19 dicembre 2012

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09 dicembre 2012

La Ginkgo biloba si evolve... dott Fabio Fierazuoli




L'analisi delle reazioni avverse di piante medicinali produce fortunatamente conoscenze utili non solo alle autorità regolatorie, professionisti e ricercatori, ma anche alle aziende e, in ultima analisi, agli utilizzatori finali. Un esempio concreto ci viene offerto dalla ricerca tecnologica applicata alla Ginkgo biloba, finalizzata a valutarne l'efficacia, ma prima ancora a rendere disponibile il meglio in termini di qualità e sicurezza della materia prima. Obiettivo: ridurre il rischio di effetti collaterali e interazioni farmacologiche. Ecco allora che se negli ultimi 20 anni sono comparsi i primi estratti titolati e standardizzati sia in flavonoidi sia in derivati terpenici, solo recentemente la tecnica estrattiva e quella farmaceutica hanno fatto passi da gigante, con una crescita esponenziale. Si è prima arrivati ad un estratto anche depurato dagli acidi ginkgolici, responsabili di orticaria, diarrea e cefalea: flavonoidi 24%, derivati terpenici 6%, acidi ginkgolici < 5 ppm (EGb 761,  LI-1370). Queste ottime caratteristiche qualitative sono state poi amplificate migliorandone stabilità e biodisponibilità con carrier biologici come i fosfolipidi della soia. Oggi  sono pertanto superate le vecchie preparazioni a base di Ginkgo (tisane, polveri o tinture), che non consentivano l'eliminazione del solvente né la titolazione dei principi attivi, per lasciare il posto a estratti estratti frazionati, e tra questi in particolare due:
  1. il fitocomplesso a prevalente componente terpenica, responsabile dell'attività anti-PAF, e clinicamente impiegabile nella terapia delle patologie allergiche
  2. il fitocomplesso dei soli flavonoidi (VR456) che, in assenza di ginkgolidi (le sostanze dotate di attività antiaggregante piastrinica), consente di evitare i rischi della Ginkgo nei pazienti in terapia con antiaggreganti e anticoagulanti, fornendo al tempo stesso un supporto terapeutico ai nostri pazienti cerebrovascolari,
Lasciando al prossimo futuro gli estratti veicolati in forma nanomolecolare, quelli frazionati "evoluti" sono già disponibili anche nel nostro paese.

Fabio Firenzuoli
Centro di Medicina Integrativa
AOU Careggi - Università di Firenze

07 dicembre 2012

LA ZEOLITE ATTIVATA A cura della dott.ssa Cacciola Maria Stella - biologa nutrizionista




Si parla molto di Zeolite da un po’ fra atleti e sportivi anche perché alcune aziende specializzate  nella produzione e commercializzazione di  integratori l’hanno proposta come la panacea, utile per il potere antiossidante, per la capacità di “spazzino” ecc.

Ma proviamo  a capire bene che cosa è , da dove viene e quindi che cosa può fare davvero!

Cominciamo con il dire che è una polvere di origine vulcanica a struttura cristallina, chimicamente è un alluminosilicato idrato di metalli alcalini ed alcalino-terrosi. Le varietà di Zeoliti sono centinaia. Il nome Zeolite deriva dalle parole greche zeo = bollire e lithos = pietra, pertanto significa pietra che bolle e tale nome deriva dal fatto che, quando viene scaldata, libera acqua senza modificare la struttura dell’alluminosilicato e sembra che bolla.
La struttura cristallina presenta micro cavità che contengono cationi quali calcio, magnesio, sodio, potassio ed altri oltre a molecole di acqua.

La Clinoptilolite è una delle centinaia di varietà di zeolite ed è il tipo lamellare, alla quale sono state attribuite le maggiori proprietà nell’ambito medico ormai da lungo tempo.
Le zeoliti sono in grado di scambiare i loro cationi liberi con metalli pesanti, ioni ammonio, radioisotopi o altri cationi agendo come setacci molecolari con capacità adsorbenti anche di gas. Questa è una proprietà importante della Clinoptilolite. Questo significa che la Clinoptilolite è in grado mediante un meccanismo di scambio ionico di attrarre ioni di Metalli Pesanti o di Ammoniaca, Idrocarburi, Biossido di Zolfo, ed Ossidi di Azoto oltre che Micotossine, captandoli , trattenendoli ed eliminandoli dal lume intestinale ed in cambio cede oligoelementi come K+, Mg++, Ca++ ecc quindi non solo ha un’importante azione di “spazzino” intestinale ma rimineralizza l’organismo fornendo piccole ma importanti quantità di oligoelementi utili alla salute umana.

Utilizzando uno specifico processo di produzione definito Attivazione Tribomeccanica, la Zeolite viene micronizzata mediante un’elevata energia cinetica che ne incrementa la reattività ed aumenta la superficie delle particelle. Abbiamo così la Zeolite Attivata.
Il risultato di questa attivazione, effettuata in speciali mulini non si limita ad un processo di macinazione, come è stato dimostrato da esperimenti nei quali l’acqua è stata “attivata” negli stessi mulini.
L’acqua così attivata provoca una crescita delle piante significativamente più veloce con un incremento del 47% di raccolto rispetto al raccolto di controllo (Entzmann Hint. 1977).


Allora, alla luce del meccanismo d’azione di questa antica polvere abbondantemente presente in  natura  quali sono le reali possibilità di impiego e quali possono essere le nostre aspettative?
La Zeolite Attivata è stata brevettata nel 1992 in Giappone, dimostrando di avere una maggiore azione biologica rispetto a tutte le altre zeoliti. Infatti studi hanno dimostrato che la Zeolite Attivata se addizionata ad alimenti, questi dimostrano maggiori capacità nutrizionali con una minore incidenza delle indigestioni.
Tutto ciò è dovuto al fatto che l’ammoniaca, le tossine batteriche e le sostanze tossiche prodotte nella digestione delle proteine, grazie alla Zeolite Attivata, vengono rimosse per adsorbimento con effetti positivi sulla digestione.

Conosciamo tutti gli effetti negativi dei radicali liberi che possono provocare dalle semplici stanchezze a patologie a carico del sistema immunitario particolarmente importanti.
Avere oggi uno strumento in più nella lotta ai danni da radicali superossidi è di importanza basilare.
Numerosi studi scientifici hanno messo in evidenza applicazioni molto interessanti: un'elevata attività antiossidante derivante dalla neutralizzazione dei radicali liberi, un'azione adiuvante in numerose patologie, comprese quelle tumorali, una capacità di ridurre gli effetti secondari della chemioterapia e della radioterapia, una riduzione della produzione di acido lattico ed infine un'elevata capacità di legare metalli pesanti e tossine.

La Zeolite Attivata non è tossica per l'organismo ed attraversa il tratto gastro-intestinale senza essere assorbita.
Si può assumere contemporaneamente a farmaci e altri prodotti come integratori e non necessita di particolari condizioni per la conservazione e la sua stabilità risulta estremamente lunga.
Per la prima volta ci troviamo di fronte ad una sostanza in grado di svolgere le funzioni antiossidante e detossicante oltre e a quella adsorbente, in grado di esplicare la sua attività nel tratto intestinale per essere poi eliminata con le feci.

Recenti studi sull'utilizzazione della Zeolite Attivata in abbinamento alle terapie standard hanno evidenziato l’azione positiva sul sistema circolatorio, sulla pressione arteriosa, sul recupero dopo l'infarto o ancora sul sistema digestivo, sull'iperacidità gastrica e sulle ulcere duodenali.

L'azione della zeolite è stata anche studiata sui reumatismi, sulla cura delle infezioni renali e anche sul trattamento delle patologie dermatologiche presenti nei pazienti affetti da diabete, mentre altre osservazioni riguardavano l'applicazione diretta della polvere e numerose affezioni della pelle.

Secondo gli studi clinici, la zeolite consentirebbe di migliorare l'efficacia delle terapie standard e di ridurre il periodo di recupero. Ciò ha portato all'uso della zeolite come coadiuvante nella cura delle patologie gravi.

Chi può essere l’utente ottimale?
Lo Sportivo perché la Zeolite Attivata, anche in sinergia con altri principi attivi, si può usate per ridurre l'acidosi lattica e aumentare resistenza e recupero, aiuta inoltre ad aumentare concentrazione (attraverso la riduzione di ammoniaca nel corpo) ed a ridurre stress ossidativo e stanchezza.

Anziani, convalescenti e persone sottoposte a stress in quanto la Zeolite Attivata può favorire la riduzione di stress e stanchezza aiutando a superare affaticamento e debolezza con risorse proprie e naturali ma anche ripulendo l’intestino da gas e ammoniaca migliorare l’assorbimento intestinale in questi soggetti particolarmente indeboliti.

La Zeolite Attivata è quindi ideale per trattare anche affezioni dermatologiche caratterizzate da presenza di batteri e sostanze organiche come nell’acne dove l’utilizzo di un impacco contente un cucchiaino di Zeolite Attivata favorisce l’eliminazione dello stato infiammatorio, delle pustole ed il processo di cicatrizzazione senza esiti.

08 novembre 2012

La sindrome della perdita della impermeabilità intestinale o LEAKY GUT, celiachia, sensibilità al glutine, spettro autistico, microtossine e tolleranza immunologica di Maurizio Proietti





intestino
Diverse patologie umane partono da un intestino poco efficiente
M. Proietti 1, A. Del Buono 2,  C.Di Rienzo 3,  G.Pagliaro 4 , A. D’Orta 5, P. Perrino 6

Diverse patologie umane partono da un intestino poco efficiente. Ma cosa rende inefficiente l’intestino? Bisogna rivalutare i rapporti tra cibo e salute. Tre milioni di italiani e venti milioni di statunitensi soffrono di sensibilità al glutine, sindrome simile ma allo stesso tempo diversa dalla celiachia. Dalla sensibilità al glutine scaturiscono patologie diverse, in funzione del polimorfismo genetico dei soggetti e dell’ambiente in cui essi vivono. Aumentando le nostre conoscenze sulle interazioni tra cibo, abitudini alimentari, genomica e ambiente è possibile effettuare una prevenzione e/o terapia migliore. È iniziata l’era dell’epigenetica mentre il dogma del determinismo genetico si avvia al tramonto.

Permeabilità dell’intestino 
Molti studi sulla permeabilità della barriera gastrico-intestinale (g.i.) indicano che essa è strettamente dipendente dal genoma dei batteri intestinali 1,2 3. L’intestino con flora batterica compromessa che a sua volta compromette la produzione di enzimi digestivi, perdendo le normali condizioni biochimiche, relative a pH, vitamine, peptidi e batteri, genera infiammazione minima submucosale secondaria, tale da alterare alcuni pattern enzimatici presenti sulle membrane cellulari, in particolare sui microvilli (un caso eclatante è quello della lattasi 1). 

In condizioni normali i microvilli permettono la digestione fisiologica e l’assorbimento dei micronutrienti, mentre in condizioni anomale si determina il passaggio di macro-molecole oltre la barriera g.i, (Fig. 1) che per le loro dimensioni possono essere identificate come non self e risultando immunogene possono scatenare una risposta immunologica. L’epitelio g.i. è normalmente una barriera selettivamente permeabile e la sua funzione è determinata dalla  formazione di complessi proteina-proteina: desmosomi (desmosome junctions), emidesmosomi (hemidesmosome junctions), giunzioni comunicanti (gap junctions), aderenti (adherens junctions) e giunzioni strette (tight junctions). Queste ultime collegano meccanicamente cellule adiacenti per sigillare lo spazio intercellulare. 
Nel corso dell'ultimo decennio, c'è stata una crescente attenzione alle tight junction, in quanto la loro alterazione determina  un’interruzione della funzione di barriera g.i. che contribuisce a favorire reazioni immunologiche (malattie autoimmuni ed infiammatorie) 1,4,5. 

Fig. 1. Illustrazione di una mucosa intestinale sana e danneggiata con possibili conseguenze patologiche (cortesia di Proietti).



Evidenze sperimentali [6,8] suggeriscono che la disfunzione delle giunzioni strette sia concausa, ma forse la principale, per l’insorgenza di malattie infiammatorie immunologiche sistemiche, malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI), allergie alimentari e celiachia [22,23]. Ciò sembra inoltre partecipare all’evoluzione dell’Autismo 2,12,13,14,15,16.  Complessivamente, i risultati di tutti questi studi mostrano o comunque sembrano suggerire che le malattie correlate con l’intestino permeabile possano scomparire e/o arrestarsi se la funzione di barriera intestinale del paziente viene ristabilita. Le prove a sostegno di tutto ciò sono ancora incomplete, ma sono abbastanza solide da incoraggiare i ricercatori a proseguirne il cammino intrapreso.  

Le tight junction sono il target primario degli agenti esterni, che agendo come inquinanti chimici e/o biologici [9,10] interagiscono con la matrice proteica delle giunture, alterandone la conformazione e quindi aumentandone sempre di più la permeabilità agli agenti esterni. Le nostre osservazioni  hanno individuato nell’ingestione inconsapevole di inquinanti biologici (micotossine) e conseguente disbiosi e sporificazione da Candida, i fattori determinanti della sindrome della permeabilità intestinale (leaky gut syndrome). Si stabilisce così un nuovo equilibrio del microbiota 24-29, che spesso può anche non determinare segni o sintomi clinici rilevanti 10,11 . 

In ogni caso, bisognerebbe comunque verificare il tempo di non insorgenza dei sintomi tipici della sindrome, in relazione anche alle fasce d’età. È necessario capire perché in alcuni soggetti non c’è insorgenza e se si tratta di una situazione temporanea o duratura. Uno studio di questo genere potrebbe svelare altri meccanismi, probabilmente del sistema immunitario, ancora sconosciuti.

Tolleranza immunonologica: celiachia e sensibilità al glutine (gluten sensitivity)

La grande peculiarità della celiachia è indubbiamente il fattore ambientale che la causa: la gliadina. Si tratta di un peptide immunogenico, resistente alla digestione enzimatica pancreatica e gastrica, che solo a causa delle modificazioni delle giunzioni strette riesce a trovare il passaggio per arrivare alla lamina propria (parte della mucosa intestinale), dove ha luogo la risposta immunitaria. Come dire: se non si apre la porta non si può passare. In ogni caso, è proprio qui, a livello di lamina propria, che la transglutaminasi tissutale (tipo II - tTG) catalizza legami covalenti tra glutammina e lisina. E i peptidi così deamminati creano epitopi (parti dell’antigene che si legano all’anticorpo specifico), con un aumentato potenziale immunostimolatore. 

Con questa modifica viene ad aumentare l’affinità degli antigeni, presentati dalle APC (Antigen-presenting Cell)  ai macrofagi, ai linfociti B e T CD4+ (linfociti helper), con il sistema HLA II (Human Leukocite Antigen II) e quindi con i due geni o molecole proteiche DQ2 e DQ8 da essi prodotti. Le lesioni della mucosa intestinale (atrofia dei villi e iperplasia delle cripte) riscontrabili con l’esame bioptico sono il risultato di questo processo immunologico dinamico e modulabile nel tempo. Sebbene sia nota la componente genetica della malattia celiaca, con numerose evidenze quali il rischio aumentato di malattia nei parenti di primo grado, la concordanza nei gemelli omozigoti superiore al 75% e la concordanza nei gemelli dizigoti del 13%, ci deve essere sempre un primum movens, che è l’apertura delle giunzioni strette (tight junction). 

La Sensibilità al glutine (Gluten Sensitivity), invece, non è una forma attenuata della celiachia, ma una malattia a se stante. Essa, pur diversa dal punto di vista molecolare e immunitario, potrebbe presentare tuttavia la stessa causa scatenante, cioè l’apertura delle giunzioni strette (tight junction). Il fatto che nel mondo ci sono 3 milioni d’italiani e 20 milioni di statunitensi affetti da sensibilità al glutine, l’interesse verso questa condizione morbosa e soprattutto sulla sua possibile evoluzione verso la forma tipica è veramente notevole. 

La Gluten Sensitivity (GS) non presenta alterazioni della permeabilità intestinale, manifesta solo la flogosi submucosale, che invece, come è noto, è significativamente maggiore nella celiachia. «Nella celiachia si attiva un meccanismo autoimmune condizionato da una risposta adattativa del sistema immunitario, nella GS invece, c’è un meccanismo genetico che coinvolge il sistema immunitario innato, senza interessamento della funzione della barriera intestinale, dove si riscontrano segni di infezione ma non di danno, come avviene nella celiachia»10. 

Ad oggi non esistono test di laboratorio o istologici in grado di confermare questo tipo di "reattività", di conseguenza si tratta di una diagnosi cui si giunge per esclusione; la diagnosi sarà seguita da una dieta con eliminazione del glutine ed un open challenge (una reintroduzione sorvegliata di alimenti contenenti glutine), per valutare se si verifica un effettivo miglioramento dei sintomi alla riduzione o eliminazione del glutine dalla dieta ed una ricomparsa dei disturbi alla reintroduzione di questa proteina alimentare. 

Possiamo dire che le due condizioni patologiche, la celiachia e la GS, hanno in comune, come fattore scatenante, il glutine. Ma è arrivato il momento di aggiungere un altro fattore esterno o ambientale: le micotossine. Possiamo cioè affermare che l’alimento diventa comune denominatore del danno, non solo per il contenuto di macronutrienti, qualitativo e quantitativo, ma anche per le diverse micotossine che sinergicamente possono contribuire alla sindrome della permeabilità intestinale (leaky gut syndrome) [17, 21]. Tra le principali micotossine che partecipano o favoriscono la sindrome (aflatossine, ocratossine, ecc.) la nostra attenzione si è focalizzata sul deossinivalenolo (DON).

Per la facilità di contaminazione degli alimenti più comuni come pasta e pane, le micotossine, tra cui il DON, il più studiato, hanno una particolare predilezione per le giunzioni strette. Ciò potrebbe essere correlato ad una innumerevole quantità di manifestazioni cliniche che insorgono apparentemente senza un motivo identificabile. E’ auspicabile che la ricerca futura intensifichi gli studi su un numero maggiore di micotossine e sulle loro reciproche interazioni.

Negli ultimi cento anni l’uomo ha favorito i riarrangiamenti genetici, producendo ibridi interspecifici nel genere Triticum (frumenti) e intergenerici, tra Triticum e Secale (Triticale) per migliorarne le rese per ettaro.  Nessuno ha mai verificato, per quanto ci risulta, su basi strettamente scientifici, se questi cambiamenti genetici hanno favorito una risposta immunologica e quindi determinato un incremento o meno delle condizioni che conducono alla celiachia, GS, all’autismo ed eventualmente ad altre  malattie negli ultimi 30 anni. L’INRA di Tolosa 31 ha studiato i meccanismi molecolari e la risposta immunitaria verso grani, farine e paste privi di micotossine, facendo particolare riferimento al DON. Forse nei risultati di questi studi c’è già una risposta, ma c’è bisogno di un approfondimento (elaborazione) o ulteriore sperimentazione prima di dare una soluzione definitiva alla questione, e cioè se i cambiamenti genetici indotti con gli incroci e mutazioni artificiali hanno una qualche relazione con la celiachia e l’autismo 14,16,17,18.

La ricerca sulle micotossine si complica quando entra in gioco un altro fattore: le lectine. La differenza genetica tra i frumenti è da ascrivere anche a proteine denominate lectine, che sono presenti non solo nei saprofiti e patogeni, ma anche negli alimenti e sulla mucosa del tratto digerente. Le lectine, di diversa composizione chimica, si correlano con gli antigeni A o B, presenti sulla membrana degli elementi figurati del sangue, in particolare dei globuli rossi. 

Quando ingeriamo un alimento contenente lectine incompatibili, col nostro codice di riconoscimento attiviamo una risposta minima immunologica (Minimal Flogosis). Quindi anche le lectine possono innescare un danno alle pareti dell’apparato digerente. Se contestualmente l’alimento contiene anche micotossine (in quantità biologiche significative), come il DON, allora diventa valida l’ipotesi della risposta di una sintomatologia clinicamente rilevante. 

In altre parole, le lectine darebbero il via alle micotossine (macromolecole). Le lectine sono quelle che aprono la porta? Per tali motivi e per valutare l’effettiva dipendenza dal glutine delle alterazioni cliniche e sintomatologiche evidenziate nei soggetti con Sensibilità al Glutine (GS),  un gruppo di ricercatori che fanno capo al Consorzio Campo e la fondazione Dino Leone di Bari, hanno avviato un progetto di ricerca per studiare questa relazione tra natura o composizione degli alimenti, micotossine e sistema immune.

Il deossinivalenolo (DON o Vomitossina)
Il deossinivalenolo (DON) è una micotossina, uno dei  metaboliti di alcuni ceppi fungini  (muffe), appartenenti al genere Fusarium (F. graminearum e F. culmorum, ecc.). Si tratta di  “fattori tossici naturali e involontari”, cancerogeni, teratogeni e mutageni. Dallo stesso fungo si possono originare più tossine, come nel caso della candida (Candida albicans) e ci possono essere sinergie tra tossine diverse, come nel caso della ocratossina A (OTA) e la citrinina. 

Su scala globale, il DON è la micotossina di gran lunga più frequente e quindi quella più temuta e per questo più studiata. Si contaminano particolarmente i cereali e loro derivati ​​(farine, pane, ecc.). In considerazione della sua estrema stabilità (termostabile) durante i diversi trattamenti tecnologici e la quasi totale assenza di processi di decontaminazione, il DON lo si può trovare facilmente anche negli alimenti finiti. 
E’ quindi importante caratterizzare gli effetti tossici del DON, in particolare su tutto l’intestino, stomaco compreso, primo organo che entra in contatto con gli alimenti. 

Questa micotossina riduce la funzione di barriera dell’intestino (riduzione della resistenza elettrica dell’epitelio, aumento della permeabilità cellulare alle molecole, aumento del passaggio di batteri). L’alterazione della funzione di barriera g.i è associata ad una riduzione della funzione proteica ​​(claudins) in una particolare regione del tessuto intestinale: le cosi dette giunzioni strette (Fig. 2). Queste svolgono il ruolo di “cerniera” tra le cellule intestinali. Ciò è stato osservato sia in colture cellulari sia negli intestini dei maialini che avevano ingerito mangimi contaminati  31.

Fig. 2. Giunture strette e proteine coinvolte (cortesia di wikimedia Italia)


Il fatto che il DON riduca la funzione di barriera intestinale causa un aumento del passaggio di batteri attraverso l’intestino. Viene alterata la permeabilità intestinale. Ciò ha conseguenze importanti in termini di suscettibilità alle infezioni (Salmonella,  Escherichia, ecc.). Aumenta il passaggio di agenti inquinanti, come metalli pesanti, pesticidi, potenziandone gli effetti dannosi, che possono favorire reazioni immunologiche locali e sistemiche e condizionare la prognosi di malattie come la sensibilità al glutine (Gluten Sensibility) e l’autismo. Il danno indotto può offrire anche valutazioni indirette di grande interesse, in quanto le alterazioni della mucosa modificano, anche se di poco, la funzione biochimica cellulare.

Si assiste ad una carenza di vit. B12 per i motivi su esposti, quindi ad una diminuzione delle desaturasi e  ciò spiegherebbe l’alterazione delle membrane in quanto povere di polinsaturi e ricche di saturi (fosfogliceridi).

A livello intestinale può essere penalizzato l’assorbimento della vitamina B12, che  necessita del Fattore Intrinseco (F.I.) Intestinale (o Gastrico o di Castle). Una carenza di B12 può ostacolare la conversione fisiologica dell’omocisteina in metionina. A cio’, seguirà, secondo una variabile dipendente dalla predisposizione individuale, la comparsa delle spie cliniche. 

Essendo il DON di facile presenza nelle mense scolastiche, asili nido ed elementari, dove arriva specialmente con il pane e più limitatamente con la pasta, l’industria di questi alimenti dovrebbe essere obbligata a lavorare il grano prestando maggiore attenzione alla contaminazione in campo e ad attuare processi fermentativi specifici in grado di abbattere la carica di micotossine.

Emergenza autismo
Dopo il lavoro di Reichelt [30], sono sempre di più gli autori che evidenziano nelle urine dei bambini affetti da autismo la presenza di alti livelli di peptidi “oppioidi” (casomorfina e glutomorfina). Ciò consente di ipotizzare che i bambini autistici durante i processi digestivi, per un’alterata digestione di queste proteine dovuta a meccanismi ancora non chiari, (ma che comunque implicano un coinvolgimento delle giunzioni strette), assorbano peptidi anomali che influenzano il meccanismo della neurotrasmissione (vedi inibizione della normale maturazione neuronale di Reichelt, 1986), in quanto riescono a superare la barriera emato encefalica. 

Tali molecole per la loro affinità con i recettori  possono essere una concausa del comportamento di tali pazienti2. Per questo motivo, spesso, viene loro indicata una dieta priva di tali alimenti. Un periodo di astensione da glutine e caseina, che varia a seconda dei casi, permette di abbassare sensibilmente i livelli dei peptidi oppioidi. I risultati ottenuti sono molto incoraggianti, soprattutto se viene praticata in età non scolastica, ma nei primi anni di vita, quando le potenzialità evolutive e la neuro plasticità sono ancora molto attive. 
Queste considerazioni diventano imperative in tutte le donne gravide con rischio di familiarità. Basti pensare che alcuni studi indicano che ci sono alti livelli di micotossine nel cordone ombelicale, più alti di quelli plasmatici. L’alterazione delle giunzioni strette segue la disbiosi3. È noto che a seguito del ripristino dell’equilibrio, (eubiosi), si riduce la permeabilità intestinale, contestualmente al miglioramento delle condizioni generali dei bambini.

Il lato positivo della dieta naturale senza glutine e caseina è  espresso dal notevole miglioramento ottenuto dai bambini che seguono tale regime alimentare: maggiore attenzione, miglioramento delle capacità interattive, regressione dell’iperattività, delle stereotipie, dei comportamenti violenti, maggiore resistenza alle infezioni e miglioramento della qualità del sonno.

Conclusioni
I risultati delle numerose ricerche incoraggiano ad approfondire gli studi sugli effetti della contaminazione degli alimenti da micotossine, sia nella dieta dell’uomo che in quella degli animali, evitando così di inquinare tutta la catena alimentare. In questo modo si coglierebbe l’obiettivo di ridurre il problema della permeabilità intestinale, punto di partenza di diverse patologie.

Attualmente, uno degli obiettivi dei ricercatori è di comprendere i delicati equilibri immunologici legati probabilmente al consumo di alimenti ricchi di glutine “pesante” e valutare il consumo in relazione alla rapida diffusione delle malattie correlate al glutine. I grani dell’agricoltura industriale, che sono la maggior parte, sono iperconcimati, spesso coltivati in ambienti che favoriscono la contaminazione da funghi con conseguente sviluppo di micotossine. 

Questi grani contengono una quota di glutine superiore del 12% rispetto a quelli non iperconcimati, e rendono difficile la vita non solo ai soggetti border line per la celiachia, ma in tutti i casi caratterizzati da manifestazioni immunologicamente correlate, “sindrome metabolica” compresa. Sembra quindi che la crescente sensibilità alle diverse patologie sia determinata dalla crescente diffusione dei grani moderni, con più glutine, a discapito dei grani antichi, con meno glutine e con i quali l’uomo si è evoluto. Per alcuni si tratta ancora di ipotesi, per altri di certezze. Per questo il compito della ricerca, svolta da gruppi di lavoro multidisciplinari, deve essere di eliminare, per quanto possibile, ogni zona d’ombra. 


(1a) Lo studio è basato su dati della letteratura specializzata, reperibile attraverso Medline e diversi documenti ufficiali divulgati da varie istituzioni pubbliche e private. 

Ringraziamenti

Si ringrazia il Presidente della Fondazione Cav. Dino Leone, Dottor Osvaldo Catucci.

Note
1. La lattasi è l’enzima prodotto nei microvilli intestinali e serve a digerire il lattosio, cioè a scinderlo in glucosio e galattosio. Cosa che avviene nei soggetti detti lattasi persistenti, cioè che anche da adulti tollerano il lattosio perché continuano a produrre la lattasi. In questi soggetti il gene LCT (cromosoma 2) che produce la lattasi non si spegne con lo svezzamento, come avviene in chi è intollerante al lattosio. Poiché la lattasi è prodotta a livello dei microvilli, eventuali problemi ai microvilli, come può essere la celiachia (intolleranza al glutine) possono comportare mancata produzione di lattasi e quindi una falsa intolleranza al lattosio.

2. I  recettori per gli oppioidi sono dei recettori chiamati così in  quanto  sono attivi con  la morfina (derivato dell' oppio). Fisiologicamente le molecole attive su questi recettori sono le encefaline, endorfine, dinorfine. Si conoscono 3 recettori: , k e . Il loro meccanismo è legato alla modificazione dell'elettrofisiologia del potassio e del calcio e più precisamente: Recettori mu e delta aumentano la conduttanza  al potassio mentre i recettori K riducono la conduttanza al calcio. I 3 recettori hanno un'azione di tipo analgesico, ma a diversi livelli. : Genera analgesia (livello sovraspinale), depressione respiratoria, diminuzione attività gastro intestinale, euforia, miosi; K: Genera analgesia (livello spinale), miosi, depressione respiratoria, disforia (a differenza dei recettori ); Delta: non genera analgesia, ma diminuiscono il transito intestinale e deprimono il sistema immunitario.

3. La disbiosi intestinale è causata da cattiva alimentazione ricca di cibi raffinati additivi e inquinanti, farmaci, stress, vita sregolata. I sintomi sono: pancia gonfia, cattiva digestione, colite, diverticolosi, allergie, intolleranze alimentari,  stanchezza cronica e forme gravi di epatite

Bibliografia


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30. Oswald I., Senior Scientist. (2010) “Head of Immunotoxicology DON”. INRA Laboratory of Pharmacology and Toxicology, Paris.

Autori

1) Maurizio PROIETTI, Ricercatore ISDE international society of doctors for the environment, Presidente dell’Associazione Italiana Studio Elementi Tossici. Delegato Nazionale Fondazione Dino Leone.
2) Andrea DEL BUONO, Medico di Medicina Generale, Specialista in Medicina del Lavoro, Delegato Nazionale Fondazione Dino Leone, Caserta.
3) Caterina DI RIENZO Medico chirurgo - Vicepresidente dell’Associazione Italiana Studio Elementi Tossici.
4) Giacomo PAGLIARO Biologo Nutrizionista, Specialista in Scienze dell’Alimentazione, Università di Ancona
5) Armando D’ORTA, Biologo Nutrizionista, Specialista in Scienze dell’Alimentazione, Caserta. Delegato Nazionale Fondazione Dino Leone. 
6) Pietro Perrino, Agronomo Genetista, già Dirigente di Ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Bari.
7) Andrea Di Benedetto, Agronomo, Direttore dell’Associazione Campo di Altamura.
8) R. DEL BUONO - M.G. DEL BUONO, Medicina e Chirurgia, Università Campus Bio-Medico, Roma.

06 novembre 2012

Giusi e la celiachia articolo di Marco Scartezzini

Giusi è una bambina di quattro anni. I suoi occhi di un bel color azzurro, i capelli biondi che arrivano fino alle spalle, è il suo carattere frizzante e vivace che la fa apparire agli sguardi della gente una fanciulla felice e spensierata. Lo sguardo furbo, attento, ma allo stesso tempo curioso, tipico per la sua età, la rende simpatica ad ogni persona che ha modo di conoscerla o che entra in contatto con lei.
Due mesi fa, la scuola materna frequentata da Giusy, organizza una festa dedicata nonni. Vecchi e bambini diventano un tutt’uno nel divertirsi con i giochi dell’asilo. È durante la rappresentazione di un piccolo spettacolo, che ogni bambino cerca di mettere in pratica gli insegnamenti suggeriti dalle maestre, che con certosina pazienza hanno insegnato a tutto il gruppo a cui appartiene anche Giusy.
Il suo nonno è presente allo spettacolo, osserva che la bambina fa molta fatica ad eseguire il compito assegnatole. Anche i movimenti sono molto rigidi, si vede che la nipotina sta gestendo la situazione con molto nervoso.
Da quel giorno in poi, dei sintomi strani appaiono all’occhio attento dei genitori. La piccola diventa di giorno in giorno sempre più irrequieta, mangia pochissimo o niente, è sempre stanca e diviene scorbutica nelle risposte, le sue feci sono diarroiche, dimagrisce di giorno in giorno, mentre il suo ventre è globoso e sproporzionato a quel fisico divenuto così esile. È il caso di fare degli accertamenti. Si interviene con delle analisi del sangue. Gli anticorpi anti gliadina (AGA), antiendomisio (EMA), e antitransglutaminasi (tTG) risultano sballati. Si procede in un secondo tempo ad una biopsia gastrointestinale per conoscere la condizione dei villi. La risposta è perentoria : CELIACHIA !

30 ottobre 2012

Dna e medicina predittiva: nutrigenetica e test genetici (2a parte)




Come già spiegato nel precedente articolo, la nutrigenetica è la nuova frontiera nel campo della prevenzione di stati nutrizionali alterati o patologie che mettono in relazione uomo e alimentazione! In fondo come diceva Feuerbach: “Noi siamo quello che mangiamo”! …ma non solo, io aggiungerei che siamo anche quello che è scritto nel nostro DNA.
Come già ampiamente spiegato nel precedente articolo, i test genetici possono essere utili per verificare la predisposizione individuale ad una data patologia o carenza, nel nostro caso, nutrizionale.
Oltre al test per la predisposizione alla celiachia e per l’intolleranza al lattosio, vengono effettuati anche altri tipi di test genetici, degni di nota in questa rubrica: il test per la predisposizione all’obesità, quello per il metabolismo della vitamina D e per l’acido folico.
Con il test per la predisposizione all’obesità si va ad indagare la risposta individuale ad una dieta dimagrante, questo è stato anche dimostrato da uno studio condotto dalla Standford University (USA). La ricerca è stata condotta su 141 donne in sovrappeso, alle quali è stata assegnata una dieta attinente al proprio profilo genetico. Queste donne seguite per un anno hanno perso il doppio o il triplo del peso iniziale rispetto alle altre che invece avevano seguito un regime alimentare ipocalorico non modellato sul proprio patrimonio genetico. Inoltre, nelle partecipanti, che avevano seguito una dieta “su misura” per il proprio DNA, è stato osservata una riduzione della circonferenza vita due o tre volte maggiore rispetto al gruppo dei controlli. "La diversità nella perdita di peso per gli individui che seguivano una dieta abbinata al loro genotipo rispetto a una che non è stato abbinata", ha spiegato Christopher Gardner, ricercatore che ha coordinato lo studio, "è molto significativa e rappresenta un approccio alla perdita di peso che non è mai stato segnalato in letteratura". Utilizzare le informazioni genetiche per le diete, ha concluso l'esperto, "potrebbe contribuire a risolvere il problema del peso eccessivo nella nostra società".
La vitamina D regola il bilancio di calcio dell'organismo. Il calcio è il minerale predominante a livello osseo. La forma endogena della vitamina D viene sintetizzata dall'organismo per azione della luce solare, nel caso la sintesi risulti insufficiente, la vitamina può essere assunta attraverso alcuni alimenti come latte, uova, formaggio, burro. La funzione della vitamina D è di stimolare l'assorbimento a livello intestinale del calcio e del fosforo , favorendo la mineralizzazione della matrice ossea. Il test per valutare mutazioni nella capacità individuale di assimilare ed utilizzare la vitamina D è molto importante in quanto questa vitamina influenza molti processi del nostro corpo. In caso di mutazione del gene si può incorre in deficit di vitamina D che può essere ripristinato modificando il proprio regime alimentare e bilanciando le carenze indotte dalla propria costituzione genetica.
L’acido folico (vitamina B9) è un micronutriente che non viene sintetizzato dall’organismo ma deve essere assunto con la dieta. Il fabbisogno quotidiano in condizioni normali è di circa 0,2 mg. Negli ultimi decenni, l’acido folico è stato riconosciuto come essenziale nella prevenzione delle malformazioni neonatali, particolarmente di quelle a carico del tubo neurale, che si possono originare nelle prime fasi dello sviluppo embrionale.
Durante la gravidanza il fabbisogno di folati raddoppia perché il feto utilizza le riserve materne. Anche se il suo ruolo non è conosciuto nei dettagli, la vitamina B9 è essenziale per la sintesi del DNA e delle proteine e per la formazione dell’emoglobina, oltre ad essere particolarmente importante per i tessuti che vanno incontro a processi di proliferazione e differenziazione, come, appunto, i tessuti embrionali. L’acido folico, inoltre, contribuisce a prevenire altre situazioni di rischio alla salute. La sua presenza, alle corrette concentrazioni, abbassa i livelli dell’aminoacido omocisteina, associato al rischio di malattie cardiovascolari e infarti. Recentemente è stato inoltre osservato il suo ruolo in patologie psichiatriche come depressione e schizofrenia. Questo test è di fondamentale importanza per le donne in età fertile che, se presentano la variante genetica, devono assumere con particolare attenzione la vitamina nel periodo periconcezionale. Le donne che rientrano in gruppi ad alto rischio (quelle che presentano una certa familiarità con malattie del tubo neurale, o che hanno avuto una precedente gravidanza con un DTN, o che sono affette da diabete mellito, obesità o epilessia) dovrebbero essere monitorate con particolare cura in quanto potrebbero necessitare di quantità maggiori di acido folico.


Celeste Santone Biologa Nutrizionista

Dna e medicina predittiva: nutrigenetica e test genetici (1a parte)


a cura della dott.ssa  Celeste Santone Biologa Nutrizionista






La nutrigenetica è una scienza giovane, con questo termine si mette in relazione il singolo individuo e le sue caratteristiche genetiche nei confronti dell’alimentazione.
In poche parole la nutrigenetica studia le differenze genetiche (polimorfismi) tra individui, o popolazioni, che causano risposte diverse all'assunzione di nutrienti presenti nel cibo.
Così come il nostro viso è unico al mondo, anche il nostro metabolismo, nel senso più ampio del termine, presenta differenze rispetto ad un cinese o, in misura minore, rispetto al vicino di casa. I motivi per cui un piano alimentare ben fatto non va bene per tutti è, in parte, dovuto alle differenze genetiche interindividuali. Alcune di queste differenze possono spiegare la diversa suscettibilità a sviluppare determinate patologie, come diabete di tipo II, obesità, malattie cardiovascolari.


Vi sono alcuni test genetici relativi all’alimentazione scientificamente validati, ad oggi, il più “famoso” è quello relativo alla predisposizione nei confronti della malattia celiaca, si tratta di un test che non fa diagnosi di celiachia, ma può essere d’aiuto, ad esempio, nello studio di familiari affetti, quando non e’ possibile effettuare una biopsia intestinale oppure nei casi in cui i test sierologici sono dubbi (anticorpi anti-transglutaminasi, anticorpi anti-gliadina, anticorpi anti-endomisio).
La celiachia è una intolleranza permanente nei confronti di una proteina: il glutine che si manifesta in soggetti geneticamente predisposti. Questa è riconosciuta come malattia sociale ed è oggetto di un accordo tra stato e regioni che regola la diagnosi e il follow-up dei pazienti celiaci. Il glutine è presente in frumento, farro, kamut, orzo, segale. I sintomi della forma classica sono a carico del tratto gastrointestinale e sono: diarrea cronica, vomito, inappetenza a cui seguono segni da malassorbimento intestinale quali anemia, alterazioni della coagulazione, edemi, deficit di vitamine e oligominerali. Altri segni clinici vanno dalla dermatite erpetiforme, all'infertilità e aborti ricorrenti, alopecia, stomatiti, ecc. L’incidenza di questa intolleranza in Italia è stimata in un soggetto ogni 100 persone.

I celiaci potenzialmente sarebbero quindi 600.000, ma ne sono stati diagnosticati ad oggi poco più di 100.000.
L’unica “cura” nei confronti della celiachia, attualmente, è la dieta: ovvero l’esclusione dal regime alimentare di alcuni degli alimenti più comuni quali: pane, pasta, biscotti e pizza, e le più piccole tracce di glutine. Questo implica un forte impegno di educazione alimentare, in quanto l’assunzione di glutine, anche in piccole quantità, può provocare diverse conseguenze più o meno gravi. La dieta senza glutine, condotta con rigore, è l’unica terapia attualmente che garantisce al celiaco un perfetto stato di salute. Il test genetico nei confronti della celiachia è di secondo livello e viene effettuato nei casi in cui si vuole indagare una predisposizione della celiachia oppure escludere falsi positivi.


Altri tipi di test genetici effettuati di routine sono quello nei confronti dell’intolleranza al lattosio, predisposizione all’obesità, metabolismo della vitamina D e acido folico.
Il lattosio è lo zucchero presente nel latte, questo viene scisso nei suoi componenti, glucosio e galattosio, da un enzima: la lattasi. Nell’intolleranza al lattoso, l’enzima non viene sintetizzato a causa di una modificazione genetica oppure funziona poco anche se, in realtà gli individui “mutati” sono quelli che possiedono il gene per la digestione del lattosio. Per la diagnosi di intolleranza al lattosio viene eseguito anche un altro tipo di test, Breath test (test del respiro), che consiste nella misurazione dell’incapacità a digerire il lattosio. Questo test ha una sensibilità ed una specificità del 95%, generalmente viene eseguito al mattino, dopo un digiuno di almeno 8 ore, il paziente deve soffiare in un palloncino e subito dopo deve bere 20 g. di lattosio sciolti in un bicchiere d'acqua, da questo momento, ogni 30 minuti il paziente deve soffiare nel palloncino per altre 6 volte: il test dura in tutto 3 ore. Il test genetico al lattosio può aiutarci a prevenire i sintomi dell’intolleranza al lattosio.


Celeste Santone Biologa Nutrizionista

Artrite Reumatoide, un nesso con la Microflora Intestinale


Negli ultimi anni il crescente interesse per la microflora intestinale ha confermato il ruolo della dieta e dell’integrazione, e ha messo in evidenza gli effetti positivi e negativi prodotti rispettivamente da una condizione eubiotica o disbiotica (disbiosi intestinale).


Recenti studi hanno suggerito importanti relazioni tra l’equilibrio della flora intestinale e alcunemalattie del sistema immunitario. Potrebbero, infatti, essere proprio i batteri intestinali a regolare malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide. Lo sostiene una ricerca dell’Università dell’Illinois e della Mayo Clinic di Rochester (Minnesota) secondo la quale i batteri intestinali sono fondamentali per la regolazione del sistema immunitario. Il lavoro, pubblicato su PloS One, e rilanciato da malattierare.it, è stato realizzato con l’utilizzo di alcune sofisticate tecnologie di sequenziamento genomico, che hanno dimostrato come la microflora intestinale può essere un biomarcatore per la predisposizione all’artrite reumatoide.


L’artrite reumatoide, le cui cause non sono ancora note, colpisce quasi l’1% della popolazione mondiale. Si tratta di una patologia cronica in cui il sistema immunitario attacca i tessuti, infiamma le articolazioni, e talvolta determina complicazioni cardiache che possono anche portare al decesso. I ricercatori della Mayo Clinic di Rochester hanno raggiunto importanti progressi nella conoscenza del rapporto tra sistema immunitario e batteri intestinali, e dell’influenza che questi fattori possono avere nelle persone con predisposizioni genetiche alla malattia. Lo studio è stato effettuato su alcuni topi con gene umano HLA-DRB1 0401, forte indicatore della predisposizione all’artrite reumatoide. Grazie a un gruppo di controllo con una diversa variante del gene, gli scienziati hanno confrontato le risposte immunitarie di due gruppi a batteri diversi, valutandone l’effetto sull’artrite reumatoide. Hanno scoperto, inoltre, che i topi di sesso femminile hanno il triplo della probabilità di sviluppare la malattia.” Il prossimo passo per noi – hanno dichiarato i ricercatori – è quello di mostrare se i bug presenti nell’intestino possono essere manipolati per cambiare il corso della malattia”.


Utile un controllo della flora intestinale con DISBIOSI test su urine che rivela la concentrazione d’indolo e scatolo intestinale, frutto di un rapporto alterato tra batteri “buoni” e “cattivi”, e un controllo delle feci, la valutazione dei ceppi batterici presenti nell’intestino. Lo studio della flora batterica intestinale attraverso le feci identifica anche la predisposizione a malattie infiammatorie intestinali che possono essere causa di malattie auto immuni sistemiche.


Un’arma terapeutica per la modulazione della flora batterica intestinale è l’idrocolon terapia, che facilità la rimozione dei batteri patogeni, funghi presenti nel lume intestinale, e facilità la riflorazione dei batteri protettivi, attraverso l’introduzione di fermenti specifici e personalizzati.


A cura del Prof. Giuseppe Di Fede, Medico Chirurgo, Specialista in Nutrizione e Dietetica Clinica, Docente c/o il “Master di Nutrizione Umana” dell’Università di Pavia, Direttore Sanitario dell’Istituto di Medicina Genetica e Preventiva di Milano.

CALENDARIO DEI CORSI DELL'ASSOCIAZIONE FARIDEA


01 ottobre 2012

La Zeolite Clinoptilolite Attivata ZE.CL.A® è la sola sostanza in grado di ridurre simultaneamente nell’organismo l’eccesso di TRAM®


La Zeolite Clinoptilolite Attivata ZE.CL.A® è la sola sostanza in grado di ridurre simultaneamente nell’organismo l’eccesso di TRAM® e....

e la loro sinergica tossicità: Tossine (esogene ed endogene), Radicali liberi, Ammonio, Metalli pesanti.

La ZC così attivata (ZCA) è stata sottoposta a una serie di sperimentazioni biologiche che hanno portato alla registrazione da parte della Società austriaca PANACEO di diverse preparazioni che la contengono come Dispositivi Medici a Livello Europeo (DM - TUV CE 0197 del 2006) date la sue caratteristiche azioni di tipo fisico di scambiatore di cationi, di blocco dei radicali liberi e di setaccio molecolare. Inoltre i prodotti composti di zeolite clinoptilolite attivata (ZCA) sono state classificate dalla EU (codice GMDN) come: "sostanze ad uso orale adatte ad assorbire/chelare e rimuovere sostanze dannose e tossiche nel tratto gastrointestinale (es. metalli pesanti, nitrosamine, ammonio, micotossine, cationi (radioattivi), pesticidi) riducendone l'assorbimento nel corpo.

Una nuova strada è stata aperta da studi sull'uso di sostanze polifunzionali di origine minerale costituite da particelle attive, ma non assorbibili, di zeolite clinoptililoite in grado di interagire nell'intestino con gli equilibri presenti nell'organismo, svolgendo così un'azione selettiva di eliminazione delle sostanze tossiche ("spazzino") attraverso le feci, senza modificare i componenti fisiologici.

Lo stress ossidativo può essere responsabile dell'insorgenza o dell'aggravamento di molte malattie come diabete, malattie cardiovascolari, tumori ed invecchiamento precoce. In Austria, il professor Wolfgang Toma dell'Ospedale di Villach, utilizza la zeolite in oncologia allo scopo di ridurre gli effetti collaterali della chemioterapia tradizionale.

La zeolite, dopo essere stata sottoposta ad un trattamento brevettato che la rende più attiva, viene ingerita sotto forma di capsule e svolge la sua funzione all'interno dell'intestino senza essere assorbita: trattiene le tossine, i metalli pesanti e assorbe i radicali liberi per venire eliminata con le feci. Il meccanismo che interviene è esclusivamente di tipo fisico: è come se la zeolite intrappolasse al suo interno queste sostanze tossiche attirandole come una calamita impedendone l'assorbimento intestinale trattenendole appiccicate su di sè.
Questo vale anche per le sostanze tossiche che si trovano già all'interno del corpo che vengono richiamate dentro il lume intestinale con lo stesso meccanismo, con il risultato di una efficace disintossicazione sistemica.

26 settembre 2012

DIABETE: calano i decessi se aumenta l'attività fisica


Da una riduzione del 10% dell'inattività fisica della popolazione mondiale si potrebbero verificare ogni anno oltre 533.000 decessi in meno e se si raggiungesse una diminuzione del 25% la cifra salirebbe a 1,3 milioni. È questo uno dei risultati emersi dallo studio "Effect of physical inactivity on major non-communicable diseases worldwide: an analysis of burden of disease and life expectancy" pubblicato dal Lancet a metà luglio. Obiettivo dell'indagine è stato di quantificare gli effetti della sedentarietà sull'aspettativa di vita e sul rischio di sviluppare patologie non trasmissibili - quali diabete di tipo 2, disturbi cardiovascolari, tumori al seno e al colon - attraverso una stima della riduzione dell'incidenza di tali problematiche nell'ipotesi di una corretta attività fisica da parte dei cittadini. A emergere è che stili di vita più pigri sono alla base del 10% dei casi di tumori al colon (con una variabilità regionale che va dal 5,7% del Sudest asiatico al 13,8% dell'area mediterranea) e al seno (con un range tra il 5,6% e il 14,1%), del 7% del diabete di tipo 2 (3,9-9,6%) e del 6% delle malattie cardiovascolari (3,2-7,8%). L'inattività fisica è additata poi come la responsabile del 9% della mortalità prematura (range 5,1-12,5%) e, in generale, di oltre 5,3 milioni di decessi dei 57 milioni totali che si sono registrati a livello mondiale nel 2008. In sostanza, con l'eliminazione dell'inattività fisica, l'aspettativa di vita della popolazione mondiale potrebbe aumentare, complessivamente, di 0,68 anni (ma il valore potrebbe essere maggiore se riferito alla sola fetta di popolazione che allo stato attuale risulta sedentaria). Un parametro, questo, che pone l'impatto dell'inattività fisica come fattore di rischio al pari di fumo e obesità.

17 settembre 2012

La sindrome dell’ovaio policistico: un problema di molte donne


Post di Laura Pentassuglia, ricercatrice in cardioncologia
al Departement Biomedizin, CardioBiology, Physiology Institute dell’università di Basilea
La sindrome dell’ovaio policisticoè problema che riguarda circa il 10% della popolazione femminile delle zone industrializzate, ed è un problema che mi riguarda da vicino. La diagnosi fu fatta quasi 20 anni fa, ma è stato solo di recente che mi sono resa conto del suo reale significato e di che cosa implica. La prima cosa che mi ha sorpreso quando ho iniziato a cercare informazioni su questa sindrome è stato apprendere che l’ovaio policistico ha radici comuni con ildiabete, e per questo motivo viene, di fatto, considerata una disfunzione ormonale. La seconda cosa è che viene considerata una problematica prettamente femminile. In realtà colpisce anche gli uomini, anche se in questo caso la diagnosi diventa più difficile e i sintomi si presentano in maniera diversa rispetto alle donne. Ma andiamo per gradi. Innanzitutto che cosa è la sindrome dell’ovaio policistico?
Nella maggioranza dei casi questa malattia è causata dal fatto che il nostro corpo non risponde normalmente all’insulina, condizione che è comunemente chiamata resistenza. La funzione principale dell’insulina è di regolare il metabolismo energetico, ovvero come il nostro corpo utilizza zuccheri e grassi. L’insulina favorisce l’utilizzo e l’accumulo degli zuccheri e allo stesso tempo inibisce l’utilizzo dei grassi come fonte di energia. Ma questo non è tutto, l’insulina ha anche un ruolo chiave nel regolare la crescita post-parto, è essenziale per il funzionamento ottimale di ormoni e proteine, e nelle ovaie stimola la proliferazione cellulare. La resistenza all’insulina può insorgere per diversi motivi, ma il risultato finale è lo stesso: un aumento nella produzione dell’insulina stessa.
Quest’aumento va a influenzare diversi organi fra cui anche le ovaie. In che maniera questo eccesso d’insulina è legato all’ovaio policistico? L’insulina è in grado di stimolare la produzione sia del testosterone sia degli estrogeni, e più alta è l’insulina, maggiore sarà la quantità di ormoni sessuali prodotti. In condizioni normali il testosterone è convertito in estrogeno, e solo una minima parte è presente nel flusso sanguigno. Nell’ovaio policistico la produzione di testosterone è talmente alta che una buona parte non subisce questo processo portando a concentrazioni tipicamente maschili anche nella donna. Da questo momento in poi diventa un circolo vizioso, dato che l’aumento del testosterone stimola la ghiandola pituitaria alla produzione di un altro ormone luteinizzante, che a sua volta stimola la produzione ormonale nelle ovaie. Come se non bastasse, l’insulina non solo porta direttamente ed indirettamente ad un aumento della quantità del testosterone circolante, ma anche nella sua disponibilità. Molte proteine che circolano nel sangue vengono “sequestrate” e quindi rese inattive fino al loro utilizzo. L’aumento d’insulina riduce in maniera significativa anche questo processo.
Quali sono quindi i sintomi dell’ovaio policistico? I sintomi sono diversi e non è necessario che si presentino nello stesso momento. Quelli più evidenti sono la mancanza di un ciclo regolare e sterilitàirsutismo, in altre parole una distribuzione della peluria simile a quella maschile e sovrappeso. In quest’ultimo caso è importante notare qual è la distribuzione del grasso, infatti, nella sindrome dell’ovaio policistico, il grasso tende ad accumularsi nella zona addominale, in maniera del tutto simile agli uomini. Altri sintomi possono essere la presenza diacne, il sentirsi spesso stanchi senza nessun apparente motivo, bassa concentrazione degli zuccheri dopo i pasti caratterizzata da improvvisa sonnolenza e/o vertigini. In casi di severa resistenza all’insulina si possono anche presentare delle macchie nell’incavo delle braccia. Bisogna anche ricordare che questa sindrome é spesso ereditaria, in particolare in quelle famiglie con casi di diabete di tipo 2. In ogni caso, è sempre consigliabile far riferimento a un ginecologo ed endocrinologo per una diagnosi accurata tramite un’ecografia ed analisi del sangue.
Come si affronta questa sindrome? Il primo e più importante passo da fare è di consultare il proprio medico. Ogni donna, ogni paziente, ha le proprie esigenze e motivi diversi per porre fine al circolo vizioso innescato da questa sindrome. Nel mio caso specifico ho voluto fare un lavoro preventivo, poiché a lungo termine chi ha l’ovaio policistico ha una maggiore possibilità di sviluppare malattie cardiocircolatorie. Nel mio caso l’approccio è diverso rispetto a una donna che vuole avere un figlio. In ogni caso un primo importante passo è di cambiare il proprio stile di vita: una dieta sana, equilibrata, a basso indice glicemico, accostata ad attività fisica saranno sempre il primo importante rimedio a questa e molte altre patologie.