prima porzione del colon, rispetto all’inulina, a sua volta fermentata specialmente nel tratto finale di quest’ultimo, la miscela GOS/FOS dovrà risultare in rapporto 1:1 con l’inulina.
Essendo inoltre bifidobatteri e lattobacilli bilanciati, in un intestino sano, in rapporto 10:1, la quota di fibra bifidogenica dovrà essere in rapporto 10:1 con quella lattogenica.
Nel formulare quest’ultima, la miscela con caratteristiche di lattogenicità, bisognerà poi valutare la necessità di avere fibre capaci di determinare da parte loro una equa e proporzionata produzione di acidi organici a corta catena, avendo questi (butirrato, propionato, acetato e lattato) un ruolo trofico per l’epitelio intestinale e anti-patogenico differente. In questo senso la miscela di fibre funzionalmente più attiva è costituita dalla miscelazione, in rapporto 2:1:1, di isomaltooligosaccaride:lattulosio:polidestrosio.
- Composizione e sicurezza della miscela prebiotica.
Sulla base di quanto fin qui descritto, e con l’obiettivo di ottenere un formulato ad azione prebiotica specifica, è stata sviluppata una miscela costituita da: inulina, GOS, FOS, isomalto-oligosaccaride, lattulosio e polidestrosio.
Su tale formulato, oggetto di brevetto, è stato condotto uno studio di tossicità orale acuta (dose fissa) somministrando una dose di 2000 mg/kg/per os ad un gruppo di 5 ratti femmina (SD) mediante sondino gastrico. Secondo i risultati di tale studio la miscela prebiotica risulta priva di tossicità.
Il preparato prebiotico in oggetto è stato sottoposto ad indagine clinica pilota ambulatoriale su 10 pazienti con diagnosi di sindrome del colon irritabile (IBS) già trattata con un preparato a base di olio essenziale di menta microincapsulato e risolta, almeno in termini di manifestazione dolorosa, ma nei quali sussisteva ancora un’evidente produzione di gas intestinale con discomfort e possibile evidenza di alvo alterno, diarrea e stipsi in linea con un quadro di disbiosi e alterazione della flora.
Questi soggetti (8 femmine e 2 maschi) di età compresa tra i 18 e i 55 anni, in assenza di ulteriore diversa terapia, sono stati trattati con una bustina di prodotto al giorno, al mattino a stomaco vuoto, per 14 giorni.
Ad inizio e fin trattamento, mediante scala analogico visiva di Scott-Huskisson (score tra 0 e 10), è stata eseguita una valutazione sintomatologica. Da tale valutazione si evince come il prodotto, dopo 14 giorni di terapia riduca sensibilmente la produzione di gas intestinali ed il discomfort conseguente, contrastando efficacemente anche i quadri di alvo alterno e diarrea e, parzialmente, quelli di stipsi che residua evidente in un paziente su due.
Il prodotto inoltre è risultato ben tollerato e, tranne un episodio di cefalea, non sono stati registrati segni avversi sicuramente imputabili al trattamento e, di conseguenza, nessun caso di abbandono è stato registrato.
- Conclusioni.
Le alterazioni della flora intestinale, secondarie ad IBS, antibiotico-terapia, sbilanciamenti dietetici, stress, colite, diarrea ad eziologia varia, etc, vengono oggi trattate principalmente con farmaci (principalmente OTC) e/o integratori alimentari contenenti ingredienti probiotici e/o prebiotici.
Nonostante i probiotici abbiano nella scarsa vitalità dei ceppi impiegati nel formulato finito, sempre più spesso rivendicato come ‘stabile’ anche a temperatura ambiente, il loro grande limite, i prebiotici vengono, nella maggior parte dei casi, considerati complementi di formula che consentono semplicemente al prodotto probiotico di essere rivendicato come simbiotico grazie alla loro presenza.
Al contrario, oltre ad essere un valido principio attivo, le fibre prebiotiche hanno il grande vantaggio di essere facilmente stabilizzate all’interno del formulato finito.
Per esse, inoltre, non deve essere verificata la vitalità dopo il superamento della barriera gastrica e di quella biliare e, soprattutto, non devono essere eseguiti test per verificarne la capacità colonizzante. Anche lo svantaggio, non certo loro esclusivo, di provocare gonfiore, meteorismo e flatulenza può essere poi modulato razionalizzando i dosaggi e le posologie giornaliere.
Nonostante ciò, l’attivo a funzione prebiotico non viene considerato con l’attenzione che, quindi, meriterebbe.
Con una evidente inversione di tendenza, il nostro gruppo di ricerca (Velleja Research) ha sviluppato un preparato a base di fibre prebiotiche partendo dalla considerazione che queste sono nutrizionalmente valide esclusivamente per ceppi di bifidobatteri e lattobacilli che, a loro volta, colonizzano l’intestino sano secondo un determinato rapporto.
La miscela prebiotica formulata è frutto di tutte queste considerazioni e, per questo, è da considerarsi il primo esempio nutrizionale di miscela di fibre prebiotiche sviluppata per un’azione specifica sulla microflora intestinale residente.
17 settembre 2016
Nutraceutica Con le Alghe
L’alimentazione nutriceutica con le alghe è un metodo di prevenzione e riequilibrio psico-fisico ed energetico.
Consiste nell’assunzione sistematica e razionale di alghe marine e microalghe allo scopo di apportare all’organismo micronutrienti essenziali alla riattivazione e al corretto funzionamento delle funzioni cellulari e dei processi metabolici.
L’alimentazione nutriceutica con le alghe ha lo scopo di bilanciare la nutrizione incrementandone l’aspetto qualitativo e può essere di per se sufficiente a risolvere rapidamente alcuni aspetti patologici sintomatici, oppure fungere da rimedio diatesico (es. diatesi linfatica) e del terreno, piuttosto che di correzione dismetabolica.
L’alimentazione nutriceutica con le alghe offre un’opportunità a:
- individui sani che desiderano aumentare le probabilità di rimanere in salute per il resto della vita;
- persone disposte a cambiare modo di vita e di alimentazione per conseguire uno stato di buona salute;
- persone che già soffrono di malattie o di problemi fisici e mentali.
Quest’ultimo gruppo di persone potrà praticare l’alimentazione nutriceutica con le alghe come terapia, mentre per i primi due gruppi i programmi saranno integrati nel contesto di una medicina squisitamente preventiva.
Le malattie dovute ad un eccesso o a un difetto di alimentazione sono provocate dalla malnutrizione. Si può parlare quindi di malnutrizione per eccesso di apporto nutritivo (obesità, diabete e ipertensione), per difetto (gozzo, rachitismo e anemia), e per squilibrio (malattie cardiovascolari, tumori e carie dentali). Un malassorbimento delle sostanze nutritive può causare la Celiachia. Ci sono poi malattie provocate da disturbi psicologici che portano ad un cattivo rapporto col cibo come l’Anoressia e la Bulimia.
Gli squilibri biochimici che derivano da una nutrizione che nel corso di molte generazioni si è mantenuta scorretta, vengono espressi geneticamente come debolezze di uno specifico processo dell'organismo. Se i geni determinano la predisposizione a particolari problemi di salute, il lungo processo necessario perchè si manifesti una malattia cronica degenerativa può venire favorito, ma anche bloccato, dalle condizioni ambientali (cibo, aria, acqua, luogo) e dallo stile di vita (stress, fumo, attività fisica, ecc...). Pertanto a determinare se una predisposizione può trasformarsi in autentico fattore di rischio, dipende dalle consuetudini di vita del singolo.
L'inquinamento ambientale e l'impoverimento nutrizionale degli alimenti causato dalle coltivazioni intensive, concimazioni chimiche, raffinazioni, additivi vari, mangimi scadenti, sono eventi piuttosto recenti che non hanno dato tempo all'uomo di adattarsi perché i geni hanno bisogno di molto tempo per evolversi. L'alimentazione dell'uomo moderno abbonda di calorie vuote e lo stress, che aumenta il fabbisogno di micronutrienti, fa parte della vita quotidiana; pertanto le carenze sono molto diffuse e una cellula malnutrita funzionerà sempre più lentamente fino a deteriorarsi. I fenomeni ossidativi che si accumulano nelle cellule e l'acidosi tissutale sono la causa di molte malattie degenerative e dell'invecchiamento precoce. Gli antiossidanti alimentari e i cibi alcalini (come sono in particolar modo le alghe) svolgono un ruolo essenziale nel mantenimento dell'integrità della cellula. Le sostanze derivanti dall'alimentazione sono in grado di influenzare l'equilibrio cellulare e quindi anche dei sistemi che regolano l'intero organismo. Introducendo quotidianamente nell’organismo le alghe come cibo funzionale si mettono le cellule che compongono il corpo umano incondizione di funzionare al meglio delle loro possibilità consentendo di raggiungere il massimo potenziale di salute.
La natura non fornisce mai micronutrienti isolati, ma solo complessi sinergici, armonici, sì da ottenere il massimo dei risultati con il minimo degli sforzi.
I micronutrienti delle alghe non sono farmaci e neppure integratori. Essi sono, veri e propri alimenti che la natura ha adattato alle esigenze delle cellule viventi attraverso centinaia di milioni di anni di evoluzione.
Con i micronutrienti delle alghe quindi non si hanno controindicazioni; non sono minimamente pericolosi, non danno reazioni collaterali, non creano assuefazione, non producono fenomeni di sommazione nè di interazione con farmaci, prodotti medicinali omeopatici, fitoterapici o floriterapici che si stanno assumendo.
Se si forniscono costantemente all'organismo tutti i micronutrienti essenziali in quantità ottimale si potenzia l'attività dei sistemi enzimatici. Pertanto si può regolarizzare ed accresce l'azione degli ormoni, aumentare l'efficacia dei sistemi di difesa (sistema immunitario ed altri) e di ricostituzione dei tessuti, l'efficienza di tutti gli organi ed apparati dell'organismo. Si può avere addirittura una rigenerazione delle cellule e un vero e proprio ringiovanimento.
I micronutrienti delle alghe (veri e propri alimenti) sono oggi il mezzo più potente e più naturale per prevenire le disfunzioni ed il logorio dell'organismo, per prolungare la vita mantenendosi in buona salute.
Con l'assunzione regolare di tutti i principali micronutrienti si possono rafforzare le difese dell'organismo e la sua efficienza. L'organismo stesso provvederà, con i mezzi fornitigli dalla natura, ad eliminare le disfunzioni che lo affliggono o a tenerle a bada in modo da poter vivere meglio. E' per questo motivo che i micronutrienti servono, indirettamente, per combattere malattie assai diverse fra di loro, anche contemporaneamente.
L’integrazione nutriceutica con le alghe permette di raggiungere il massimo potenziale di salute utilizzando le molecole di cui è composto il corpo e che si trovano negli alimenti, essendo esse veri e propri alimenti concentrati. Gli effetti della alimentazione Nutriceutica con le Alghe non sempre sono immediati perché i nutrienti influiscono sul rinnovamento delle cellule e quindi dei tessuti organici con un’azione lenta e costante.
Se effettivamente si seguono i rapporti sinergici degli elementi essenziali si dovranno assumere solo micronutrienti effettivamente naturali, solo questa condizione assicura la presenza degli elementi in quantitativi di rapporti sinergici e garantisce inoltre che le vitamine, i minerali e gli oligoelementi contenuti e quindi utilizzati siano tutti bioassimilabili. Infatti, la ricerca scientifica ha appurato che quelle vitamine, minerali, oligoelementi di sintesi, la cui catena chimica differisce da quella di estrazione naturale, non vengono riconosciute dall’organismo come utili, di conseguenza questo non le assimila correttamente. L’alimentazione Nutriceutica con le Alghe, al contrario, garantisce micronutrienti assolutamente naturali, integri e biodisponibili.
La Terapia Nutriceutica con le Alghe è stata ampiamente sperimentata per diversi anni, con risultati estremamente efficaci, sia come prevenzione che come metodo di cura integrata per il riequilibrio fisico, psichico ed energetico.
https://www.algheria.it/nutriceutica-con-le-alghe
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30 agosto 2016
03 agosto 2016
Sensibilità al glutine non celiaca (NCGS)
Key Points
• La “Non Celiac Disease Gluten Sensitivity” (NCGS) è una sindrome complessa,
i cui aspetti epidemiologici, clinici e patogenetici restano da definire.
• L’assenza di biomarkers e la complessità delle procedure diagnostiche rendono
difficilmente stimabile la prevalenza e le caratteristiche della NCGS.
• La clinica dei pazienti che si ritiene siano affetti da NCGS è varia.
• Oltre al glutine, è possibile la responsabilità di altri componenti della dieta,
come i FODMAPs.
• Alcuni studi suggeriscono il possibile ruolo di un meccanismo immunitario,
seppur diverso quello attivo nella celiachia, ma non è possibile escludere al momento
alterazioni della motilità intestinale e/o della sensibilità viscerale
DEFINIZIONE ED EPIDEMIOLOGIA
La
“gluten sensitivity”, o più precisamente “non celiac gluten sensitivity
(NCGS)”,
è
una sindrome caratterizzata da sintomi intestinali ed extra-intestinali
correlati
all’ingestione
di alimenti contenenti glutine, in soggetti non affetti da malattia
celiaca (CD)
né allergici al grano (1).
Per
quanto sia inclusa nei disordini correlati all’ingestione di glutine, molti
aspetti
epidemiologici
e patogenetici sono ancora poco chiari.
In
effetti questa entità è conosciuta da decenni: già negli anni ’80 si
individuarono
gruppi
di pazienti non celiaci con diarrea cronica, la cui sintomatologia
migliorava
dopo eliminazione del glutine dalla dieta, e peggiorava dopo la sua
reintroduzione.
La
prevalenza nella popolazione generale è difficilmente stimabile, visto anche
l’aumento
di pazienti autodiagnosticatisi disturbi correlati al glutine che hanno
iniziato
la dieta senza glutine (DSG) senza indicazione medica.
Tuttavia
la NCGS sembra un disturbo piuttosto comune: in uno studio americano,
condotto
su 7.762 persone dai sei anni in su coinvolte nel “National Health
and
Nutrition Examination Survey” (NHANES), è stata stimata una percentuale
dello
0,55% di pazienti a DSG auto-prescritta, con una prevalenza più alta
nelle
donne e nei pazienti adulti.
Altri studi hanno mostrato prevalenze variabili tra
lo 0,6% e il 6%.
Gli importanti limiti di queste stime è che si tratta di dati spesso
provenienti
dai centri specialistici e in ogni caso la relazione tra sintomi gastrointestinali
e l’intake di glutine non è stata adeguatamente esplorata.
Il
gold standard diagnostico da tutti proposto è il challenge con glutine in
doppio
cieco
controllato con placebo (double-blind placebo-controlled challenge,
DBPC),
con comparsa di sintomi intestinali ed extraintestinali direttamente
correlabile al’ingestione
di glutine e la loro scomparsa con l’eliminazione
dello stesso dalla
dieta.
Questa
metodica non è tuttavia di facile esecuzione nella pratica clinica.
In pochissimi studi
i pazienti sono stati correttamente diagnosticati e ciò
rappresenta un
importante limite per molte delle informazioni disponibili
circa la clinica e
la patogenesi
di questa condizione.
Il
rapporto tra Irritable bowel Syndrome (IBS) e disturbi correlati al glutine è
complesso,
ed è suggerito un legame tra il disordine funzionale e la NCGS.
Secondo altri
autori, il ruolo del glutine nell’insorgenza dei sintomi andrebbe
ridimensionato, valorizzando
invece il peso di altri nutrienti, in particolare
gli oligoe monosaccaridi
fermentabili e polioli (FODMAPs), presenti nel
grano ma anche in
altri alimenti come alcuni vegetali.
La
relazione tra sintomi IBS-like e dieta priva di glutine non è chiara: uno
studio
randomizzato
e controllato non ha evidenziato effetti specifici o dose-dipendenti
del
glutine, una volta esclusi i FODMAPs, in una coorte di pazienti con NCGS
“autoriportata”
e sintomi IBS-like (2). Secondo alcuni sarebbe più corretto parlare
di
“sensibilità al grano non celiaca” (Non Celiac Wheat Sensitivity - NCWS).
CARATTERISTICHE DEI PAZIENTI
Le
caratteristiche dei pazienti con NCGS sono ancora poco chiare.
Uno studio
prospettico multicentrico
condotto in Italia in 38 centri, di cui
4 pediatrici, ha individuato, durante
un periodo di sorveglianza di un anno,
486 pazienti con NCGS, diagnosticati in
base alla comparsa di sintomi in seguito
all’assunzione di glutine, e alla loro
scomparsa in
seguito all’eliminazione del glutine
dalla dieta, ovviamente dopo aver escluso CD
e allergia al grano.
410 pazienti (84%) erano donne con un’età media di 38 anni
e con
più di due sintomi.
Tra i sintomi gastrointestinali, i due più frequenti erano
il gonfiore e
il dolore
addominale, seguiti da nausea, sensazione di reflusso, stomatite
aftosa.
Più
del 50% dei pazienti riferiva un alvo diarroico, il 24% costipazione e il 27%
caratteristiche dell’alvo
alternate. Tra i sintomi extraintestinali, i più frequenti sono
stati l’astenia
e la sensazione di malessere, il dolore osteo-artro-muscolare,
la perdita di
peso, l’anemia
e alcune manifestazioni cutanee.
Per quanto riguarda i sintomi
neuropsichiatrici, circa
il 54% dei pazienti riferiva
cefalea, seguita da ansia e senso di mente annebbiata
e da depressione.
Il 95% di questi pazienti riferiva insorgenza dei sintomi ogni
volta o quasi
che assumeva cibo contenente glutine.
In questo studio è stata
valutata anche
l’associazione con altre patologie:
l’associazione più frequente era con IBS, rilevata
nel 47% dei pazienti,
mentre intolleranze alimentari e allergie ad inalanti,
alimenti o
metalli
sono state individuate nel 35% e 20% dei pazienti rispettivamente.
In questo
studio è stata confermata la mancanza di associazione con l’aplotipo
HLA, mentre
il marker immunitario contro la gliadina più frequentemente
individuato è rappresentato
dagli anticorpi antigliadina IgG di prima generazione
(AGA IgG), riscontrato nel
25% dei pazienti. Una biopsia duodenale, quando
effettuata, presentava un
Marsh 0 nel 69% dei casi e un Marsh 1 nel 31%.
Nei diversi centri il rapporto
tra le
nuove diagnosi di NCGS e celiachia durante
lo studio è stato di 1,15:1,
passando a 0,29:1
considerando soltanto le casistiche
dei centri pediatrici (3).
Lo studio è
interessante perché
offre uno spaccato di come è percepita oggi
la NCGS, ma va sottolineato come
tutte queste informazioni provengano da
pazienti non sottoposti ad adeguato DBPC.
In
uno studio condotto su popolazione adulta nel 2012 in cui gli autori
preferiscono
l’espressione
NCWS (4), sono stati analizzati 276 pazienti con una sintomatologia
IBSlike che
avevano ricevuto diagnosi di NCWS in base all’esecuzione di un
DBPC, con l’esclusione
di altre diagnosi mediante metodiche di laboratorio,
radiografiche ed
endoscopiche.
I
pazienti sono stati sottoposti a un DBPC per grano e latte. Durante il
periodo
di studio sono state registrate la comparsa dei sintomi tramite questionario
validato,
e la loro gravità mediante scala visiva analogica. I pazienti positivi al
challenge erano
divisibili in due gruppi, il primo caratterizzato dalla sola NCWS,
il secondo caratterizzato
da ipersensibilità alimentari multiple. Tutti i pazienti hanno
mostrato un aumento
della sintomatologia (gonfiore, dolore addominale, modifica
della consistenza delle
feci) in seguito all’assunzione di grano, ma nessuno ha mostrato
aumento degliindici
infiammatori. Nessuno dei pazienti con NCWS mostrava
atrofia dei villi. I
pazienti che
erano pure HLA-DQ2 e/o DQ8 positivi appartenevano
principalmente al primo
gruppo e mostravano infiltrazione linfocitaria maggiore
rispetto ai negativi, inoltre
circa un terzo delle biopsie presentava la produzione
di anticorpi
antiendomisio (EMA)
nel mezzo di coltura, mentre i pazienti del
secondo gruppo mostravano
frequentemente un
infiltrato eosinofilo.
Inoltre i pazienti con sola NCWS presentavano una
maggior frequenza di anemia
e perdita di peso rispetto ai pazienti con
intolleranze multiple,
mentre in questi ultimi
era più frequente la coesistente storia di atopia.
Viste
le caratteristiche istologiche dei pazienti del primo gruppo, è possibile
ipotizzare
che
alcuni pazienti con NCWS rientrino piuttosto nello spettro della CD.
Gli
effetti del glutine su pazienti con IBS sono stati indagati in uno studio del
2013 (5):
45
pazienti affetti da IBS con fenotipo diarroico sono stati randomizzati in due
gruppi
per
confrontare gli effetti della dieta con e senza glutine sulla motilità e
permeabilità
intestinale.
I pazienti HLA DQ2/8 positivi a dieta con glutine presentavano più movimenti
intestinali,
un aumento della permeabilità e un’alterazione dell’espressione delle
proteine
delle giunzioni cellulari.
Ci
sono minori informazioni sulla popolazione pediatrica, anche se sembra che
anche
i
bambini presentino come sintomi più frequenti dolore addominale, diarrea
cronica,
astenia
e gonfiore, e spesso una positività degli AGA IgG (6).
Per
quanto riguarda gruppi di pazienti particolari, l’efficacia della DSG nella
popolazione
autistica
non è stata provata da studi randomizzati e controllati. In uno studio
coinvolgente
140 bambini di cui 37 con autismo, 27 parenti sani di autistici e 76 controlli,
la
popolazione con autismo mostrava livelli di AGA IgG significativamente più
alti
rispetto ai controlli sani e ai parenti, mentre non si registravano differenze
tra i
markers
sierologici specifici della CD né una chiara associazione tra livelli di AGA
IgG
e
HLA. I pazienti autistici con sintomi gastrointestinali associati presentavano
livelli di
AGA
IgG significativamente più alti rispetto agli autistici senza sintomi
gastrointestinali.
I
risultati di questo studio suggeriscono la possibilità che nella popolazione
autistica
agisca
un meccanismo immunitario coinvolgente la gliadina ma diverso dai processi
coinvolti
nella CD. Per ammissione stessa degli autori, questi dati non
necessariamente
indicano la presenza di sensibilità al glutine nella popolazione autistica,
ma
piuttosto confermano l’assenza di correlazione tra CD e autismo (7).
PATOGENESI
Le
informazioni sui meccanismi patogenetici della NCGS provengono in larghissima
parte
da studi condotti su soggetti non sottoposti ad appropriate procedure di
challenge.
In
uno studio condotto da Sapone et al (8) coinvolgente 26 pazienti con NCGS, 42
pazienti
con
CD attiva e 39 controlli, i pazienti con NCGS non presentavano, a differenza
di
pazienti con CD attiva, aumento della permeabilità intestinale, che anzi
risultava significativamente ridotta
rispetto ai controlli sani; parallelamente si osservava su campioni
bioptici
duodenali un aumento della claudina 4, una proteina coinvolta nelle giunzioni
cellulari.
Per quanto riguarda i markers immunitari, i campioni dei soggetti con
NCGS
presentavano mediamente un aumento dei linfociti intraepiteliali CD3 rispetto
ai
controlli, mentre il livello dei linfociti γδ era paragonabile ai controlli, probabilmente
per
un meccanismo immunitario diverso rispetto a quello coinvolto nella CD.
Valutando
l’espressione
dei Toll Like Receptors (TLRs) 1, 2 e 4, coinvolti nell’immunità innata
e
noti per essere aumentati nella CD, si è visto che il TLR2 era aumentato nelle
biopsie
dei
NCGS rispetto ai controlli, così come era presente una riduzione
nell’espressione di
FOXP3
e TGFB1, due molecole marker delle cellule T regolatorie. Anche in questo
studio,
circa il 50% dei pazienti con NCGS presentava una positività per gli AGA. Questi
dati
suggerirebbero che CD e NCGS siano due entità distinte con diverse risposte
mucosali
al glutine. Il ruolo dell’immunità nella NCGS è stato esplorato valutando anche
l’espressione
di IFN-γ, IL-8, TNF-α, MCP-1, Hsp-27 e Hsp-70, molecole coinvolte
nell’immunità
innata e adattativa, di MxA, proteina effettrice del pathway dell’IFN-α,
e
delle cellule CD3, in biopsie di 30 pazienti con NCGS HLA-DQ2 positivi e 15
pazienti
con
CD, tutti a DSG, ottenute prima e dopo un challenge in aperto al glutine.
Nello
studio in questione (9) si confermava un aumento dei linfociti CD3 nella mucosa
dei
pazienti con NCGS indipendentemente dal challenge. L’IFN-γ, che nello studio di
Sapone
risultava più basso nei NCGS rispetto ai CD, aumentava nelle biopsie dei
pazienti
con
NCGS in risposta al challenge con glutine, mentre era costitutivamente
aumentato
nelle
biopsie dei pazienti con CD. Alcuni autori hanno infine riportato una
risposta
immunitaria innata scatenata da componenti del grano diversi dal glutine, come
gli
amylase/trypsin inhibitors (ATIs) (10), ed è stato ipotizzato un loro ruolo
nella
genesi
della NCGS.
CONCLUSIONI
L’assenza
di biomarkers e in molti casi la inadeguatezza delle procedure
diagnostiche rendono difficilmente stimabile la prevalenza e le caratteristiche
della NCGS. Il ruolo del glutine è ancora da definirsi, così come i meccanismi
immunitari eventualmente coinvolti.
diagnostiche rendono difficilmente stimabile la prevalenza e le caratteristiche
della NCGS. Il ruolo del glutine è ancora da definirsi, così come i meccanismi
immunitari eventualmente coinvolti.
Va
infine sottolineato il pericolo, soprattutto nella popolazione adulta, che
l’autodiagnosi di NCGS e l’autoprescrizione della DSG impedisca la corretta
diagnosi di CD.
l’autodiagnosi di NCGS e l’autoprescrizione della DSG impedisca la corretta
diagnosi di CD.
Bibliografia
1. Catassi C, Bai JC, Bonaz B et al.
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disorders. Nutrients. 2013 Sep 26;5(10):3839-53.
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of having non-celiac gluten sensitivity. BMC Med. 2014
May;12:85.
4. Carroccio A, Mansueto P, Iacono G
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placebo-controlled challenge: exploring a new clinical
entity. Am J Gastroenterol. 2012
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5. Vazquez-Roque MI, Camilleri M,
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frequency and intestinal function. Gastroenterology.
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6. Francavilla R, Cristofori F,
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7. Lau NM, Green PH, Taylor AK et
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with Autism. PLoS One. 2013 Jun 18;8(6):e66155.
8. Sapone A, Lammers KM, Casolaro V
et al. Divergence of gut permeability and mucosal immune
gene expression in two gluten-associated conditions:
celiac disease and gluten sensitivity. BMC Med.
2011 Mar 9;9:23.
9. Brottveit M, Beitnes AC,
Tollefsen S et al. Mucosal cytokine response after short-term gluten challenge
in celiac disease and non-celiac gluten sensitivity.
Am J Gastroenterol. 2013 May;108(5):842-50
10. Junker Y, Zeissig S, Kim SJ et
al. Wheat amylase trypsin inhibitors drive intestinal inflammation via
activation of toll-like receptor 4. J Exp Med. 2012
Dec 17;209(13):2395-408.
Corresponding
Author
RICCARDO TRONCONE
Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali
Sezione di Pediatria
Università degli Studi di Napoli Federico II
Via Pansini, 5 - 80131 Napoli
Tel. + 39 081 7463383
Fax + 39 081 5469811
E-mail: troncone@unina.it
11 luglio 2016
AI NUTRIZIONISTI PIACE LA TIMILIA
Articolo a cura della
dott.ssa Cacciola Maria Stella
Biologa Nutrizionista
Perché ai
Nutrizionisti piace la Timilia?
Sicuramente
perché è buona, fa bene alla salute e favorisce la salvaguardia della
biodiversità!
Ma cerchiamo
di capire che cosa è la Timilia, anche chiamata Tumminia o Triminia e perché è salutare per
noi, per l’ambiente e, perché no, anche per l’economia Siciliana!
La Timilia è
una graminacea cioè un grano (Triticum Durum) che viene annoverato fra i “Grani
Antichi” in particolare “Siciliano” perché è una varietà che si coltiva da
secoli esclusivamente in Sicilia proprio per le caratteristiche climatiche,
infatti la Timilia, che è un “grano estivo”, si semina in primavera e si miete
in giugno ed ha bisogno di caldo secco e di nessun tipo di trattamento di tipo
antiparassitario o anticrittogamico quindi è biologico per natura, ma rispetto
al grano moderno, il Creso e tutte le
varietà da esso ottenute, la spiga più piccola produce meno farina e la resa
per ettaro è minore.
Fu proprio
la maggiore resa per ettaro e la bassa statura, più facile da trebbiare con le
macchine, che dagli anni ’70 portò l’affermazione del Creso, nelle sue varietà, come unica tipologia di grano prodotto e
coltivato in Italia e nel mondo.
Il Creso è
nato nel 1974 per “migliorare”, irradiando con raggi X nel Centro di Studi Nucleari del CNEN
della Casaccia (Roma), un grano di ottima qualità come il Senatore Cappelli al
fine di ottenere una qualità con caratteristiche di maggiore forza glutinica e
resa per ettaro. Per molti oggi il Creso,
alla luce dei disturbi correlati con il consumo di questo grano in questi 40
anni, è considerato “un peggioramento” che dovrebbe essere eliminato dalle
nostre tavole o comunque utilizzato molto poco.
La Timilia è
quindi un grano duro con cariosside piccola dal quale si produce una farina di
semola ricca di Germe di grano, Sali minerali e Vitamine del gruppo B, fibra (8
-9 %) e proteine (13-15%) anche più delle varietà moderne ma con minore indice
glutinico cioè forza della maglia glutinica, per capirci la manitoba che è una farina di un grano tenero
americano con un contenuto proteico del 12- 13 % ma una forza glutinica molto
alta, infatti viene usata spesso per fare la pizza sprint casalinga ma anche mescolata
ad altre farine per accelerare la lievitazione del pane e portarlo sulle nostre
tavole in un paio di ore al massimo, lievitazione e cottura compresa!
Al contrario
un pane prodotto con farina di semola di grano duro Timilia deve essere
lievitato molte ore sia che si utilizzi lievito di birra, anche se non è il più
indicato, sia che si usi la pasta madre, migliore scelta perché provoca una
lievitazione lenta, uniforme, naturale ed ad alta digeribilità.
Il Glutine, questo sconosciuto ma tanto
odiato elemento costituente delle farine di quasi tutti i cereali (escluso
riso, mais, grano saraceno) in realtà è un complesso di proteine che a secondo
della qualità può avere caratteristiche chimico-fisico diverse e dare ai
prodotti consistenze e digeribilità differenti. Non è quindi la quantità di Glutine ad essere importante ai fini
della salute ma la qualità e quindi l’Indice di Glutine che per i Grani
Antichi è abbastanza basso, in genere, molto basso in particolare per la Timilia.
E' proprio
il tipo di proteine che costituiscono il glutine ad attrarre i ricercatori che
non di rado hanno trovato nei campioni di “Grani Antichi” conservati presso le
banche del germoplasma presenti nel mondo, varianti proteiche molto rare o
addirittura assenti nelle moderne varietà.
Ringraziamo
alcuni contadini/imprenditori e più di tutti la Stazione Consorziale Sperimentale di Granicoltura per
la Sicilia che ha sede a Caltagirone che provvedere alla conservazione e
mantenimento del germoplasma di specie mediterranee, oltre molti altri compiti.
Infatti
grazie a loro da qualche anno il grano
Timilia e varietà come il Russello,
Biancolilla, Bidì, Perciasacchi, Maiorca
e molti altri sono nuovamente disponibili per il consumo locale ed anche
nazionale.
La loro
coltivazione e commercializzazione permette a tutti noi molti vantaggi in
termini di salute ma anche perché ci permette di recuperare un’economia locale
che innesca un volano di benessere per tutti!
Coltivare, molire
a pietra, trasformare in prodotti da forno o in pasta i “nostri Grani Antichi Siciliani”
sta portando l’economia siciliana al centro di una realtà che coinvolge molti
mestieri quasi dimenticati e nuove professionalità, restituendoci quel ruolo
primario di soggetti artefici della nostra salute e della nostra economia visti
come integrati e non dicotomici.
Tre anni fa
il Centro Studi di medicina integrata (CESMI) di Palermo, in collaborazione con
l’Ordine dei Chimici e Legambiente di Palermo, ha deciso di valutare la Timilia
su 30 volontari sofferenti di disturbi dell’apparato gastrointestinale
comunemente chiamate “coliti” o più correttamente Sindrome del Colon Irritabile.
È stata esclusa la celiachia mediante test specifici ed è stata valutata
mediante test genetico HLADQ2/DQ8 la Sensibilità Non Celiaca al Glutine (GSNC),
che è stata riscontrata nella maggior parte dei volontari.
Tutti coloro
che hanno aderito allo studio osservazionale per 30 giorni hanno sostituito la
pasta ed il pane comune con prodotti a base di farina di Timilia. Tutti hanno
avuto la remissione dei sintomi.
I
particolari dello studio sono presenti nel sito del CESMI di Palermo.
Due anni fa
a settembre la dott.ssa Gabriella Pravatà, medico presidente del CESMI ha presentato
questo studio al Convegno sui Grani Antichi Siciliani che si è tenuto ad Enna,
alla presenza di produttori di grano, mugnai, pastificatori e agronomi, in
quell’occasione ero stata invitata anch’io come biologa nutrizionista.
Per me è
stata una vera rivelazione! Ho iniziato a consigliare il pane e la pasta di
Timilia ai pazienti con disturbi gastrointestinali, all’inizio con molte
difficoltà di reperimento ma via via con maggiore semplicità!
Credevo che
lo studio presentato avrebbe avuto maggiore risalto nell’ambiente medico
siciliano, invece ho scoperto che è più conosciuto dai colleghi nutrizionisti
fuori dalla Sicilia che dai Siciliani.
Lo studio ha
dimostrato che la Timilia è un grano adatto per fare pane, pasta, biscotti
consumabili da persone sofferenti di disturbi gastrointestinali non celiaci,
purtroppo gli altri grani antichi non dimostrano di avere le medesime
caratteristiche pur distinguendosi per il gusto, la più facile lievitazione e
maggiore plasticità di impiego, sono infatti più adatti per fare pizza, brioche
o dolci.
Se dovessi
fare un distinguo direi “Timilia sta a patologie gastrointestinali mentre Altri
Grani Antichi stanno a prevenzione”.
Quindi
possiamo dire che abbiamo trovato l’oro, la pietra filosofale alchemica, nel
grano Timilia ma non ne comprendiamo le grandi potenzialità e lo stiamo lasciando
in mano ad interessi commerciali che non si integrano con quelli scientifici,
costretti ad assistere impotenti a panificazioni di basso livello con l’impiego
di farina di Timilia al 20 – 30 %, con “lievitazione naturale” di poche
ore prodotta con il lievito
di birra, che provoca gonfiori addominali ed intolleranze alimentari, anziché
con l’uso della Pasta Madre.
È necessario
che diventiamo consumatori più consapevoli, perché la “Scelta” è l’unica arma
di cui disponiamo. La “Scelta” può provocare terremoti commerciali come è già
avvenuto di recente con l’Olio di Palma.
E per coloro
che amano fare in casa come me, un piccolo regalo: come fare il Pane di Timilia
in casa!
INGREDIENTI
500 g di
semola di Timilia o Tumminia integrale
Mix di semi
di Sesamo, Canapa, Chia, Lino, Girasole
200 g di
lievito di Pasta Madre
400 ml
d’acqua
14 g di sale
PREPARAZIONE
DELLA RICETTA
1 •
Sciogliete la pasta madre nell’acqua, poi unite la farina. Lavorate sino a
ottenere un impasto liscio e omogeneo. Aggiungere il sale e 2/3 del mix di
semi. Impastare qualche altro minuto. Lasciatelo riposare per 6-8 ore coperto
da un panno umido, in primavera o in estate ma in inverno si può favorire la
lievitazione tenendolo nel forno spento con la luce accesa.
2 • Ricavate
2 pagnottelle o dei panini, formatele a vostro piacere e lasciatele riposare
per 2 ore in ambiente tiepido coperte da un panno umido.
3 • Dopo
avere cosparso la superficie con i rimanenti semi, cuocete in forno preriscaldato
a 220 °C per 30 minuti, abbassate la temperatura a 180° C e tenere in forno
ancora 15 minuti, infine lasciare in forno spento per mezz’ora.
Il pane di
Timilia è pronto e può essere consumato con un filo di marmellata o miele per
una colazione energetica o con un’insalata mista ed una mozzarella per un
pranzo completo e veloce.
Buona
salute!
Dott.ssa
Cacciola Maria Stella
Biologa
Nutrizionista
Esperta in
Intolleranze Alimentari
Cell.
3339959391
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