29 giugno 2011

Contro la crisi alimentare 'Produrre di più con meno', la via da seguire secondo la FAO




Dalla pubblicazione "Save and grow" della FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura), redatto dalla Divisione Produzione Vegetale e Protezione delle Piante, emerge chiaramente la necessità di invertire la rotta nelle strategie della produzione del cibo verso una produzione più "verde". Secondo il lavoro, le colture intensive hanno permesso di offrire una maggiore disponibilità di cibo e così ridurre il numero di persone in condizione di sopravvivenza alimentare. A questo risultato positivo tuttavia si contrappone l'alto prezzo pagato, soprattutto dai Paesi in via di sviluppo, di decenni di coltivazione intensiva: il degrado della fertilità dei suoli, l'inquinamento delle falde acquifere, la perdita di biodiversit à e l'inquinamento dell'aria. Considerando che la popolazione mondiale è in aumento (si pensa che raggiunga i 9,2 miliardi di individui nel 2050) la soluzione più immediata secondo la logica del profitto a breve termine, sarebbe quella di intensificare maggiormente la produzione alimentare. Questa strategia però, secondo la FAO, non tiene conto delle contingenze che il mondo sta vivendo. I rendimenti delle colture dei principali cereali è in calo e gli agricoltori si trovano a fare i conti con la concorrenza per l'utilizzo della terra e dell'acqua, le impennate dei prezzi delle materie prime e dei carburanti, gli effetti dei cambiamenti climatici. La proposta che la Fao, invece, propone è quella del"save and grow" ossia riuscire a produrre più cibo "conservando le risorse naturali risparmiando tempo e fondi adottando l'agricoltura di conservazione che minimizza il lavoro della terra, salvaguardando il suolo, arricchendolo, con la rotaz ione fra cereali e legumi". In altre parole orientare la produzione agricola verso una pratica eco-sostenibile dell'attività. L'attuazione sperimentale di questo progetto nell'Africa del sud ha portato, secondo Jacques Diouf, direttore generale della FAO, ad un rendimento sei volte superiore della coltivazione del mais "i metodi semplici permettono di ridurre del 30 per cento i consumi dell'acqua e fino al 60 per cento dei costi dell'energia utilizzata nella produzione".



Il bio per uscire dalla crisi alimentare. Lo dice l’ONU
Si fa tanto parlare di nuova crisi alimentare, alti prezzi del cibo e bassi redditi per gli agricoltori e di come la soluzione sia l’iniezione tecnologica, soprattutto verso le agricolture più arretrate. Non sembra proprio la ricetta corretta.
Alla recente Quarta Conferenza delle Nazioni Unite sui paesi meno sviluppati, l’UNCTAD, la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo, e il Programma ambientale dell'ONU (UNEP) hanno lanciato il cortometraggio sul tema "Agricoltura biologica: una buona opzione per i paesi meno sviluppati".
Ancor più rivelante, un documento politico dell’UNCTAD su "Agricoltura sostenibile e sicurezza alimentare nei paesi meno sviluppati" chiede una "trasformazione fondamentale, anche una rivoluzione, in agricoltura", al fine di affrontare i problemi delle nelle zone rurali dei paesi meno sviluppati. “Questa rivoluzione non dovrebbe essere basata su input esterni costosi e importati. I governi spendono grandi quantità delle loro riserve in valuta straniera su prodotti chimici di sintesi, importandoli per oltre il 90% dei prodotti chimici utilizzati in agricoltura”.
Al contrario, l’UNCTAD afferma che la trasformazione deve essere basata sull’agricoltura sostenibile, concentrandosi sulla intensificazione ecologica della produzione agricola, e non sulla chimica. L’alternativa strategica secondo l’UNCTAD è anche per i paesi meno avanzati l'agricoltura sostenibile, a partire dall’agricoltura biologica: compostaggio, pacciamatura, rotazione delle colture, consociazioni, approcci agro-forestali, controllo biologico dei parassiti, concimi verdi, riciclo dei nutrienti, integrazione di coltivazione e allevamento del bestiame, raccolta dell'acqua, uso e ulteriore sviluppo di varietà autoctone, sono citate nel documento come buone prassi agronomiche, ma infondo anche economiche, sociali e politiche.
L'analisi UNEP-UNCTAD di 114 casi in Africa rivela che l’adozione dell’agricola biologica ha portato all’aumento dei rendimenti del 116%. Inoltre l'impatto positivo dura in quanto si basa sul rafforzamento dei cinque tipi di capitale rilevante per le comunità agricole: umano, sociale, naturale, finanziario e materiale. L’utilizzo di risorse locali ha infatti un effetto moltiplicatore positivo sull'economia locale attraverso la creazione di posti di lavoro e migliora i redditi e la sicurezza alimentare in tutta la comunità. 
Nonostante gli evidenti vantaggi sono pochi i donatori e i governi a prestare attenzione o fondi per sostenere lo sviluppo di un'agricoltura sostenibile. Una notevole eccezione è il governo regionale del Tigray, in Etiopia, che fornisce servizi di consulenza in tecniche di agricoltura sostenibile, in particolare il compostaggio, la prevenzione dell'erosione del suolo e dell'acqua raccolta. Questa regione ha visto raddoppiare i raccolti e diminuire il ricorso all’agrochimica del 95%.

15 maggio 2011

Sodio e sale nell’alimentazione: elementi di riflessione


L’aggiunta di cloruro di sodio (cioè di sale) ai cibi è relativamente recente nella storia dell’uomo. In origine, la fonte dietetica del sale era esclusivamente la quota, pari a non più di 1 grammo al giorno, naturalmente contenuta negli alimenti; ma già 5-10.000 anni fa l’uomo ha iniziato ad insaporire la propria dieta aggiungendo sale. In quantità crescenti: tanto che la prima osservazione sugli effetti negativi dell’eccesso di questo composto, formulata da un medico cinese, risale addirittura al 1700 a. C.
Nella società moderna, il consumo giornaliero di sale ha ormai raggiunto livelli decisamente elevati. In Italia, secondo i dati INRAN, ne consumiamo circa 10 grammi/die (pari a circa 4 grammi di sodio): un valore ben oltre i livelli raccomandati, che, sempre secondo l’INRAN, non dovrebbero eccedere i 6 grammi di sale (o i 2,4 grammi di sodio) al giorno. I termini sale e sodio sono spesso usati come sinonimi, per chiarezza è utile precisare che il sale è composto dal 40% di sodio(Na+) a da 60% di (Cl-), e che quindi un grammo di sodio è equivalente a 2,55 g di sale.
E’ importante ricordare che il sale (e quindi il sodio) introdotto con la dieta può derivare da più fonti. Molte tecniche di preparazione (e di conservazione) utilizzano il sale più o meno abbondantemente; il sodio, inoltre, è presente in quantità non trascurabili in molti farmaci, spesso anche di uso cronico.
L’eccessivo apporto di sale con la dieta si associa, secondo un’ampia serie di osservazioni epidemiologiche, ad un’aumentata probabilità di sviluppare fattori di rischio (o patologie): come l’aumento dei valori pressori (ed una delle sue più temibili complicanze, l’emorragia cerebrale), l’aumento dell’escrezione urinaria di calcio, che porta alla riduzione del tenore calcico nelle ossa e alla formazione di calcoli renali, la ritenzione idrosalina, che può peggiorare il quadro dello scompenso cardiaco congestizio, e ad una tendenza all’obesità; il sale porta inoltre ad un peggioramento della sintomatologia asmatica ed al rischio di cancro dello stomaco. A proposito di questo tipo di neoplasia è interessante rilevare che la sua Incidenza, nei paesi industrializzati, ha subito una brusca riduzione verso la metà del ‘900, in concomitanza con la diffusione delle tecniche di refrigerazione per la conservazione di cibi come la carne, il pesce, le verdure: e quindi con il progressivo abbandono della conservazione sotto sale, ormai limitata a preparazioni particolari, che ne condizionava grandemente il rischio di comparsa.