30 ottobre 2012

Dna e medicina predittiva: nutrigenetica e test genetici (2a parte)




Come già spiegato nel precedente articolo, la nutrigenetica è la nuova frontiera nel campo della prevenzione di stati nutrizionali alterati o patologie che mettono in relazione uomo e alimentazione! In fondo come diceva Feuerbach: “Noi siamo quello che mangiamo”! …ma non solo, io aggiungerei che siamo anche quello che è scritto nel nostro DNA.
Come già ampiamente spiegato nel precedente articolo, i test genetici possono essere utili per verificare la predisposizione individuale ad una data patologia o carenza, nel nostro caso, nutrizionale.
Oltre al test per la predisposizione alla celiachia e per l’intolleranza al lattosio, vengono effettuati anche altri tipi di test genetici, degni di nota in questa rubrica: il test per la predisposizione all’obesità, quello per il metabolismo della vitamina D e per l’acido folico.
Con il test per la predisposizione all’obesità si va ad indagare la risposta individuale ad una dieta dimagrante, questo è stato anche dimostrato da uno studio condotto dalla Standford University (USA). La ricerca è stata condotta su 141 donne in sovrappeso, alle quali è stata assegnata una dieta attinente al proprio profilo genetico. Queste donne seguite per un anno hanno perso il doppio o il triplo del peso iniziale rispetto alle altre che invece avevano seguito un regime alimentare ipocalorico non modellato sul proprio patrimonio genetico. Inoltre, nelle partecipanti, che avevano seguito una dieta “su misura” per il proprio DNA, è stato osservata una riduzione della circonferenza vita due o tre volte maggiore rispetto al gruppo dei controlli. "La diversità nella perdita di peso per gli individui che seguivano una dieta abbinata al loro genotipo rispetto a una che non è stato abbinata", ha spiegato Christopher Gardner, ricercatore che ha coordinato lo studio, "è molto significativa e rappresenta un approccio alla perdita di peso che non è mai stato segnalato in letteratura". Utilizzare le informazioni genetiche per le diete, ha concluso l'esperto, "potrebbe contribuire a risolvere il problema del peso eccessivo nella nostra società".
La vitamina D regola il bilancio di calcio dell'organismo. Il calcio è il minerale predominante a livello osseo. La forma endogena della vitamina D viene sintetizzata dall'organismo per azione della luce solare, nel caso la sintesi risulti insufficiente, la vitamina può essere assunta attraverso alcuni alimenti come latte, uova, formaggio, burro. La funzione della vitamina D è di stimolare l'assorbimento a livello intestinale del calcio e del fosforo , favorendo la mineralizzazione della matrice ossea. Il test per valutare mutazioni nella capacità individuale di assimilare ed utilizzare la vitamina D è molto importante in quanto questa vitamina influenza molti processi del nostro corpo. In caso di mutazione del gene si può incorre in deficit di vitamina D che può essere ripristinato modificando il proprio regime alimentare e bilanciando le carenze indotte dalla propria costituzione genetica.
L’acido folico (vitamina B9) è un micronutriente che non viene sintetizzato dall’organismo ma deve essere assunto con la dieta. Il fabbisogno quotidiano in condizioni normali è di circa 0,2 mg. Negli ultimi decenni, l’acido folico è stato riconosciuto come essenziale nella prevenzione delle malformazioni neonatali, particolarmente di quelle a carico del tubo neurale, che si possono originare nelle prime fasi dello sviluppo embrionale.
Durante la gravidanza il fabbisogno di folati raddoppia perché il feto utilizza le riserve materne. Anche se il suo ruolo non è conosciuto nei dettagli, la vitamina B9 è essenziale per la sintesi del DNA e delle proteine e per la formazione dell’emoglobina, oltre ad essere particolarmente importante per i tessuti che vanno incontro a processi di proliferazione e differenziazione, come, appunto, i tessuti embrionali. L’acido folico, inoltre, contribuisce a prevenire altre situazioni di rischio alla salute. La sua presenza, alle corrette concentrazioni, abbassa i livelli dell’aminoacido omocisteina, associato al rischio di malattie cardiovascolari e infarti. Recentemente è stato inoltre osservato il suo ruolo in patologie psichiatriche come depressione e schizofrenia. Questo test è di fondamentale importanza per le donne in età fertile che, se presentano la variante genetica, devono assumere con particolare attenzione la vitamina nel periodo periconcezionale. Le donne che rientrano in gruppi ad alto rischio (quelle che presentano una certa familiarità con malattie del tubo neurale, o che hanno avuto una precedente gravidanza con un DTN, o che sono affette da diabete mellito, obesità o epilessia) dovrebbero essere monitorate con particolare cura in quanto potrebbero necessitare di quantità maggiori di acido folico.


Celeste Santone Biologa Nutrizionista

Dna e medicina predittiva: nutrigenetica e test genetici (1a parte)


a cura della dott.ssa  Celeste Santone Biologa Nutrizionista






La nutrigenetica è una scienza giovane, con questo termine si mette in relazione il singolo individuo e le sue caratteristiche genetiche nei confronti dell’alimentazione.
In poche parole la nutrigenetica studia le differenze genetiche (polimorfismi) tra individui, o popolazioni, che causano risposte diverse all'assunzione di nutrienti presenti nel cibo.
Così come il nostro viso è unico al mondo, anche il nostro metabolismo, nel senso più ampio del termine, presenta differenze rispetto ad un cinese o, in misura minore, rispetto al vicino di casa. I motivi per cui un piano alimentare ben fatto non va bene per tutti è, in parte, dovuto alle differenze genetiche interindividuali. Alcune di queste differenze possono spiegare la diversa suscettibilità a sviluppare determinate patologie, come diabete di tipo II, obesità, malattie cardiovascolari.


Vi sono alcuni test genetici relativi all’alimentazione scientificamente validati, ad oggi, il più “famoso” è quello relativo alla predisposizione nei confronti della malattia celiaca, si tratta di un test che non fa diagnosi di celiachia, ma può essere d’aiuto, ad esempio, nello studio di familiari affetti, quando non e’ possibile effettuare una biopsia intestinale oppure nei casi in cui i test sierologici sono dubbi (anticorpi anti-transglutaminasi, anticorpi anti-gliadina, anticorpi anti-endomisio).
La celiachia è una intolleranza permanente nei confronti di una proteina: il glutine che si manifesta in soggetti geneticamente predisposti. Questa è riconosciuta come malattia sociale ed è oggetto di un accordo tra stato e regioni che regola la diagnosi e il follow-up dei pazienti celiaci. Il glutine è presente in frumento, farro, kamut, orzo, segale. I sintomi della forma classica sono a carico del tratto gastrointestinale e sono: diarrea cronica, vomito, inappetenza a cui seguono segni da malassorbimento intestinale quali anemia, alterazioni della coagulazione, edemi, deficit di vitamine e oligominerali. Altri segni clinici vanno dalla dermatite erpetiforme, all'infertilità e aborti ricorrenti, alopecia, stomatiti, ecc. L’incidenza di questa intolleranza in Italia è stimata in un soggetto ogni 100 persone.

I celiaci potenzialmente sarebbero quindi 600.000, ma ne sono stati diagnosticati ad oggi poco più di 100.000.
L’unica “cura” nei confronti della celiachia, attualmente, è la dieta: ovvero l’esclusione dal regime alimentare di alcuni degli alimenti più comuni quali: pane, pasta, biscotti e pizza, e le più piccole tracce di glutine. Questo implica un forte impegno di educazione alimentare, in quanto l’assunzione di glutine, anche in piccole quantità, può provocare diverse conseguenze più o meno gravi. La dieta senza glutine, condotta con rigore, è l’unica terapia attualmente che garantisce al celiaco un perfetto stato di salute. Il test genetico nei confronti della celiachia è di secondo livello e viene effettuato nei casi in cui si vuole indagare una predisposizione della celiachia oppure escludere falsi positivi.


Altri tipi di test genetici effettuati di routine sono quello nei confronti dell’intolleranza al lattosio, predisposizione all’obesità, metabolismo della vitamina D e acido folico.
Il lattosio è lo zucchero presente nel latte, questo viene scisso nei suoi componenti, glucosio e galattosio, da un enzima: la lattasi. Nell’intolleranza al lattoso, l’enzima non viene sintetizzato a causa di una modificazione genetica oppure funziona poco anche se, in realtà gli individui “mutati” sono quelli che possiedono il gene per la digestione del lattosio. Per la diagnosi di intolleranza al lattosio viene eseguito anche un altro tipo di test, Breath test (test del respiro), che consiste nella misurazione dell’incapacità a digerire il lattosio. Questo test ha una sensibilità ed una specificità del 95%, generalmente viene eseguito al mattino, dopo un digiuno di almeno 8 ore, il paziente deve soffiare in un palloncino e subito dopo deve bere 20 g. di lattosio sciolti in un bicchiere d'acqua, da questo momento, ogni 30 minuti il paziente deve soffiare nel palloncino per altre 6 volte: il test dura in tutto 3 ore. Il test genetico al lattosio può aiutarci a prevenire i sintomi dell’intolleranza al lattosio.


Celeste Santone Biologa Nutrizionista

Artrite Reumatoide, un nesso con la Microflora Intestinale


Negli ultimi anni il crescente interesse per la microflora intestinale ha confermato il ruolo della dieta e dell’integrazione, e ha messo in evidenza gli effetti positivi e negativi prodotti rispettivamente da una condizione eubiotica o disbiotica (disbiosi intestinale).


Recenti studi hanno suggerito importanti relazioni tra l’equilibrio della flora intestinale e alcunemalattie del sistema immunitario. Potrebbero, infatti, essere proprio i batteri intestinali a regolare malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide. Lo sostiene una ricerca dell’Università dell’Illinois e della Mayo Clinic di Rochester (Minnesota) secondo la quale i batteri intestinali sono fondamentali per la regolazione del sistema immunitario. Il lavoro, pubblicato su PloS One, e rilanciato da malattierare.it, è stato realizzato con l’utilizzo di alcune sofisticate tecnologie di sequenziamento genomico, che hanno dimostrato come la microflora intestinale può essere un biomarcatore per la predisposizione all’artrite reumatoide.


L’artrite reumatoide, le cui cause non sono ancora note, colpisce quasi l’1% della popolazione mondiale. Si tratta di una patologia cronica in cui il sistema immunitario attacca i tessuti, infiamma le articolazioni, e talvolta determina complicazioni cardiache che possono anche portare al decesso. I ricercatori della Mayo Clinic di Rochester hanno raggiunto importanti progressi nella conoscenza del rapporto tra sistema immunitario e batteri intestinali, e dell’influenza che questi fattori possono avere nelle persone con predisposizioni genetiche alla malattia. Lo studio è stato effettuato su alcuni topi con gene umano HLA-DRB1 0401, forte indicatore della predisposizione all’artrite reumatoide. Grazie a un gruppo di controllo con una diversa variante del gene, gli scienziati hanno confrontato le risposte immunitarie di due gruppi a batteri diversi, valutandone l’effetto sull’artrite reumatoide. Hanno scoperto, inoltre, che i topi di sesso femminile hanno il triplo della probabilità di sviluppare la malattia.” Il prossimo passo per noi – hanno dichiarato i ricercatori – è quello di mostrare se i bug presenti nell’intestino possono essere manipolati per cambiare il corso della malattia”.


Utile un controllo della flora intestinale con DISBIOSI test su urine che rivela la concentrazione d’indolo e scatolo intestinale, frutto di un rapporto alterato tra batteri “buoni” e “cattivi”, e un controllo delle feci, la valutazione dei ceppi batterici presenti nell’intestino. Lo studio della flora batterica intestinale attraverso le feci identifica anche la predisposizione a malattie infiammatorie intestinali che possono essere causa di malattie auto immuni sistemiche.


Un’arma terapeutica per la modulazione della flora batterica intestinale è l’idrocolon terapia, che facilità la rimozione dei batteri patogeni, funghi presenti nel lume intestinale, e facilità la riflorazione dei batteri protettivi, attraverso l’introduzione di fermenti specifici e personalizzati.


A cura del Prof. Giuseppe Di Fede, Medico Chirurgo, Specialista in Nutrizione e Dietetica Clinica, Docente c/o il “Master di Nutrizione Umana” dell’Università di Pavia, Direttore Sanitario dell’Istituto di Medicina Genetica e Preventiva di Milano.

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