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L’interazione tra dieta e microbiota intestinale ha un ruolo critico nella regolazione del metabolismo energetico. Se gli effetti delle fibre sono ampiamente studiati, quelli delle proteine sono poco conosciuti.
Cosa aggiunge questa ricerca In questo studio è stato approfondito l’effetto sul microbiota intestinale di un supplemento ad alto contenuto proteico vs regime normoproteico in 107 soggetti sottoposti a dieta a restrizione calorica.
Conclusioni Il supplemento proteico ha indotto la perdita di grasso viscerale e, di contro, l’attivazione del metabolismo degli amminoacidi mediato dal microbiota.
Durante un percorso di dimagrimento, contrariamente a quanto si possa pensare, un supplemento di proteine potrebbe avere effetti positivi nella riduzione del grasso viscerale con, di contro, l’attivazione del metabolismo degli amminoacidi mediato dal microbiota intestinale.
È quanto concludono Pierre Bel Lassen e colleghi della Sorbonne University (Parigi) in uno studio di recente pubblicato su Scientific Reports.
Microbiota e calorie assorbite
È cosa ormai nota come l’obesità rappresenti, soprattutto per il mondo occidentale, una delle problematiche di salute pubblica più diffuse e preoccupanti non solo per la patologia in sé, ma anche per le potenziali conseguenze quali diabete di tipo 2, disturbi cardiovascolari ecc.
Sono quindi molte le strategie di intervento, dalla correzione dello stile di vita alla via chirurgica, per contrastarla. Una corretta alimentazione e attività fisica rimangono però le armi vincenti.
Ad avere un ruolo importante nel prevenire e/o correggere l’aumento di peso anche il microbiota intestinale agendo sul metabolismo di molti dei nutrienti che mangiamo.
Si è visto però come non sia solo questione di quantità di cibo e calorie, ma anche di qualità e di come, indipendentemente dalla dieta, la popolazione batterica sia in grado di influenzare la massa adiposa viscerale. In termini di macronutrienti, mentre l’impatto delle fibre è stato approfondito esaustivamente, meno si conosce (e talvolta in maniera contradittoria) di quello delle proteine.
Risultati dello studio
A tal proposito, i ricercatori hanno qui voluto capirne meglio le dinamiche sia a livello tassonomico sia funzionale in 107 soggetti obesi sottoposti a regime ipocalorico per tre mesi finalizzato alla perdita del peso. Un regime normoproteico (proteine da fonte vegetale; n=46) è stato quindi confrontato con uno ad alto contenuto di proteine (n=48) derivate dal latte valutandone sia l’eventuale riduzione di grasso viscerale sia la riorganizzazione batterica fonte dipendente.
Di seguito i passaggi e i risultati principali.
Dall’analisi della composizione corporea e di rischio cardiometabolico dopo l’eventuale supplemento proteico si è visto come:
rispetto al gruppo normoproteico (CP), quello con un maggiore contenuto di proteine (IP) ha mostrato una diminuzione di grasso viscerale medio rispetto al baseline (-8% vs -9,7%). La significatività è stata raggiunta tuttavia da solo quei pazienti strettamente aderenti al piano di intervento (Per Protocol o PP)
la massa magra non ha mostrato alterazioni nel gruppo IP, diminuita invece nella controparte CP
la pressione sistolica e diastolica, il BMI, la circonferenza addominale, il glucosio a digiuno, il colesterolo totale, LDL e i livelli trigliceridi hanno mostrato un marcato decremento rispetto al baseline in maniera analoga nei due gruppi
diminuzione marcato nel gruppo IP invece di marcatori infiammatori quali proteina-C reattiva e TNF alfa
di contro, livelli di emoglobina glicata (HbA1c) è risultata minore nel gruppo CP
Per un sottogruppo (n=53) è stato quindi analizzato il microbioma fecale dal punto compositivo e funzionale dimostrando come:
la perdita di massa viscerale è associata a un aumento della ricchezza batterica
indipendentemente dal gruppo (IP o CP), soggetti con una bassa conta genetica di base hanno mostrato un maggiore incremento di diversità
il supplemento proteico ha impattato solo parzialmente sulla diversità (alpha-diversity) e composizione batterica
influenza trascurabile anche dalla fonte di proteine (animale o vegetale) in termini di alpha- e beta-diversity
al termine dello studio, 8 pazienti (15%) hanno cambiato il loro enterotipo seppur in maniera distribuita tra i due gruppi
alcune modulazioni tassonomiche sono invece state registrate più o meno gruppo specifiche. Tra queste, Akkermansia spp. ha mostrato di aumentare con la restrizione calorica in entrambi i gruppi, diminuiti invece i bifidobatteri; seppur in maniera non statisticamente significativa, Christensenella spp. e Lactobacillus sp. sono aumentati nel gruppo IP, Turicibacter spp. nella controparte
il supplemento proteico ha stimolato il metabolismo degli aminoacidi. Dei 12 pathways (o moduli KEGG) alterati, la maggior parte è infatti riconducibile alla catena di sintesi e degradazione amminoacidici (ciclo dell’urea, biosintesi di biotina ecc.) in maniera direttamente correlata alla percentuale di proteine assunte. La sintesi di cisteina, treonina, isoleucina ecc. è comunque risultata superiore alla quota degradata (nel gruppo IP)
Effetti sul metabolismo proteico
Da ultimo, per confermare i cambiamenti metagenomici osservati nel gruppo IP, i ricercatori hanno valutato in maniera più mirata gli effetti di una frazione di proteine estratta sul microbiota intestinale di entrambi i gruppi in vitro applicando un approccio di fermentazione.
L’esposizione alle proteine ha indotto in entrambi i casi un aumento del metabolismo aminoacidico con un effetto moderatamente gruppo-specifico. La differenza osservata nei pazienti potrebbe quindi essere in parte dovuta alla ridotta digeribilità delle proteine nel gruppo IP. Maggiori, inoltre, gli effetti in fase di degradazione rispetto alla sintesi.
Conclusioni
Per riassumere dunque, una dieta ipocalorica e ricca in proteine sembrerebbe aiutare nel ridurre la massa grassa viscerale senza intaccare quella magra.
La diversità metagenomica e le alterazioni funzionali in favore al metabolismo degli aminoacidi sono risultati indici di responsività alla dieta. Minori invece i cambiamenti in termini di composizione batterica. Ulteriori approfondimenti sono tuttavia necessari.
Silvia Radrezza
Laureata in Farmacia presso l'Univ. degli Studi di Ferrara, consegue un Master di 1° livello in Ricerca Clinica all' Univ. degli Studi di Milano. Borsista all'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS dal 2017 al 2018, è ora dottoranda in Scienze Farmaceutiche presso l'Univ. degli Studi di Milano.
Lipedema: È una patologia reale? Cosa possiamo fare per riconoscerlo e curarlo?
Questo articolo nasce per divulgare questa affezione, il Lipedema, che, se pur non abbia ancora il riconoscimento di patologia, acquisisce giornalmente connotati sempre più chiari e scientificamente validati e nella speranza che sempre più i medici, specialmente quelli di medicina generale ed i pediatri guardino con occhi diversi le giovani donne e le adolescenti con problemi di sovrappeso e con squilibri ormonali, in modo particolare tutte quelle con familiarità per Obesità Ginoide aggravata da Linfedema giacché oggi ci sono prove serie sulla “ereditarietà” o comunque sulla predisposizione genetica del Lipedema, quasi esclusivamente in linea femminile.
Mi sembra necessario chiarire subito i fondamenti di questa affezione per aiutare almeno a dare una connotazione chiara.
A tal riguardo preferisco utilizzare una definizione semplice e completa che ho trovato e che di seguito cito: “Il Lipedema è un disturbo cronico progressivo che colpisce quasi esclusivamente le donne. Clinicamente, è caratterizzato da una distribuzione anomala del tessuto adiposo, con conseguente sproporzione pronunciata tra estremità e tronco. Tale sproporzione è causata da un aumento localizzato e simmetrico del tessuto adiposo sottocutaneo negli arti inferiori e/o superiori. Altre scoperte includono edema (aggravato dall'ortostasi), nonché facile ecchimosi a seguito di traumi minori e, tipicamente, aumento della dolenzia con la pressione”
Oggi è più facile diagnosticare il Lipedema ed aiutare efficacemente chi ne è affetto per l’esistenza di Linee Guida e Documenti di Consenso Statunitensi ed Europei per cui molti professionisti hanno intrapreso percorsi di formazione per la diagnosi ed il trattamento specifico.
Un aspetto da non trascurare è, purtroppo la mancanza ancora di un approccio integrato e coordinato fra più figure professionali ed il riconoscimento come patologia dal SSN.
In questo momento purtroppo, le donne affette da Lipedema, sono infatti tristemente consapevoli di avere poche possibilità di veder migliorare la propria situazione patologica proprio per la mancanza di strutture adeguate e convenzionate con il SSN. Questa importante lacuna nell’offerta sanitaria pubblica, non fa altro che addossare la gestione e la cura della patologia sulle sole spalle delle donne che ne soffrono e delle loro famiglie, esponendole a sacrifici di natura sia economica che psicologica.
È fondamentale che la Sanità territoriale acquisisca piena consapevolezza del problema e che gli stessi medici di famiglia si aggiornino al meglio su questa patologia che ha spesso un esordio precoce.
Recenti studi condotti dal gruppo di lavoro del Pr Sandro Michelini, Ospedale San Giuseppe di Marino (RM), hanno portato ad una scoperta illuminante in tal senso: sarebbe proprio un gene, e sicuramente anche più di uno, infatti, ad avere una corresponsabilità determinante nell’esordio della patologia e questo è evidente anche alla luce del riconoscimento della patologia anche in ben 4 generazioni di donne della stessa famiglia senza coinvolgimento se non come portatori sani dei maschi della stessa.
Approcciarla in modo serio e documentato diventa quindi fondamentale per giungere quanto più precocemente possibile ad una diagnosi definitiva che consenta a tutte le giovani donne di intraprendere un percorso corretto e personalizzato al fine di contenere al meglio i sintomi e l’evoluzione.
L’approccio terapeutico ottimale al Lipedema è sostanzialmente, almeno in gran parte, contenitivo ed è quindi basato sul trattamento nutrizionale, il linfodrenaggio manuale di tipo Vodder, i bendaggi e l’elastocompressione. Chiaramente tutti questi trattamenti vanno personalizzati ed eseguiti da personale altamente specializzato e con documentata esperienza.
Il punto estremo e finale rimane ancora oggi purtroppo la terapia chirurgica specializzata che comunque oggi è sempre più integrata con gli altri approcci terapeutici.
Attualmente la dieta insieme con l’attività fisica moderata e personalizzata, il massaggio Vodder e l’elastocompressione possono essere molto importanti per il controllo dell’affezione sin dall’esordio, che solitamente avviene nel periodo adolescenziale con aggravamenti in gravidanza e in menopausa.
La dieta chetogenica e la dieta Low Carb, ben conosciuta come DIETA RAD (Rare Adipose Disorders), con un basso apporto di carboidrati, in particolare da cereali, frutta e patate e particolarmente incentrata sull’utilizzo di carni bianche, uova, pesce, legumi e verdure fresche di stagione, oggi è riconosciuta a livello internazionale ed ha come obiettivo specifico soprattutto quello di regolare i livelli di insulina e ridurre l’infiammazione mirando quindi ad un riequilibrio ormonale.
Il compito attuale e principale della dietoterapia moderna consiste prevalentemente nella regolazione e controllo dei livelli di insulina, in considerazione soprattutto della testimonianza dei tanti studi scientifici che correlano l’infiammazione alla gran parte delle patologie a carattere cronico e all’iperinsulinemia prima e al diabete successivamente, determinati dall’eccesso di carboidrati presenti nell’alimentazione quotidiana.
Risulta importante consumare in modo ridotto cibi confezionati e prodotti alimentari “industriali” che sono eccessivamente carichi di zuccheri, di grassi trans e dei cosiddetti “interferenti endocrini”, sostanze queste ultime dimostrano di interferire con l’equilibrio ormonale naturale e nel tempo arrivare a provocare diabete e patologie endocrine.
Credo profondamente che solo la diagnosi precoce del Lipedema possa garantire nuove ed affidabili prospettive di cura a tutte le donne che ne hanno bisogno.
a cura della dott.ssa Cacciola Maria Stella - biologa nutrizionista
È da tempo che penso di scrivere un articolo sul Lipedema, perché da quando ne ho scoperto l’esistenza ho guardato con altri occhi tutte le donne che si presentano nel mio studio per una dieta. Ho iniziato a cercarlo nei loro corpi ma ancor di più nelle loro storie che raccontano di vite dedicate al raggiungimento di quel dimagramento localizzato, promesso da molti ma mai raggiunto.
Ho iniziato perciò a porre domande, per provare a capire il percorso fatto da ciascuna di loro, per non deluderle anch’io con vane promesse ma per provare ad aiutarle a migliorare il proprio aspetto fisico e la propria condizione di dolore e frustrazione senza aggiungere anche la mia incomprensione.
i vari stadi del Lipedema
Mi sembra opportuno chiarire subito le linee fondamentali di questa patologia per aiutare chiunque non la conosca almeno ad iniziare a capire di cosa si tratta e cominciare a comprendere anche un eventuale coinvolgimento personale o familiare. A tal riguardo preferisco utilizzare una definizione semplice e completa che ho trovato e che di seguito cito: “Il Lipedema è un disturbo cronico progressivo che colpisce quasi esclusivamente le donne. Clinicamente, è caratterizzato da una distribuzione anomala del tessuto adiposo, con conseguente sproporzione pronunciata tra estremità e tronco. Tale sproporzione è causata da un aumento localizzato e simmetrico del tessuto adiposo sottocutaneo negli arti inferiori e/o superiori. Altre scoperte includono edema (aggravato dall’ortostasi), nonché facile ecchimosi a seguito di traumi minori e, tipicamente, aumento della dolenzia con la pressione”
Ciò premesso desidero prima di ogni cosa raccontare il mio primo incontro ufficiale con il Lipedema che è avvenuto grazie ad una giovane donna, Maria.
Maria era stata in Spagna per ricevere una diagnosi precoce di Lipedema e sottoporsi così ad un primo intervento chirurgico. Tornata in Italia, Maria si è messa subito in cerca di un nutrizionista che fosse a conoscenza della patologia e che le prescrivesse una dieta chetogenica mirata. Io facevo già diete chetogeniche da qualche hanno ma non conoscevo affatto questa condizione patologica, anzi ad essere sincera la conoscevo benissimo perché avevo visto molte donne soffrirne ma non sapevo di cosa si trattasse. E così, proprio col supporto di Maria che mi ha dato una mano con le traduzioni, ho cominciato ad approfondire l’argomento raccogliendo documentazione ed accedendo a studi specifici sull’argomento, pubblicati soprattutto in lingua spagnola o inglese.
Ho così scoperto, ad esempio, che la dieta chetogenica cui facevano riferimento quegli studi non corrispondeva appieno al trattamento chetogenico che noi utilizziamo ma che era piuttosto una dieta low carb con un basso apporto di carboidrati, in particolare di cereali, frutta e patate e particolarmente incentrata sull’utilizzo di carni bianche, uova, pesce, legumi e verdure fresche di stagione. Questo tipo di trattamento è oggi noto come DIETA RAD (Rare Adipose Disorders), una dieta di tipo antinfiammatorio riconosciuta a livello internazionale che mira ad un riequilibrio degli ormoni, riducendo drasticamente ma senza eliminarli del tutto gli alimenti ricchi di carboidrati ed eliminando del tutto lo zucchero, in tutte le sue varianti (bianco, grezzo, fruttosio, di canna, di cocco, di agave, miele etc…), per il suo elevato indice glicemico.
Questo tipo di approccio nutrizionale ha come obiettivo specifico soprattutto quello di regolare i livelli di insulina, l’ormone più importante e purtroppo anche più pericoloso, che viene prodotto dal pancreas quando il livello di glucosio nel sangue va oltre l’indispensabile ed il necessario. Quindi se il livello del glucosio nel sangue sale oltre il valore basale, il pancreas riceve un segnale dal cervello affinché rilasci questo specifico ormone che lo aggancia e lo trasporta a tutte le cellule. L’insulina contiene praticamente la “chiave” capace di aprire le porte di tutte le cellule, per entrare ed affidare gli zuccheri a chi all’interno ha la funzione di trarre da essi l’energia necessaria alle cellule per svolgere tutte le proprie funzioni.
Le varie cellule, una volta ricevuto il glucosio, lo utilizzano ciascuna secondo le proprie necessità e peculiarità. Le cellule muscolari, ad esempio, lo trasformano in energia per i muscoli che, così alimentati, svolgono al meglio le loro funzioni; le cellule neuronali utilizzano il glucosio per fornire l’energia necessaria al trasporto di tutte le informazioni importanti che viaggiano sù e giù dal cervello fino alle aree più periferiche del corpo umano (mani, piedi, e tutti gli organi sensoriali).
Tutte le cellule del nostro organismo, come detto, assolvono a specifici e variegati compiti e traggono dagli zuccheri tutte le energie necessarie per svolgerli efficacemente. È molto importante pertanto che questi ultimi siano assunti in quantità sufficiente ma non eccessiva. Lo stile di vita ed il conseguente stile alimentare, quasi imposto dalla società contemporanea, porta purtroppo molti di noi ad assumere quantitativi di zuccheri e, più genericamente, carboidrati in eccesso rispetto al fabbisogno reale delle nostre cellule. Quando ciò accade, il sistema ormonale che regola l’equilibrio energetico all’interno del nostro corpo comincia a funzionare male perché noi accumuliamo di fatto più energia di quanta ce ne serva realmente. L’insulina, in modo che possiamo definire “democratico”, rifornisce di zuccheri tutte le cellule; tra queste però ce ne sono alcune, gli adipociti, che non rifiutano mai questo continuo approvvigionamento perché la loro funzione specifica è proprio quella di accumulare energia, sotto forma di grasso, da utilizzare in tempi di “carestia”. Questo speciale meccanismo che rappresenta certamente un prezioso strumento a disposizione degli esseri umani per non rimanere mai del tutto “a secco” di energia, può diventare però un problema allorquando questi adipociti si trasformano in un tessuto che secerne ormoni e rilascia sostanze a carattere infiammatorio. È questo principalmente il motivo per cui il grasso in eccesso, sia quello da obesità quanto quello da Lipedema, dev’essere sempre contenuto, proprio per evitare di veder aumentare il proprio stato infiammatorio ed i livelli di ormoni che possono alimentare la crescita del grasso infiammato e disfunzionale.
Il compito attuale e principale della dietoterapia moderna consiste pertanto nel regolare e tenere sotto controllo i livelli di insulina, in considerazione soprattutto di quanto emerge dai tanti studi scientifici in materia che ci dicono come l’infiammazione che provoca la gran parte delle patologie a carattere cronico sia sostenuta proprio dall’iperinsulinemia che è a sua volta determinata dall’eccesso di zuccheri presenti nel sangue.
Per rimanere in salute è pertanto fondamentale tenere a bada e puntare a ridurre l’infiammazione che sta alla base, come detto in precedenza, di gran parte delle patologie a carattere cronico. Per farlo efficacemente diventa quindi fondamentale regolare e riequilibrare l’alimentazione, scegliendo innanzitutto di introdurre nella dieta quotidiana tutti quei nutrienti che sono indispensabili alle cellule per svolgere i loro compiti con efficacia.
È altresì importante consumare il meno possibile cibi confezionati e tutti quei prodotti alimentari “industriali” che sono eccessivamente carichi di zuccheri, di sostanze potenzialmente infiammanti e dei cosiddetti interferenti endocrini, sostanze queste ultime che possono nel tempo arrivare a modificare lo stesso equilibrio ormonale e ad accentuare le difficoltà dell’organismo ad utilizzare in modo ottimale il cibo.
Con questo articolo non mi pongo l’obiettivo di indicare quale specifico programma alimentare sia meglio seguire nel Lipedema, che sarà argomento specifico di un successivo scritto, probabilmente un articolo oppure un ebook; vorrei però fare in modo che si comprenda al meglio che proprio la corretta alimentazione è già di per sé una terapia e che, proprio come ogni terapia che si rispetti, per risultare utile e soprattutto efficace, deve necessariamente essere personalizzata.
Per capire meglio il Lipedema e rendere maggiormente consapevoli le numerose donne, giovani o meno giovani, della loro condizione di potenziali “Lippy”, ho scelto di intervistarne alcune affette dalla patologia, sia già destinatarie di una diagnosi certa (l’87% del campione considerato) sia con chiari segnali della patologia benché la stessa non sia stata ancora diagnosticata in maniera definitiva.
La maggior parte di esse, l’84,6% del campione considerato, ha riconosciuto alla dieta un enorme valore curativo, insieme alla compressione, alla fisioterapia, all’attività fisica ed eventualmente alla chirurgia. Il 79,5% delle donne intervistate segue una dieta in linea con le mie considerazioni precedenti e cioè priva di zuccheri, low carb ed a volte anche chetogenica. Molte di loro si dichiarano soddisfatte della terapia nutrizionale che seguono e questo è davvero molto importante perché ci dice che le donne che hanno ricevuto una diagnosi di Lipedema, pur sgomente e preoccupate per il proprio futuro, riescono tuttavia a raccogliere la sfida e ad impegnarsi con tutti i mezzi disponibili per migliorare la propria condizione.
Oggi è più facile diagnosticare velocemente il Lipedema ed aiutare efficacemente chi ne è affetto: a differenza del passato infatti, molti professionisti cominciano ad “accorgersi” dell’esistenza della patologia ed a trattarla in modo specifico anche se, ed è un aspetto questo da non trascurare, manca a mio avviso ancora un approccio integrato fra più figure professionali ed il riconoscimento come patologia dal SSN. Cominciare a parlarne in maniera più approfondita e puntuale è comunque un primo passo importante per avvicinarsi ad un completo riconoscimento di questa specifica patologia da parte del Sistema Sanitario Nazionale (SSN). In questo momento purtroppo, le donne affette da Lipedema, sono infatti tristemente consapevoli di avere poche possibilità di veder migliorare la propria situazione patologica proprio per la mancanza di strutture adeguate e convenzionate con il SSN. Questa importante lacuna nell’offerta sanitaria pubblica, non fa altro che addossare la gestione e la cura della patologia sulle sole spalle delle donne che ne soffrono e delle loro famiglie, esponendole a sacrifici di natura sia economica che psicologica.
È fondamentale che la Sanità territoriale acquisisca piena consapevolezza del problema e che gli stessi medici di famiglia si aggiornino al meglio su questa patologia che ha spesso un esordio precoce, anche prima dell’adolescenza, e che espone le donne che ne sono affette a peggioramenti nel periodo della pubertà e ancora più spesso in gravidanza, a causa dei normali squilibri ormonali che però nelle donne affette da Lipedema slatentizzano una predisposizione genetica.
Recenti studi condotti dal gruppo di lavoro del Dott. Michelini hanno portato ad una scoperta illuminante in tal senso: sarebbe proprio un gene, infatti, ad avere una corresponsabilità determinante nell’esordio della patologia.
Approcciarla in modo serio e documentato diventa quindi fondamentale per giungere quanto più precocemente possibile ad una diagnosi definitiva che consenta a tutte le giovani donne di intraprendere un percorso corretto e personalizzato al fine di contenere al meglio i sintomi e l’evoluzione.
Come per tutte le patologie a carattere infiammatorio cronico, è importante fare anche una valutazione epigenetica che aiuti a comprendere quali fattori ambientali contribuiscano all’evoluzione della patologia in senso peggiorativo e quali invece risultino determinanti per contenerla e per spegnere l’espressione genica dei geni responsabili. In altre parole credo che oggi sia necessario da parte degli specialisti capire rapidamente ed impostare un piano chiaro di interventi mirati a consigliare i comportamenti più adeguati quando ad una donna si presenta per una diagnosi di Lipedema; è fondamentale intervenire immediatamente sulla patologia per contenerla ma risulta altrettanto essenziale cercare tutte le persone della famiglia che possano essere coinvolte ma non ancora in modi gravi.
La scelta di intervistare donne affette da Lipedema nasce dal mio bisogno di dar loro voce, di raccontarne le storie, di cogliere meglio ciò che dicono, ciò che conoscono bene, ciò che vivono ogni giorno. Un concetto che ricorre nelle interviste che ho realizzato si può sintetizzare nelle parole di una di esse, che riporto testualmente:
“Da sempre la mia immagine corporea è influenzata dal Lipedema. È come se non riconoscessi come mie e come normali alcune parti del mio corpo. Mi sento e mi vedo come deforme. Mi vergogno a farmi vedere nuda e in costume.”
Troppo spesso purtroppo questi disagi, la cui comprensione precoce potrebbe essere d’aiuto anche nella scelta del percorso di cura più adeguato al soggetto interessato, non riescono ad emergere se non con il supporto di psicologi e sempre che la paziente abbia le risorse economiche per sostenere anche questo tipo di terapia. La realtà ci racconta purtroppo che molte donne, troppe, non si possono permettere nemmeno le cure minime e necessarie.
Le risposte alle interviste hanno la forza di commuovermi, di farmi sorridere, di sorprendermi e anche di farmi arrabbiare quando penso all’ambiente in cui queste donne sono costrette a vivere il loro disagio: un contesto omologato, schematizzato, cieco, sordo ed inconsapevole.
Alla domanda “cosa pensa del Lipedema?”, le donne intervistate hanno risposto con parole che mi hanno colpita molto: “E’ un bastardo!”; “Penso sia una punizione!”; “Mi ha stroncato la vita!”; “Patologia sconosciuta a tanti!”; “Disgusto!”; “Invalidante!”; “È una croce!”; “Mi fa arrabbiare!”; “È il mio aguzzino!”; “Mostro nascosto!”; “Avvilente!”
Dietro ad ognuna di queste risposte si nasconde la paura di non riuscire a tenerlo a bada, di perderne il controllo e di finire nel “baratro” di una patologia ancora poco conosciuta, per la quale non esistono ad oggi trattamenti specifici e protocolli sanitari chiari e che è praticamente sconosciuta al SSN che non solo non fornisce cure adeguate ma che non riconosce neppure il Lipedema come patologia invalidante e cronica.
Dietro ognuna di quelle risposte c’è però anche la convinzione di essere in qualche modo parte attiva del problema, di essere “colpevoli” di qualcosa di non meglio identificabile e comunque corresponsabili del proprio stato di disagio.
In quasi tutte emerge un senso di colpa diffuso, frutto anche delle pressioni subite, da alcune fin già dall’infanzia. Sono molte le donne intervistate che hanno lavorato duramente fin da ragazzine per piegare il loro corpo ai desideri altrui: di fidanzati, amiche, mariti. E che non ci sono mai riuscite, nonostante diete, sport e sacrifici vari. Nelle storie che ho sentito dalle mie pazienti ed anche dalle intervistate si evince sempre che sono donne tutt’altro che pigre o mangione, che spesso non hanno sviluppato un buon rapporto con il cibo, che mangiano anche troppo poco e che non sanno addirittura nemmeno cucinare.
Molte sono sportive ma nonostante questo restano in perenne conflitto con se stesse.
Molte si sono sentite dire dai medici e dai nutrizionisti di “mangiare meno ed il problema si risolve!”. Tutte però raccontano storie da cui emerge ogni volta e tristemente una condizione di inadeguatezza alla vita quotidiana.
Alcune donne, nel tempo, mi hanno contattata per mail o su whatsapp inviandomi le loro foto da bambine e da adolescenti e dalle quali si individuavano chiaramente i primi segni del Lipedema. Non tutte sono diventate mie pazienti, per la distanza che ci divideva, ma le ho comunque tutte indirizzate all’associazione che si occupa della patologia affinché potessero essere instradate in un percorso che le conducesse ad una diagnosi certa.
Credo profondamente che solo la diagnosi precoce del Lipedema possa garantire nuove ed affidabili prospettive di cura a tutte le donne che ne hanno bisogno.
La scelta di scrivere questo articolo nasce in me proprio da questa consapevolezza, dalla voglia e dalla necessità che sento di dare voce al dolore di queste persone ma anche per testimoniare che queste donne sono guerriere, combattenti che non vogliono più essere considerate semplicisticamente delle “mangione” ma che desiderano fortemente che la loro condizione di profondo disagio, fisico e psicologico, venga riconosciuta come una patologia, anche a costo di vedersi certificare in maniera inequivocabile la loro condizione di “malate” e “medicalizzate”.
Sono donne vive e belle che chiedono a gran voce di essere ascoltate, curate ed accompagnate in modo adeguato nel trattamento di una sindrome complessa da tutte le figure mediche che sarebbe necessario coinvolgere lungo il percorso: medici, chirurghi, nutrizionisti, fisioterapisti, personal trainer, psicologi. E senza per questo doversi sentire colpevoli di qualcosa o dover pesare sulle famiglie per i costi eccessivi che vanno ancora sostenuti.
Mi piacerebbe che la consapevolezza di queste donne diventasse contagiosa e che gli desse la forza e l’energia necessarie a spostare le montagne d’indifferenza ed a stimolare la voglia dei professionisti di conoscere meglio e di più questa patologia.
Questo articolo si pone l’obiettivo di aumentare in chi è affetto da Lipedema la consapevolezza di non essere né “colpevole” né “corresponsabile” ma solo persone legittimamente in cerca di certezze e di verità. Persone in grado di gridare consapevolmente ai quattro venti e senza alcuna remora: “Ora so che non è solo colpa mia!”.
A cura della dr.ssa Cacciola Maria Stella – Biologa nutrizionista
Vi presento il libro scritto dalla dott.ssa Maria Romana Orlando, giornalista e presidente dell'associazione AMICA, Associazione Malattie da Intossicazione Cronica e Ambientale. Si tratta di un libro riservato ai soci dell'associazione, nel quale ci sono interviste fatte a medici, nutrizionisti ed aktri operatori sanitari che come dice il testo sono "esperti di Sensibilità Chimica Multipla (MCS), Sindrome da Fatica Cronica (CFS), Fibromialgia (FM/ME) ed Elettrosensibilità (EHS)".
In questo libro c'è pure la mia intervista, a pag 17. Ringrazio la dott.ssa Maria Romana Orlando per l'onore che mi ha dato di essere inserita fra gli innovatori nel campo della nutrizione di queste patologie minoritarie ma molto dolorose e poco conosciute, troppo spesso considerate nella sfera delle malattie psicosomatiche che non ricevono attenzione ne considerazione.
Sono felice perché questo libro potrà diventare un libro bianco dei trattamenti possibili e non un semplice elenco di professionisti.
Spero che da qui in poi nasca un nuovo dialogo interattivo.
Per chi vuole conoscere meglio l'associazione ed acquistare il volume vi indirizzo a https://www.infoamica.it