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04 febbraio 2017

Acne e nutrizione: facciamo il punto

Negli ultimi decenni sono stati pubblicati diversi studi, seppur con caratteristiche diverse, che mettono in luce la relazione tra nutrizione e acne. In Germania con questo lavoro si è voluto valutare la qualità, in termini di ampiezza del campione alimentare e della progettazione, di quanto oggi reperibile in letteratura. Prima conclusione a cui giungono gli autori è che l'attuale sistema di raccolta delle prove relative agli effetti della nutrizione sulle malattie della pelle può essere migliorato soprattutto per ciò che riguarda la metodicità nell'indagare i cambiamenti di abitudini alimentari per sesso ed età dei soggetti che partecipano agli studi di efficacia dei farmaci. Tuttavia, nel rivedere la recente letteratura scientifica, alcuni punti fermi si possono mettere: latte e alimenti con un alto carico glicemico sono i migliori candidati come responsabili dell'innesco del processo acneico, anche se i dati raccolti non permettono comunque di impostare raccomandazioni nutrizionali. Per l'acne sono stati presi in esame oltre 140 alimenti e, all'interno di questo numero, ne esistono una ventina (tra cui latte, cioccolato, formaggio e formaggio light, carboidrati ad alto indice glicemico, pizza) che sono stati valutati in diversi studi presi in esame: questo elenco può, secondo gli autori, essere di aiuto ai professionisti per fornire raccomandazioni ai pazienti con questa problematica dermatologica. Dato il numero sempre crescente di persone che si trovano a dover fare i conti con questa problematica e la crescente evidenza del ruolo della nutrizione in ambito dermatologico, varrebbe la pena partire dai risultati di questa review per progettare uno studio nutrizionale caratterizzato dai criteri più attuali di rigore metodologico.

Bibliografia:
Acta Derm Venereol. 2017 Jan 4;96(7):7-9.

Silvia Ambrogio


http://www.nutrizione33.it/cont/aggiornamento-scientifico/articoli/29963/acne-nutrizione-facciamo-punto.aspx#.WJWpU9LhCHs 

12 novembre 2016

Alzheimer, demenza e omocisteina di Omar Vassalli



L’omocisteina è un aminoacido che si forma, nel nostro corpo, a partire dalla metionina. La metionina è un aminoacido essenziale, ciò significa che è necessario che sia presente nella nostra dieta in quanto il nostro corpo non è in grado di produrlo. Questo aminoacido, la metionina, e comunemente presente negli alimenti ricchi in proteine, in particolare in quelli  di origine animale come carne, uova e formaggio.
Purtroppo l’omocisteina è un aminoacido molto tossico che tende a danneggiare le arterie, conducendo a problemi di malattie cardiovascolari e sembra pure legata a malattie come l’Alzheimer ed in generale alla demenza senile.
Circa il 20% delle persone sopra i 75 anni presenta problemi legati all’Alzheimer oppure alla demenza.
Un alto livello di omocisteina nel sangue può quindi creare i seguenti danni:
  • Danni al cervello
  • Perdita di memoria
  • Perdita delle capacità cognitive
  • Danni alle arterie
Fortunatamente il nostro corpo è in grado di convertire questo aminoacido tossico, l’omocisteina, in metionina oppure in cisteina che è un altro aminoacido.
Per poter far questo è importante che la nostra dieta sia ricca nelle seguenti vitamine;
  • B12 (supplementi)
  • B6 (semi di girasole, pistacchi, banana, avocado e spinaci)
  • Folato (fagioli, foglie verdi come spinaci)
In un esperimenti si è visto che somministrando per 2 anni le vitamine del gruppo B, precedentemente elencate, si è constatato una significativa riduzione del processo di deterioramento del cervello che si ha con l’invecchiamento. Questa supplementazione ha ridotto il processo di deterioramento del cervello, che si vede nei pazienti affetti di Alzheimer, di ben 6 volte!
Il beneficio della supplementazione si verifica solo nelle persone che hanno una marcata carenza in queste vitamine.
I gruppi più a rischio nell’avere un alto livello di omocisteina sembrano essere i vegani. Questo in un primo momento sembra essere un paradosso perché i vegani non consumando proteine animali hanno un basso apporto di metionina, che è il precursore della omocisteina, in altre parole la omocisteina viene prodtta a partire dalla metionina. Sappiamo che dopo un pasto ricco in metionina la concentrazione di omocisteina nel sangue aumenta significativamente. Il problema di una dieta vegana malamente pianificata è che è totalmente priva di vitamina B12 e spesso è anche povera in zinco per cui queste due carenze favoriscono una forte accumulo di omocisteina nel sangue, incrementando conseguentemente i rischi delle patologie associate a questa sostanza tossica.
Infatti i livello di omocisteina nei vari gruppi di persone in uno studio è risultato il seguente:
Livello di omocisteina nel sangue
  • Onnivori: 11
  • Vegetariani 14
  • Vegani 16,4
Questi pessimi risultati sono legati ai bassi livelli di vitamina B12 nel sangue che risulta essere quanto segue nei vari gruppi:
Livello di vitamina B12 nel sangue
  • Onnivori: 303
  • Vegetariani 209
  • Vegani 175
Purtroppo molti vegani, a causa di un basso livello di vitamina B12 nel sangue, hanno alti livelli di omocisteina per cui sono a forte rischio di sviluppare Alzheimer e la demenza senile nonché certe malattie cardiovascolari.
Se un vegano assume una quantità adeguata di vitamina B12 il suo livello di omocisteina scende da 16.4, come abbiamo visto precedentemente, a 5! Che è il valore più basso in assoluto tra i vari gruppi. Quindi è fondamentale per i vegani assumere la vitamina B12 altrimenti si perdono i vantaggi di una dieta vegana.
Con una dieta vegana opportunamente pianificata è possibili abbassare il livello di omocisteina nel sangue del 20% in una sola settimana.
Le fibre presenti negli alimenti di origine vegetale tendono a favorire lo sviluppo della nostra flora intestinale che è capace di produrre il folato.

Conclusione: un alto livello di omocisteina nel sangue indica che abbiamo un forte rischio di sviluppare delle malattie cardiovascolare oppure di venire colpiti dall’Alzheimer o in generale della demenza negli anni avanzati della nostra vita. Il modo migliore per tenere basso il livello di omocisteina è quello di adottare una dieta vegana, o in generale ridurre l’apporto di proteine ricche in metionina associata obbligatoriamente ad un buon apporto in vitamina B12, B2, Betaina e dello zinco. Senza l’assunzione di vitamina B12 attraverso i supplementi una dieta vegana può essere più pericolosa rispetto ad una dieta onnivora, da questo punto di vista.


30 settembre 2016

Prebiotici ad alta specificità per lattobacilli e bifidobatteri

da DOTT. F.DI PIERRO il 28 FEBBRAIO 2013



L’intestino di un soggetto adulto ospita circa 500 specie unicellulari. Queste, quasi tutte batteriche, vengono identificate come ‘flora’ o ‘microflora’ intestinale con funzioni fondamentali e vitali per il benessere e la sopravvivenza stessa dell’individuo.
L’intestino umano, sterile alla nascita, viene rapidamente colonizzato da microrganismi (piogeni, patogeni, funghi e altri più rari organismi unicellulari) fino ad ammontare, in un individuo adulto, a circa 1014 cellule vive.
Lo sviluppo della flora intestinale segue uno schema ben noto: all’inizio l’intestino è sterile nell’utero materno, e subisce la prima contaminazione per via orale a partire dalla flora vaginale materna. Tra il 20° giorno dalla nascita, e fino al 4°-6° mese di vita, si sviluppa una flora primariamente costituita da bifidobatteri. Con lo svezzamento si assiste ad una lenta transizione che condurrà infine il giovane intestino ad una composizione  sovrapponibile a quella  tipica di un soggetto adulto.
Una volta stabilizzata nell’intestino adulto, la flora risulterà essere piuttosto segmento-specifica lungo l’asse gastrointestinale: lo stomaco, con meno di 104 microrganismi totali/ml, conterrà essenzialmente i generi candida, helicobacter, lattobacillus e streptococcus; il duodeno e il digiuno (circa 104 /10 5 cellule totali/ml) conterranno bacteroides, candida, lattobacillus e streptococcus; l’ileo (circa 107 /108 cellule totali/ml) conterrà bacteroides, clostridium, enterococcus, lattobacillus e veillonella; il colon (circa 1010/1011 cellule totali/ml) conterrà bacteroides, bacillus, bifidobacterium, clostridium, enterococcus, eubacterium, fusobacterium, peptostreptococcus, ruminococcus, streptococcus.
Un’analisi numerica, non segmento-specifica, consente invece di evidenziare le popolazioni in relazione alla loro presenza quantitativa totale. In base a quest’analisi riconosciamo: 1010 bacteroidi
(organismi patogeni solo nei tessuti al di fuori dell’ambito intestinale); 109 bifidobatteri; 109 eubacteriaceae (tra cui coliformi e clostridi non necessariamente patogeni); 109 streptococchi e 108 batteri lattici. Nel loro insieme compongono la microflora.
Per quanto concerne il trattamento prebiotico, è potenzialmente possibile costituire uno strumento preventivo-terapeutico per le disbiosi in genere, tenendo in attenta considerazione i rapporti quantitativi tra bifidobatteri e batteri lattici che, nel loro insieme, sono il reale bersaglio del trattamento prebiotico (Composizione prebiotica ad alta specificità per lattobacilli e bifido batteri in prevenzione e trattamento delle alterazioni della flora intestinale, F. Di Pierro, A. Callegari, M. Speroni, R. Prazzoli, G. Rapacioli, L’ Integratore Nutrizionale 2009, 12 ).
Largamente riconosciuti dalla comunità scientifica come in grado di influenzare positivamente il benessere intestinale inteso come capacità immunologica, digestiva, di transito, anti-stipsi, anti-diarroica e di assorbimento dei nutrienti, bifidi e lattobacilli possono essere infatti ‘alimentati’ ricorrendo all’uso di fibre prebiotiche, costituendo queste un vero e proprio substrato nutritizio solo per queste due specie batteriche.
Secondo la definizione del Ministero della Salute ‘le fibre prebiotiche sono sostanze non digeribili di origine alimentare che, quando assunte in quantità adeguata, favoriscono selettivamente la crescita e l’attività di uno o più batteri già presenti nel tratto intestinale o che vengono assunti insieme al prebiotico’.
Fibre prebiotiche scientificamente documentate, e quindi impiegabili in sicurezza, per uso umano sono: l’inulina, i galatto-oligosaccaridi  (GOS), i frutto-oligosaccaridi (FOS), il lattosaccarosio, le pirodestrine, i soia-oligosaccaridi, i trans-galatto-oligosaccaridi, gli isomalto-oligosaccaridi, il lattilolo, il lattulosio, gli xilo-oligosaccaridi e il polidestrosio.
  • Fibre bifido-specifiche.
L’inulina è una miscela di oligosaccaridi caratterizzata dalla presenza di fruttosio polimerico a 10-12 subunità (legame beta-2-1-glucosidico); è presente in natura e rintracciabile, ad esempio, nella radice di Cichorium intybus (la comune cicoria) e in altre specie vegetali. L’inulina è una fibra bifido-specifica.
GOS sono invece oligomeri del galattosio (epimero del glucosio), ma anch’essi mostrano elevata ceppo-specificità verso i bifidobatteri.
FOS sono polimeri a corta catena, contenenti alternanza di D-fruttosio e D-glucosio (3-5 subunità). Anche i FOS sono fibre bifido-specifiche.
  • Fibre lattobacillo-specifiche.
Gli isomalto-oligosaccaridi (IMO) sono polimeri dell’isomalto, a sua volta disaccaride costituito da glucosio e mannitolo, fermentabili anche, e principalmente, dai batteri lattici.
Il lattilolo e il lattulosio sono fibre disaccaridiche analoghe (D-lattosio e D-fruttosio) ottenute per via semi-sintetica e normalmente impiegate nel trattamento della costipazione e dell’encefalopatia epatica. Sono anch’esse fermentabili anche dai lattobacilli ad acidi organici a corta catena (lattato, acetato, butirrato e propinato).
Infine il polidestrosio, polimero del destrosio, che è invece particolarmente fermentabile dai batteri lattici.
Già da questa elencazione è possibile notare un certo grado di specificità, per genere, in favore delle fibre con caratteristiche di bifidogenicità, almeno in termini numerici. La conoscenza di questa caratteristica però non è sufficiente per elaborare, sotto il profilo teorico, un optimum nutrizionale prebiotico.
Altre caratteristiche devono infatti essere considerate: il rapporto numerico tra le popolazioni, la loro locazione specifica (soprattutto a livello di colon ascendente, trasverso e discendente) e il grado di fermentabilità di una determinata fibra nei diversi acidi organici a corta catena.
  • Correlazioni numeriche necessarie alla corretta formulazione della miscela prebiotica.
Come già detto, in un intestino sano i due ceppi, bifidobacterium e lattobacillus, coesistono in rapporto 10:1: di conseguenza i componenti prebiotici bifidogenici e lattogenici dovranno essere opportunamente miscelati in rapporto 10:1 così da riprodurre le naturali proporzioni intestinali.
Tra i bifidogenici, particolare attenzione deve essere rivolta soprattutto ai rapporti tra inulina, GOS e FOS; nell’insieme tali fibre risultano essere la scelta d’elezione, se non altro per mole di documentazione disponibile in ambito clinico.
Degno di nota e rilievo, GOS e FOS sono naturalmente presenti, in rapporto 9:1, nel latte materno. Questo rapporto deve essere ritenuto  fondamentale, e quindi mantenuto invariato, se si considera il latte materno come il primo elemento dietetico naturale formante la microflora intestinale bilanciata del neonato.
In considerazione del fatto che GOS e FOS hanno tempi di fermentabilità più brevi, e quindi teoricamente vengono scisse nella prima porzione del colon, rispetto all’inulina, a sua volta fermentata specialmente nel tratto finale di quest’ultimo, la miscela GOS/FOS dovrà risultare in rapporto 1:1 con l’inulina.
Essendo inoltre bifidobatteri e lattobacilli bilanciati, in un intestino sano, in rapporto 10:1, la quota di fibra bifidogenica dovrà essere in rapporto 10:1 con quella lattogenica.
Nel formulare quest’ultima, la miscela con caratteristiche di lattogenicità, bisognerà poi valutare la necessità di avere fibre capaci di determinare da parte loro una equa e proporzionata produzione di acidi organici a corta catena, avendo questi (butirrato, propionato, acetato e lattato) un ruolo trofico per l’epitelio intestinale e anti-patogenico differente. In questo senso la miscela di fibre funzionalmente più attiva è costituita dalla miscelazione, in rapporto 2:1:1, di isomaltooligosaccaride:lattulosio:polidestrosio.
  • Composizione e sicurezza della miscela prebiotica.
Sulla base di quanto fin qui descritto, e con l’obiettivo di ottenere un formulato ad azione prebiotica specifica, è stata sviluppata una miscela costituita da: inulina, GOS, FOS, isomalto-oligosaccaride, lattulosio e polidestrosio.
Su tale formulato, oggetto di brevetto, è stato condotto uno studio di  tossicità orale acuta (dose  fissa) somministrando una dose di 2000 mg/kg/per os ad un gruppo di 5 ratti femmina (SD) mediante sondino gastrico. Secondo i risultati di tale studio la miscela prebiotica risulta priva di tossicità.
Il preparato prebiotico in oggetto è stato sottoposto ad indagine clinica pilota ambulatoriale su 10 pazienti con diagnosi di sindrome del colon irritabile (IBS) già trattata con un preparato a base di olio essenziale di menta microincapsulato e risolta, almeno in termini di manifestazione dolorosa, ma nei quali sussisteva ancora un’evidente produzione di gas intestinale con discomfort e possibile  evidenza di alvo alterno, diarrea e stipsi in linea con un quadro di disbiosi e alterazione della flora.
Questi soggetti (8 femmine e 2 maschi) di età compresa tra i 18 e i 55 anni, in assenza di ulteriore diversa terapia, sono stati trattati con una bustina di prodotto al giorno, al mattino a stomaco vuoto, per 14 giorni.
Ad inizio e fin  trattamento, mediante scala analogico visiva di Scott-Huskisson (score tra 0 e 10), è stata eseguita una valutazione sintomatologica. Da tale valutazione si evince come il prodotto, dopo 14 giorni di terapia riduca sensibilmente la produzione di gas intestinali ed il discomfort conseguente, contrastando efficacemente anche i quadri di alvo alterno e diarrea e, parzialmente, quelli di stipsi che residua evidente in un paziente su due.
Il prodotto inoltre è risultato ben tollerato e, tranne un episodio di cefalea, non sono stati registrati segni avversi sicuramente imputabili al trattamento e, di conseguenza, nessun caso di abbandono è stato registrato.
  • Conclusioni.
Le alterazioni della flora intestinale, secondarie ad IBS, antibiotico-terapia, sbilanciamenti dietetici, stress, colite, diarrea ad eziologia varia, etc, vengono oggi trattate principalmente con farmaci (principalmente OTC) e/o integratori alimentari contenenti ingredienti probiotici e/o prebiotici.
Nonostante i probiotici abbiano nella scarsa vitalità dei ceppi impiegati nel formulato finito, sempre più spesso rivendicato come ‘stabile’ anche a temperatura ambiente, il loro grande limite, i prebiotici vengono, nella maggior parte dei casi, considerati complementi di formula che consentono semplicemente al prodotto probiotico di essere rivendicato come simbiotico grazie alla loro presenza.
Al contrario, oltre ad essere un valido principio attivo, le fibre prebiotiche hanno il grande vantaggio di essere facilmente stabilizzate all’interno del formulato finito.
Per esse, inoltre, non deve essere verificata la vitalità dopo il superamento della barriera gastrica  e di quella biliare e, soprattutto, non devono essere eseguiti test per verificarne la capacità colonizzante. Anche lo svantaggio, non certo loro esclusivo, di provocare gonfiore, meteorismo e flatulenza può essere poi modulato razionalizzando i dosaggi e le posologie giornaliere.
Nonostante ciò, l’attivo a funzione prebiotico non viene considerato con l’attenzione che, quindi, meriterebbe.
Con una evidente inversione di tendenza, il nostro gruppo di ricerca (Velleja Research) ha sviluppato un preparato a base di fibre prebiotiche partendo dalla considerazione che queste sono nutrizionalmente valide esclusivamente per ceppi di bifidobatteri e lattobacilli che, a loro volta, colonizzano l’intestino sano secondo un determinato rapporto.
La miscela prebiotica formulata è frutto di tutte queste considerazioni e, per questo, è da considerarsi il primo esempio nutrizionale di miscela di fibre prebiotiche sviluppata per un’azione specifica sulla microflora intestinale residente.

17 settembre 2016

Nutraceutica Con le Alghe




L’alimentazione nutriceutica con le alghe è un metodo di prevenzione e riequilibrio psico-fisico ed energetico.
Consiste nell’assunzione sistematica e razionale di alghe marine e microalghe allo scopo di apportare all’organismo micronutrienti essenziali alla riattivazione e al corretto funzionamento delle funzioni cellulari e dei processi metabolici.
L’alimentazione nutriceutica con le alghe ha lo scopo di bilanciare la nutrizione incrementandone l’aspetto qualitativo e può essere di per se sufficiente a risolvere rapidamente alcuni aspetti patologici sintomatici, oppure fungere da rimedio diatesico (es. diatesi linfatica) e del terreno, piuttosto che di correzione dismetabolica.
L’alimentazione nutriceutica con le alghe offre un’opportunità a:
  • individui  sani che desiderano aumentare le probabilità di rimanere in salute per il resto della vita;
  • persone disposte a cambiare modo di vita e di alimentazione per conseguire uno stato di buona salute;
  • persone che già soffrono di malattie o di problemi fisici e mentali.

Quest’ultimo gruppo di persone potrà praticare l’alimentazione nutriceutica con le alghe come terapia, mentre per i primi due gruppi i programmi saranno integrati nel contesto di una medicina squisitamente preventiva.
Le malattie dovute ad un eccesso o a un difetto di alimentazione sono provocate dalla malnutrizione. Si può parlare quindi di malnutrizione per eccesso di apporto nutritivo (obesità, diabete e ipertensione), per difetto (gozzo, rachitismo e anemia), e per squilibrio (malattie cardiovascolari, tumori e carie dentali). Un malassorbimento delle sostanze nutritive può causare la Celiachia. Ci sono poi malattie provocate da disturbi psicologici che portano ad un cattivo rapporto col cibo come l’Anoressia e la Bulimia.
Gli squilibri biochimici che derivano da una nutrizione che nel corso di molte generazioni si è mantenuta scorretta, vengono espressi geneticamente come debolezze di uno specifico processo dell'organismo. Se i geni determinano la predisposizione a particolari problemi di salute, il lungo processo necessario perchè si manifesti una malattia cronica degenerativa può venire favorito, ma anche bloccato, dalle condizioni ambientali (cibo, aria, acqua, luogo) e dallo stile di vita (stress, fumo, attività fisica, ecc...). Pertanto a determinare se una predisposizione può trasformarsi in autentico fattore di rischio, dipende dalle consuetudini di vita del singolo.
L'inquinamento ambientale e l'impoverimento nutrizionale degli alimenti causato dalle coltivazioni intensive, concimazioni chimiche, raffinazioni, additivi vari, mangimi scadenti, sono eventi piuttosto recenti che non hanno dato tempo all'uomo di adattarsi perché i geni hanno bisogno di molto tempo per evolversi. L'alimentazione dell'uomo moderno abbonda di calorie vuote e lo stress, che aumenta il fabbisogno di micronutrienti, fa parte della vita quotidiana; pertanto le carenze sono molto diffuse e una cellula malnutrita funzionerà sempre più lentamente fino a deteriorarsi. I fenomeni ossidativi che si accumulano nelle cellule e l'acidosi tissutale sono la causa di molte malattie degenerative e dell'invecchiamento precoce. Gli antiossidanti alimentari e i cibi alcalini (come sono in particolar modo le alghe) svolgono un ruolo essenziale nel mantenimento dell'integrità della cellula. Le sostanze derivanti dall'alimentazione sono in grado di influenzare l'equilibrio cellulare e quindi anche dei sistemi che regolano l'intero organismo. Introducendo quotidianamente nell’organismo le alghe come cibo funzionale si mettono le cellule che compongono il corpo umano incondizione di funzionare al meglio delle loro possibilità consentendo di raggiungere il massimo potenziale di salute.
La natura non fornisce mai micronutrienti isolati, ma solo complessi sinergici, armonici, sì da ottenere il massimo dei risultati con il minimo degli sforzi.
I micronutrienti delle alghe non sono farmaci e neppure integratori. Essi sono, veri e propri alimenti che la natura ha adattato alle esigenze delle cellule viventi attraverso centinaia di milioni di anni di evoluzione.
Con i micronutrienti delle alghe quindi non si hanno controindicazioni; non sono minimamente pericolosi, non danno reazioni collaterali, non creano assuefazione, non producono fenomeni di sommazione nè di interazione con farmaci, prodotti medicinali omeopatici, fitoterapici o floriterapici  che si stanno assumendo.
Se si forniscono costantemente all'organismo tutti i micronutrienti essenziali in quantità ottimale si potenzia l'attività dei sistemi enzimatici. Pertanto si può regolarizzare ed accresce l'azione degli ormoni, aumentare l'efficacia dei sistemi di difesa (sistema immunitario ed altri) e di ricostituzione dei tessuti, l'efficienza di tutti gli organi ed apparati dell'organismo. Si può avere addirittura una rigenerazione delle cellule e un vero e proprio ringiovanimento.
I micronutrienti delle alghe (veri e propri alimenti) sono oggi il mezzo più potente e più naturale per prevenire le disfunzioni ed il logorio dell'organismo, per prolungare la vita mantenendosi in buona salute.
Con l'assunzione regolare di tutti i principali micronutrienti si possono rafforzare le difese dell'organismo e la sua efficienza. L'organismo stesso provvederà, con i mezzi fornitigli dalla natura, ad eliminare le disfunzioni che lo affliggono o a tenerle a bada in modo da poter vivere meglio. E' per questo motivo che i micronutrienti servono, indirettamente, per combattere malattie assai diverse fra di loro, anche contemporaneamente.
L’integrazione nutriceutica con le alghe permette di raggiungere il massimo potenziale di salute utilizzando le molecole di cui è composto il corpo e che si trovano negli alimenti, essendo esse veri e propri alimenti concentrati. Gli effetti della alimentazione Nutriceutica con le Alghe non sempre sono immediati perché i nutrienti influiscono sul rinnovamento delle cellule e quindi dei tessuti organici con un’azione lenta e costante.
Se effettivamente si seguono i rapporti sinergici degli elementi essenziali si dovranno assumere solo micronutrienti effettivamente naturali, solo questa condizione assicura la presenza degli elementi in quantitativi di rapporti sinergici e garantisce inoltre che le vitamine, i minerali e gli oligoelementi contenuti e quindi utilizzati siano tutti bioassimilabili. Infatti, la ricerca scientifica ha appurato che quelle vitamine, minerali, oligoelementi di sintesi, la cui catena chimica differisce da quella di estrazione naturale, non vengono riconosciute dall’organismo come utili, di conseguenza questo non le assimila correttamente. L’alimentazione Nutriceutica con le Alghe, al contrario, garantisce micronutrienti assolutamente naturali, integri e biodisponibili.
La Terapia Nutriceutica con le Alghe è stata ampiamente sperimentata per diversi anni, con risultati estremamente efficaci, sia come prevenzione che come metodo di cura integrata per il riequilibrio fisico, psichico ed energetico.
https://www.algheria.it/nutriceutica-con-le-alghe

11 luglio 2016

AI NUTRIZIONISTI PIACE LA TIMILIA

Articolo a cura della


dott.ssa Cacciola Maria Stella

Biologa Nutrizionista


Perché ai Nutrizionisti piace la Timilia?

Sicuramente perché è buona, fa bene alla salute e favorisce la salvaguardia della biodiversità!

Ma cerchiamo di capire che cosa è la Timilia, anche chiamata Tumminia o Triminia e perché è salutare per noi, per l’ambiente e, perché no, anche per l’economia Siciliana!
La Timilia è una graminacea cioè un grano (Triticum Durum) che viene annoverato fra i “Grani Antichi” in particolare “Siciliano” perché è una varietà che si coltiva da secoli esclusivamente in Sicilia proprio per le caratteristiche climatiche, infatti la Timilia, che è un “grano estivo”, si semina in primavera e si miete in giugno ed ha bisogno di caldo secco e di nessun tipo di trattamento di tipo antiparassitario o anticrittogamico quindi è biologico per natura, ma rispetto al grano moderno, il Creso e tutte le varietà da esso ottenute, la spiga più piccola produce meno farina e la resa per ettaro è minore.
Fu proprio la maggiore resa per ettaro e la bassa statura, più facile da trebbiare con le macchine, che dagli anni ’70 portò l’affermazione del Creso, nelle sue varietà, come unica tipologia di grano prodotto e coltivato in Italia e nel mondo.
Il Creso è nato nel 1974 per “migliorare”, irradiando con raggi X nel Centro di Studi Nucleari del CNEN della Casaccia (Roma), un grano di ottima qualità come il Senatore Cappelli al fine di ottenere una qualità con caratteristiche di maggiore forza glutinica e resa per ettaro. Per molti oggi il Creso, alla luce dei disturbi correlati con il consumo di questo grano in questi 40 anni, è considerato “un peggioramento” che dovrebbe essere eliminato dalle nostre tavole o comunque utilizzato molto poco.


La Timilia è quindi un grano duro con cariosside piccola dal quale si produce una farina di semola ricca di Germe di grano, Sali minerali e Vitamine del gruppo B, fibra (8 -9 %) e proteine (13-15%) anche più delle varietà moderne ma con minore indice glutinico cioè forza della maglia glutinica, per capirci la manitoba che è una farina di un grano tenero americano con un contenuto proteico del 12- 13 % ma una forza glutinica molto alta, infatti viene usata spesso per fare la pizza sprint casalinga ma anche mescolata ad altre farine per accelerare la lievitazione del pane e portarlo sulle nostre tavole in un paio di ore al massimo, lievitazione e cottura compresa!
Al contrario un pane prodotto con farina di semola di grano duro Timilia deve essere lievitato molte ore sia che si utilizzi lievito di birra, anche se non è il più indicato, sia che si usi la pasta madre, migliore scelta perché provoca una lievitazione lenta, uniforme, naturale ed ad alta digeribilità.
Il Glutine, questo sconosciuto ma tanto odiato elemento costituente delle farine di quasi tutti i cereali (escluso riso, mais, grano saraceno) in realtà è un complesso di proteine che a secondo della qualità può avere caratteristiche chimico-fisico diverse e dare ai prodotti consistenze e digeribilità differenti. Non è quindi la quantità di Glutine ad essere importante ai fini della salute ma la qualità e quindi l’Indice di Glutine che per i Grani Antichi è abbastanza basso, in genere, molto basso in particolare per la Timilia.
E' proprio il tipo di proteine che costituiscono il glutine ad attrarre i ricercatori che non di rado hanno trovato nei campioni di “Grani Antichi” conservati presso le banche del germoplasma presenti nel mondo, varianti proteiche molto rare o addirittura assenti nelle moderne varietà.
Ringraziamo alcuni contadini/imprenditori e più di tutti la Stazione Consorziale Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia che ha sede a Caltagirone che provvedere alla conservazione e mantenimento del germoplasma di specie mediterranee, oltre molti altri compiti.
Infatti grazie a loro da qualche anno il grano Timilia e varietà come il Russello, Biancolilla, Bidì, Perciasacchi, Maiorca e molti altri sono nuovamente disponibili per il consumo locale ed anche nazionale.
La loro coltivazione e commercializzazione permette a tutti noi molti vantaggi in termini di salute ma anche perché ci permette di recuperare un’economia locale che innesca un volano di benessere per tutti!
Coltivare, molire a pietra, trasformare in prodotti da forno o in pasta i “nostri Grani Antichi Siciliani” sta portando l’economia siciliana al centro di una realtà che coinvolge molti mestieri quasi dimenticati e nuove professionalità, restituendoci quel ruolo primario di soggetti artefici della nostra salute e della nostra economia visti come integrati e non dicotomici.
Tre anni fa il Centro Studi di medicina integrata (CESMI) di Palermo, in collaborazione con l’Ordine dei Chimici e Legambiente di Palermo, ha deciso di valutare la Timilia su 30 volontari sofferenti di disturbi dell’apparato gastrointestinale comunemente chiamate “coliti” o più correttamente Sindrome del Colon Irritabile. È stata esclusa la celiachia mediante test specifici ed è stata valutata mediante test genetico HLADQ2/DQ8 la Sensibilità Non Celiaca al Glutine (GSNC), che è stata riscontrata nella maggior parte dei volontari.
Tutti coloro che hanno aderito allo studio osservazionale per 30 giorni hanno sostituito la pasta ed il pane comune con prodotti a base di farina di Timilia. Tutti hanno avuto la remissione dei sintomi.
I particolari dello studio sono presenti nel sito del CESMI di Palermo.
Due anni fa a settembre la dott.ssa Gabriella Pravatà, medico presidente del CESMI ha presentato questo studio al Convegno sui Grani Antichi Siciliani che si è tenuto ad Enna, alla presenza di produttori di grano, mugnai, pastificatori e agronomi, in quell’occasione ero stata invitata anch’io come biologa nutrizionista.
Per me è stata una vera rivelazione! Ho iniziato a consigliare il pane e la pasta di Timilia ai pazienti con disturbi gastrointestinali, all’inizio con molte difficoltà di reperimento ma via via con maggiore semplicità!
Credevo che lo studio presentato avrebbe avuto maggiore risalto nell’ambiente medico siciliano, invece ho scoperto che è più conosciuto dai colleghi nutrizionisti fuori dalla Sicilia che dai Siciliani.
Lo studio ha dimostrato che la Timilia è un grano adatto per fare pane, pasta, biscotti consumabili da persone sofferenti di disturbi gastrointestinali non celiaci, purtroppo gli altri grani antichi non dimostrano di avere le medesime caratteristiche pur distinguendosi per il gusto, la più facile lievitazione e maggiore plasticità di impiego, sono infatti più adatti per fare pizza, brioche o dolci. 
Se dovessi fare un distinguo direi “Timilia sta a patologie gastrointestinali mentre Altri Grani Antichi stanno a prevenzione”.  
Quindi possiamo dire che abbiamo trovato l’oro, la pietra filosofale alchemica, nel grano Timilia ma non ne comprendiamo le grandi potenzialità e lo stiamo lasciando in mano ad interessi commerciali che non si integrano con quelli scientifici, costretti ad assistere impotenti a panificazioni di basso livello con l’impiego di farina di Timilia al 20 – 30 %, con “lievitazione naturale” di poche ore prodotta con il lievito di birra, che provoca gonfiori addominali ed intolleranze alimentari, anziché con l’uso della Pasta Madre.

È necessario che diventiamo consumatori più consapevoli, perché la “Scelta” è l’unica arma di cui disponiamo. La “Scelta” può provocare terremoti commerciali come è già avvenuto di recente con l’Olio di Palma.

E per coloro che amano fare in casa come me, un piccolo regalo: come fare il Pane di Timilia in casa!






INGREDIENTI

500 g di semola di Timilia o Tumminia integrale 
Mix di semi di Sesamo, Canapa, Chia, Lino, Girasole
200 g di lievito di Pasta Madre
400 ml d’acqua
14 g di sale

PREPARAZIONE DELLA RICETTA

1 • Sciogliete la pasta madre nell’acqua, poi unite la farina. Lavorate sino a ottenere un impasto liscio e omogeneo. Aggiungere il sale e 2/3 del mix di semi. Impastare qualche altro minuto. Lasciatelo riposare per 6-8 ore coperto da un panno umido, in primavera o in estate ma in inverno si può favorire la lievitazione tenendolo nel forno spento con la luce accesa.

2 • Ricavate 2 pagnottelle o dei panini, formatele a vostro piacere e lasciatele riposare per 2 ore in ambiente tiepido coperte da un panno umido.

3 • Dopo avere cosparso la superficie con i rimanenti semi, cuocete in forno preriscaldato a 220 °C per 30 minuti, abbassate la temperatura a 180° C e tenere in forno ancora 15 minuti, infine lasciare in forno spento per mezz’ora.

Il pane di Timilia è pronto e può essere consumato con un filo di marmellata o miele per una colazione energetica o con un’insalata mista ed una mozzarella per un pranzo completo e veloce.
Buona salute!



Dott.ssa Cacciola Maria Stella
Biologa Nutrizionista
Esperta in Intolleranze Alimentari


Cell. 3339959391

14 maggio 2016

Dieta integrata con amminoacidi, folati e vitamina D3: un nuovo approccio nel trattamento della sarcopenia

Con l'avanzare dell'età gli anziani vanno incontro ad una progressiva perdita di massa muscolare e a una diminuzione della funzionalità fisica. Questo tipo di condizione può essere definita "sarcopenia" secondo una definizione proposta da Irwin Rosenberg. Le cause della sarcopenia sono molteplici, ma la malnutrizione e le carenze di specifici nutrienti, in particolare di proteine, sono tra i principali fattori che aggravano questa condizione. La carenza di proteine è infatti dovuta ad una diminuzione della loro sintesi a partire dagli amminoacidi. Secondo alcuni studi osservazionali, un'altra causa importante è il mancato raggiungimento dell'intake proteico giornaliero raccomandato per l'anziano, che corrisponde a 1,1-1,2 g/kg di peso corporeo. L'invecchiamento comporta anche il deficit di alcuni micronutrienti, ad esempio viene riscontrata una diminuzione di vitamina D a livello dei recettori presenti nelle cellule muscolari. Anche per quanto riguarda l'acido folico (vitamina B9), una carenza può ridurre la forza muscolare, in quanto si tratta di sostanze alla base del metabolismo dell'omocisteina.

L'iperomocisteinemia è stata infatti associata a una diminuzione della forza muscolare nel quadricipite e della densità muscolare nel polpaccio e anche ad un aumentato rischio di disabilità nell'anziano, secondo uno studio di Kuo et al. del 2007. Un recentissimo studio di Rondanelli et al, ha sperimentato un'integrazione alla dieta (durante la prima colazione) con amminoacidi (4 g), in particolare leucina, con vitamina D3 (800 IU al giorno) e con folati (400 µg  al giorno) in un gruppo di anziani sarcopenici mostrando un aumento della massa magra e una concomitante diminuzione della percentuale di grasso aneroide. In particolare questi pazienti hanno mostrato un significativo aumento della forza muscolare, tale da permettere classificare ben il 68% dei pazienti sarcopenici come non più sarcopenici; infine è stato evidenziato un aumento delle concentrazioni di Igf (Insulin Growth Factor).

Per approfondimenti:1. Mithal, Ambrish, et al. "Impact of nutrition on muscle mass, strength, and performance in older adults." Osteoporosis international 24.5 (2013): 1555-1566.
2. Rondanelli, Mariangela, et al. "Whey protein, amino acids, and vitamin D supplementation with physical activity increases fat-free mass and strength, functionality, and quality of life and decreases inflammation in sarcopenic elderly." The American journal of clinical nutrition (2016): ajcn113357.
3. Kuo HK, Liao KC, Leveille SG, Bean JF, Yen CJ, Chen JH, Yu YH, Tai TY (2007)
Simone Perna

20 aprile 2016

La Nutrigenetica:Conosci i tuoi geni per mangiare e vivere meglio

   Questa è la nuova possibilità che la genetica applicata alla nutrizione mette a disposizione di noi tutti. 

    Oggi alcuni semplici test ci rivelano quelle peculiarità genetiche che sono sensibili alle variabili ambientali, in primo luogo la dieta ed il nostro stile di vita e che incidono nel bene e nel male sulla qualità della nostra vita stessa.

    Ognuno di noi è unico e ciò è dovuto ai nostri geni. Le differenze da individuo a individuo si manifestano sia esteriormente nel nostro aspetto fisico, come il colore dei capelli e degli occhi, sia internamente, ad esempio nella diversa capacità di metabolizzare i nutrienti, o eliminare le tossine ecc.. Infatti, sebbene condividiamo gran parte del materiale genetico, in ciascun gene vi sono punti di variazione: il più comune è il “Single Nucleotide Polymorphism” o SNP, l’insieme di queste piccole variazioni che influenzano ciò che siamo e definiscono la nostra individualità.

    Ma i geni non sono tutto, essi non lavorano da soli e non ci determinano in modo assoluto. Essi interagiscono con il nostro ambiente pertanto, modificando la nostra interazione con l’ambiente, modifichiamo l’espressione dei geni. Ad esempio, una persona dalla pelle chiara (geni) si scotterà al sole (ambiente) solo se si espone senza la necessaria cautela.

    L’aspetto dell’ambiente che ci influenza maggiormente e sul quale possiamo, per fortuna, esercitare il maggior controllo, è quello che immettiamo nel nostro organismo con l’alimentazione. Conoscendo meglio l’effetto che i nutrienti hanno sulla nostra particolare costituzione genetica, possiamo esercitare un controllo più effettivo sulla qualità e le nostre aspettative di vita.
Una dieta corretta ed equilibrata è essenziale per una vita sana e lunga, ma non è la stessa per tutti.

    Negli ultimi dieci anni sono stati fatti notevoli progressi nello studio dei rapporti tra geni ed ambiente e da essi è emerso un nuovo territorio della conoscenza: la Nutrigenetica. Essa è pronta per essere messa a disposizione di ciascuno al fine di migliorare il nostro benessere presente e soprattutto futuro. Infatti, grazie ad essa abbiamo selezionato un gruppo di geni che determinano il modo in cui un individuo reagisce a certi nutrienti essenziali. In tal modo è possibile studiare un’alimentazione più adatta a ciascuno, suggerendo in base al suo genotipo linee guida per il tipo e la quantità ottimali dei nutrienti necessari al suo organismo. A questo si è dato il nome di “Sistema NutriGENE” che consiste nell’analisi di materiale genetico: un semplice tampone passato all’interno dellla bocca viene analizzato, ed in base ai risultati ottenuti si offre una serie di suggerimenti alimentari adatti al proprio profilo genetico. Ciò è il frutto di comprovati studi scientifici, condotti in laboratori di varie parti del mondo, i cui risultati sono stati pubblicati da riviste internazionali. Vi è, infatti, una quantità enorme di letteratura scientifica che documenta nei dettagli come le variazioni genetiche influenzano il metabolismo di particolari nutrienti.

    I Geni modificano i nostri bisogni nutrizionali ed il sistema Eurogenetica Full Nutrition determina quali sono le necessità peculiari di ciascuno. Il test rivela le variazioni presenti in 20 geni specifici per la nutrizione e fattori di rischio ad essa associati (come colesterolo, ipertensione, ecc.), i risultati sono convertiti in una guida alimentare. Il report fornito dal sistema Eurogenetica Full Nutrition contiene la spiegazione del significato delle variazioni genetiche e la tavola dei nutrienti consente di modificare, laddove sia necessario la propria alimentazione. Non è, d’altra parte, una dieta radicale, ma consiste in piccole variazioni dell’alimentazione e dello stile di vita. Piccole variazioni che a lungo termine possono avere un effetto significativo e fare la differenza. Non si tratta dunque di una dieta per dimagrire ma di un investimento a lungo termine sulla propria salute. Sapevate che appena 10 calorie in eccesso al giorno, mezzo cucchiaino di zucchero, possono causare un aumento di peso di 15 kg nell’arco di 20 anni in persone geneticamente predisposte? Un eccesso tanto difficile da eliminare quanto facile da accumulare. Pensate allora quali danni può causare un po’ di grassi saturi in eccesso durante l’arco di 20 anni.



    La conoscenza della propria disposizione genetica, la conoscenza del ruolo di certi geni nel determinare i nutrienti di cui ognuno necessita, la conoscenza del proprio hardware, può offrire una forte motivazione a seguire un’alimentazione ed uno stile di vita più consoni ai propri bisogni.