03 maggio 2012

Corso teorico -pratico in CITOLOGIA URINARIA E CERVICO-VAGINALE



CITOLOGIA URINARIA E CERVICO-VAGINALE
DIRETTORE E RELATORE PROF. GIUSEPPE SIPPELLI
AULA ABP PALERMO
14-18 maggio 2012
ECM 40 crediti formativi Biologi. Medici

Il corso avrà i seguenti orari  : 10,00- 13,00. E 14,00-17,00
Per iscrizioni ed informazioni rivolgersi a:
ABP tel 091/304535. Fax 091/6265541

02 maggio 2012

Corso di nutrizione : ALIMENTAZIONE, MICRONUTRIZIONE NEL RIEQUILIBRIO DELLE DISFUNZIONI TIROIDEE


Corso di nutrizione :

ALIMENTAZIONE, MICRONUTRIZIONE NEL RIEQUILIBRIO DELLE DISFUNZIONI TIROIDEE



presso Hotel Faraglioni ACITREZZA (CT)
26 - 27 maggio 2012


Relatori
Dr.Massimo Caliendo - biologo nutrizionista
Dr.ssa Maria Stella Cacciola - biologa nutrizionista






PROGRAMMA


SABATO 26 MAGGIO 2012
I Relazione : Cenni di fisiologia e anatomia della tiroide. Il network ormonale responsabile delle disfunzioni tiroidee ( 4 h)
II Relazione: La nutrizione al centro delle disfunzioni tiroidee. Quale dieta? I Cibi e gli alimenti che aiutano il riequilibrio ormonale e quelli che lo alterano. (4h)

DOMENICA 27 MAGGIO 2012
III Relazione : Le terapie naturali nelle disfunzioni tiroidee: riequilibrio dei sistemi ormonali integrati con l’uso di fitoterapici ed integratori. (4h)
Discussione di casi clinici (3h)
VERIFICA APPRENDIMENTO

24 aprile 2012


PUBBLICATO IL BANDO DEL

MASTER UNIVERSITARIO DI II LIVELLO IN 

INTEGRATORI ALIMENTARI E SALUTE

Dipartimento Clinico Sperimentale di Medicina e Farmacologia, Università di Messina
Sede : A.O.U. Policlinico G. Martino, Messina .

Destinatari del Master: Laureati in Medicina e Chirurgia-Laureati in Odontoiatria e Protesi Dentaria- Laureati in Scienze Biologiche (vecchio ordinamento), Laureati in Biologia, Laureati in Scienze  della Nutrizione Umana.

  
Obiettivo: 
Il Master permetterà di acquisire un insieme di conoscenze teoriche, strumenti metodologici ed esperienze pratiche nel campo della prescrizione di integratori alimentari associata a regimi nutrizionali utili al mantenimento o al recupero della omeostasi.
Obiettivi specifici del Master saranno: la formazione di figure professionali in grado di stilare programmi che includono la prescrizione di integratori alimentari adeguati al fabbisogno individuale di soggetti sani e non, sovrappeso, atleti, anziani; l'acquisizione di conoscenze e competenze avanzate sulla metodologia d'uso e sui rischi legati all'impiego dei fitoterapici e dei novel food (nuovi alimenti e nuovi integratori alimentari).


Durata: 1500 ore (equivalenti a 60 CFU)

PER SCARICARE IL BANDO ECCO IL LINK

21 aprile 2012

Il Diaframma




Il diaframma è il nostro muscolo respiratorio primario attraverso il quale compiamo ogni giorno circa 17000 atti respiratori. Ogni atto è composto di una fase inspiratoria ed una espiratoria, durante le quali il diaframma compie delle contrazioni differenti sia per intensità che per direzione e durata.
L’espirazione è per l’80% una distensione passiva.
Il muscolo è inscritto in un quadro osseo formato dalle coste, dallo sterno e dalle vertebre, il quale risponde alla dinamica respiratoria fornendo l’elasticità ed il sostegno utili all’azione respiratoria.
Circa 34000 contrazioni giornaliere, 12 milioni 410 mila in un anno, numeri che fanno ben comprendere quale inesauribile fonte energetica sia questo meraviglioso muscolo.

Lavorare sul diaframma significa lavorare sul nostro centro emotivo, sul nostro motore energetico, sulla via di passaggio tra pensieri ed emozioni.
Si può ben comprendere quanto questo tessuto muscolare
sia legato ai nostri pensieri ed alle nostre emozioni facendo mente locale sulle nostre esperienze: quando di notte un amico ci fa spavento sbucando all’improvviso da un angolo buio, la prima ed incontrollata reazione a noi nota è la modificazione della frequenza respiratoria in ampiezza e frequenza; quando dobbiamo sostenere un esame importante o affrontare una situazione difficile e/o pericolosa, il flusso frenetico dei nostri pensieri altera immediatamente il ritmo respiratorio.
Una mente calma si traduce in respiro calmo e profondo, energico e rilassato, che dona all’intero organismo una sensazione di piacere e soddisfazione.
Se le nostre emozioni sono libere di esprimersi fisicamente, il diaframma sarà privo di contratture e svolgerà un’azione fluida di massaggio viscerale e distensione polmonare.
Esistono molte tecniche osteopatiche sul diaframma e sulle strutture a lui annesse capaci di svincolare tale organo dalle costrizioni meccaniche a cui è spesso sottoposto, liberando emozioni ed energia in esso trattenuti.
Queste tecniche sono in grado di aumentare le capacità polmonari sbloccando la meccanica respiratoria di base, rendendo disponibili ampiezze e volumi fino ad allora inutilizzati.
Un respiro profondo e rilassato nutre in profondità il parenchima polmonare, irrorando di ossigeno gli alveoli e liberando l’anidride carbonica prodotta giornalmente dai tessuti.


Questa muscolatura interviene principalmente nella respirazione ausiliaria (SCOM e Scaleni) ed in parte nella respirazione principale, fornendo un aiuto completo al diaframma per una eccellente mobilizzazione costale e per una azione agonista-antagonista (Addominali) di stabilizzazione viscero-addominale.
Quando alla muscolatura accessoria viene deputato il ruolo del diaframma, o parte di esso, il dispendio energetico cresce enormemente, determinando nell’organismo uno stato di stanchezza cronica.
Il parenchima polmonare, non venendo irrorato come dovuto, instaura nel tempo delle restrizioni tessutali che ridurranno la capacità polmonare e la mobilità della cassa toracica.

Una delle più famose leggi della fisiologia umana recita: “la funzione determina l’organo”. 
Vuol dire che siamo quello che facciamo e che ci adattiamo fisicamente alle funzioni richieste ed esercitate, accomodandoci rispetto alla qualità del movimento vissuto.
Se le nostre possibilità sono ad esempio da 1 a 10 e noi ne utilizziamo solo una parte, diciamo da 3 a 7, la nostra struttura si adatterà a questo range di movimento dimenticando nel tempo l’antica possibilità 1-10.

Diveniamo prigionieri di noi stessi. Diminuiamo la nostra mobilità, la nostra elasticità, le possibilità funzionali, approdando a movimenti sempre più brevi e contratti, faticosi da ampliare e propedeutici a strappi, fratture e traumi di natura meccanica.
La liberazione del Diaframma e delle sue componenti strutturali determina un immediato e piacevole stato di benessere, scaricando il corpo, la mente e la sfera emozionale da tensioni di varia natura, donando un respiro profondo e vantaggioso per l’intero organismo:
  • Benefici digestivi 
  • Massaggio viscerale 
  • Scarico delle tossine 
  • Nutrimento tessutale 
  • Irrorazione sanguigna 
  • Elasticità costo-vertebrale 
  • Mobilità cardiaca e polmonare 
  • Drenaggio profondo addominale e cranico 
  • Riequilibrio neurovegetativo e qualità del sonno 
               
Esercizi per il diaframma
RESPIRAZIONE DEI 3+1 
Posizione base: 
Sdraiati sulla schiena. Può aiutare un rialzo morbido (coperta arrotolata) sotto le ginocchia, un cuscino o una coperta ripiegata sotto la zona lombare ed un piccolo cuscino cervicale.
Prima fase:
Inspirare dal naso ed espirare dalla bocca.
Portare il palmo delle due mani sopra la parte alta del costato, sotto le clavicole e sopra i capezzoli. Le mani sono neutre, non effettuano alcuna azione, sono rilassate e ben aperte.
Durante l’inspirazione cercare di mobilizzare al massimo la zona dove sono appoggiate le mani, in tutte le direzioni, senza forzare eccessivamente con la muscolatura ma utilizzare la capacità di espansione polmonare.
Durante l’espirazione lasciare che il torace si deprima al massimo, soprattutto la zona dello sterno che deve poter scendere verso l’addome ed abbassarsi verso l’interno del corpo.
Seconda fase:
Inspirare dal naso ed espirare dalla bocca.
Portare il palmo delle mani in appoggio sulla parte bassa del torace, sulle coste sotto i capezzoli. Mani neutre e rilassate, gomiti ben aperti ed appoggiati al terreno.
Durante l’inspirazione cercare di mobilizzare al massimo la zona dove sono appoggiate le mani, in tutte le direzioni, senza forzare eccessivamente con la muscolatura ma utilizzare la capacità di espansione polmonare. La mobilità a questo livello sarà prevalentemente un espansione laterale.
Durante l’espirazione lasciare che le coste si portino verso il centro del corpo e scendano verso il bacino, aiutate da una attivazione leggera della muscolatura addominale.
Terza fase:
Inspirare dal naso ed espirare dalla bocca.
Portare il palmo delle mani sulla regione addominale, ai lati dell’ombelico. Mani neutre e rilassate, gomiti in appoggio sul terreno.
Durante l’inspirazione mobilizzare l’addome verso l’espansione, gonfiando la pancia come un pallone, soprattutto nella zona pubica, sotto l’ombelico.
Durante l’espirazione lasciare che l’addome si sgonfi completamente ritirandosi verso il terreno, deprimendo l’ombelico in modo tale da creare una conca sul ventre.
Quarta fase (più uno):
Inspirare dal naso ed espirare dalla bocca.
Una mano rimane sull’addome mentre l’altra torna in appoggio sulla parte alta del torace (primo appoggio eseguito).
Provare a mettere in relazione queste due zone durante la respirazione, cercando una mobilità comune ai due distretti che, se pur differenti nelle possibilità motorie, hanno un punto di unione biomeccanico non difficile da individuare tramite l’esperienza diretta.
La prima zona e la terza hanno lasciato una memoria tattile che può essere richiamata tramite il respiro profondo e rilassato.
La comunicazione tra due zone può esser effettuata anche tra la seconda e terza e tra la prima e la seconda.
A fine esercizio attendere qualche minuto prima di alzarsi. Muovere gli arti per consumare ossigeno e produrre anidride carbonica utile al ripristino biochimico del sangue.
RESPIRAZIONE DIAFRAMMATICA
Posizione base:
Seduti o in piedi appoggiati con la schiena al muro e gli arti inferiori leggermente piegati.
Esecuzione:
Inspirare ed espirare dal naso.
Durante la fase inspiratoria concentrarsi sulla discesa della cupola diaframmatica cercando di visualizzare l’anatomia del muscolo e la sua dinamica. Contrarre la parete addominale quanto basta per contrastare l’espansione viscerale, soprattutto nell’epigastrio (parte alta della pancia), subito sotto lo sterno e la parte anteriore delle coste.
La contrazione degli addominali deve perdurare per tutta la fase inspiratoria, sostenendo la discesa diaframmatica e contenendo le viscere nell’addome. Il diaframma lavora in sinergia con tali muscoli, appoggiandosi sul torchio addominale per effettuare una profonda ed efficace discesa verso il bacino, allargando le coste sotto-diaframmatiche, spostando e massaggiando gli organi viscerali.
Durante la fase espiratoria il diaframma dovrà salire verso il mediastino (cassa toracica interna), cercando appoggio sugli stessi muscoli addominali che, contraendosi, favoriranno la stabilità lombare, punto di inversione dei pilastri tendinei del diaframma, donando alla parete viscerale una condizione ottimale per la spinta di risalita.
Allo stesso modo in cui spingiamo via un mobile dal muro puntando i piedi sul muro stesso, per ottenere una controspinta efficace, così il diaframma utilizza la parete addominale che, se stabilizzata dagli addominali, sarà un muro solido e consistente, utile alla spinta di risalita.
Gli Apneisti ed i praticanti la respirazione Pranayama nella pratica Yoga conoscono bene questa dinamica, capace di apportare all’organismo un volume respiratorio notevolmente aumentato rispetto la vecchia concezione respiratoria in cui, durante la fase inspiratoria (alla discesa del diaframma), veniva richiesta la dilatazione addominale forzata.
Questa dilatazione dell’addome può risultare utile (esercizio dei 3+1) quando si ricerca una esperienza motoria ed una mobilità fasciale, non in linea con la dinamica fisiologica del diaframma, ma utile alla sensibilità propriocettiva strutturale.
Tale attività muscolare dovrà, in un secondo momento, essere portata ad un livello subliminale, entrando a far parte della normale attività respiratoria quotidiana dell’individuo.

19 aprile 2012

"Alimentazione, micronutrizione nel riequilibrio delle disfunzioni tiroidee"


informo che è in programmazione il Corso di nutrizione :
presso Hotel Faraglioni ACITREZZA (CT)
26 - 27 maggio 2012
Relatori
Dr.Massimo Caliendo
Dr.ssa Maria Stella Cacciola
su "Alimentazione, micronutrizione nel riequilibrio delle disfunzioni tiroidee"
a breve il programma sul sito www.abp.pa.it e la brochure sarà pubblicata su questo blog

14 aprile 2012

Che ne sai tu di un campo di grano?


Articolo 
di Andrea Lupo dal sito   http://www.ilgiornaledelcibo.it 

 
Gemelli bio-diversi? Ibridi? Autoctoni? Facciamo chiarezza sui frumenti italiani.
 
 
Negli ultimi anni sono sempre di più le antiche varietà di grano riscoperte e rilanciate sul mercato, un bene per la biodiversità e per le coltivazioni "autoctone" italiane? Certamente, anche se con qualche sorpresa. Ne parliamo con un esperto, il Dottor Norberto Pogna, Direttore dell'"Unità di ricerca per la valorizzazione qualitativa dei cereali" del Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA) di Roma.
farina bianca Ed ecco la prima sorpresa, è piuttosto difficile parlare oggi di varietà autoctone, nel senso stretto del termine, almeno per quanto riguarda il grano duro e tenero italiano. Spiega infatti il Dottor Pogna, che in effetti parlare di varietà autoctone di grano è improprio, "già a partire dal XIX secolo con l'avvento della genetica, le varietà di grano sono state continuamente migliorate con una serie di incroci con grano di diversa origine per ottenere caratteristiche diverse. Buona parte delle varietà di grano che oggi definiamo italiane, ad esempio, derivano da incroci effettuati attorno ai primi del '900 anche con varietà giapponesi. Ed è sempre stata pratica comune ibridare le varietà di grano con altre di origine europea o extraeuropea per cambiare le sementi e introdurre novità".  
campo di granoSenza dimenticare che la coltivazione del grano è diffusa dal Neolitico, e sin dall'antichità sementi coltivate in ogni parte del mondo conosciuto venivano continuamente scambiate e commerciate. "Se però fino all'800 si contavano relativamente poche varietà di grano coltivate – prosegue il Dottor Pogna – oggi contiamo nel mondo oltre 25.000 varietà diverse, cui solo in Italia se ne aggiungono almeno una decina all'anno di nuove. spigheSe prendiamo l’esempio del Creso (una della varietà di grano duro più diffuse NdR), possiamo dire che effettivamente il 50% derivi da questa varietà, ma ibridata con continui incroci con grano proveniente ad esempio da Messico, Anatolia o Nord America, tanto che possiamo considerare il Creso originale come un trisavolo del grano che conosciamo oggi. La coltivazione del grano, insomma, si traduce in un costante ricambio che deriva da continui scambi e sperimentazioni. In pratica è realistico pensare che la pasta o il pane che mangiamo oggi non siano gli stessi di 10 o 20 anni fa, anche se li compriamo dagli stessi fornitori”
 
Un bene per la biodiversità?
grano tumminia"In realtà – aggiunge Pogna – la biodiversità in questo modo potrebbe tendere a ridursi nel tempo, dal momento che tutte le varietà sono in qualche modo imparentate tra loro. Tecnicamente succede questo: nel momento in cui si procede ad un incrocio tra varietà di grano provenienti da aree geografiche diverse si aumenta la variabilità genetica in questa specie, perché le progenie di questo incrocio possiedono nuove combinazioni di geni mai viste prima. Se il processo terminasse qui la biodiversità crescerebbe. Tuttavia le progenie del suddetto incrocio vengono selezionate dal costitutore genetico, e solo quelle piante che rispondono ai requisiti di alta produttività, resistenza ai patogeni, bassa taglia, elevata qualità panificatoria e pastificatoria, ecc. diventeranno nuove varietà coltivate. Queste ultime saranno poi utilizzate come genitori per altri incroci. Ne risulta che nelle varietà di interesse commerciale troviamo una forte somiglianza genetica dovuta alla presenza di geni principali ereditati da poche piante parentali. un campo agricoloPer fare un esempio, nelle varietà italiane di grano tenero troviamo spesso una coppia di geni (Rht8 e Ppd-D1) che sono stati forniti dalla varietà giapponese Akakomugi usata da Nazareno Strampelli, un famoso genetista italiano attivo nei primi decenni dello scorso secolo, per produrre le varietà Ardito, Mentana, Villa Glori, Damiano Chiesa, San Pastore ecc., dalle quali derivano moltissime varietà coltivate attualmente in Italia, ma anche in Russia, Australia, Cina, Argentina, eccetera. Questi due geni abbassano la taglia della pianta e ne anticipano la fioritura. Anche nella varietà di grano duro Creso troviamo geni forniti dalla varietà di grano duro Senatore Cappelli (ottenuta da Strampelli incrociando una pianta di grano tenero italiana con una pianta di grano duro tunisina) e da una varietà di grano tenero giapponese nota come Norin 10, la quale ha contribuito ad abbassare la taglia delle varietà di grano duro coltivate nell'ultimo mezzo secolo in Italia e nel resto del mondo!”.
 
chicchi di kamutRecentemente si registra un successo crescente, testimoniato dalla progressiva comparsa sugli scaffali dei supermercati, di prodotti a base di farro, grano monococco e Kamut® (o Saragolla!!), in che cosa si differenziano? 
"Le specie di grano note come Saragolla, farro e grano monococco sono diverse dal grano tenero e dal grano duro perché non sono state sottoposte a processi di miglioramento genetico basati sull'incrocio e la selezione. farro perlatoIl farro (Triticum dicoccum) è stato ampiamente coltivato da egizi e romani per migliaia di anni ed è rimasto in coltivazione in Italia su ampie superfici fino al 1600. Attualmente è coltivato su piccoli appezzamenti,  principalmente nelle aree appenniniche dell'Italia centrale. Purtroppo non abbiamo a disposizione molte varietà di farro, forse una decina. Saragolla (una varietà lucana recentemente riscoperta, che sarebbe stata portata dalla Bulgaria da un gruppo di crociati nel '400, da cui il nome, derivato dal bulgaro sàrga e gòlyio, grano giallo – NdR) ed il più famoso Kamut® (che ricordiamo, è un marchio commerciale americano NdR)appartengono alla specie Triticum turanicum, molto vicina geneticamente al farro e al grano duro. farina tumminiaAnche in questo caso la variabilità genetica (biodiversità) è estremamente ridotta; tra l'altro Saragolla e Kamut® sono pressoché identici geneticamente. Nel caso del grano monococco (Triticum monococcum) abbiamo a che fare con il più antico dei frumenti coltivati dall'uomo (una curiosità: resti di grano monococco, recentemente riscoperto e reintrodotto nel veneto e nel bresciano, sono stati ritrovati nello stomaco di Ötzi, la mummia scoperta in Val Senales NdR)ceste di farina biancaPer circa 6000 anni, dal 8000 al 2000 a.C., è stato coltivato in tutti i paesi dell'area mediterranea, isole escluse, per venire poi abbandonato a favore del farro perché più produttivo. Fino a pochi anni fa, il grano monococco era una curiosità botanica, solo recentemente è stato riportato in coltivazione in ristrette aree rurali in Francia, Germania, Austria ed Italia. Le varietà commerciali di grano monococco si contano sulle dita di una mano, ma nelle banche dei semi sono raccolte circa 2.000 popolazioni diverse di questa specie".
 
millet, le spigolatriciCosa possiamo fare per preservare la biodiversità del grano?
"Per fornire alimenti ad una popolazione mondiale in continua crescita non possiamo aumentare la superficie agricola a scapito delle aree forestali o di quelle naturali dove si mantiene la biodiversità vegetale. Dobbiamo sviluppare varietà ad alta resa (alta produzione per unità di superficie) e ad alta efficienza (bassi costi di produzione e ridotto impatto ambientale in termini di consumo di acqua e di suolo) ottenibili solo attraverso gli strumenti tecnico-scientifici a nostra disposizione (incrocio e selezione, mutagenesi, transgenesi ecc). D'altra parte dobbiamo preservare la variabilità genetica perché ci serviranno sempre nuovi geni per migliorare le future varietà”.
 
Un aiuto prezioso può venire dalle banche dei semi, la sede della banca italiana del germoplasma vegetale è l'Istituto di Genetica Vegetale del CNR di Bari, noto precedentemente come Istituto del Germoplasma.