16 maggio 2013

Meccanismi epigenetici alla base dell’autismo



Ricercatori del King's College di Londra hanno identificato meccanismi epigenetici coinvolti nei disturbi dello spettro autistico studiando gemelli identici che differivano per diagnosi di autismo.
Lo studio, pubblicato su Molecular Psychiatry, sottolinea l'influenza che l'ambiente esercita sull'attività di alcuni geni e che contribuisce allo sviluppo di disturbi dello spettro autistico. Gli studi sui gemelli indicano che esiste una forte componente genetica che predispone ad autismo.
Nel 70% dei casi, quando un gemello omozigote è autistico lo è anche l'altro gemello.Tuttavia nel 30% dei casi un solo gemello è autistico. Poiché i gemelli omozigoti presentano lo stesso codice genetico, questa evidenza suggerisce che siano coinvolti fattori non genetici o epigenetici  nell'espressione di questa patologia.

Le variazioni epigenetiche influenzano l'espressione o l'attività dei geni senza alterare la sequenza del DNA. In particolare in questo studio i ricercatori hanno valutato la metilazione del DNA, un evento che ha effetto di controllo sulle sequenze geniche che guidano l'espressione del gene e di conseguenza silenzia l'attività del gene. In questo studio è stata esaminata la metilazione di oltre 27000 siti nel genoma ottenuto da campioni prelevati in 50 coppie di gemelli identici (100 soggetti) presso  lo UK Medical Research Council (MRC). I risultati hanno evidenziato che:
  • - 34 paia di gemelli differivano per diagnosi di disturbi dello spettro autistico
  • - in 5 paia di gemelli entrambi i soggetti presentavano disturbi dello spettro autistico
  • - 11 paia di gemelli erano sani






E' stata identificato un pattern di metilazione del DNA associato in modo specifico alla diagnosi di autismo e all'aumento della gravità dei sintomi. In particolare il numero dei siti metilati nel genoma è risultato predittivo della gravità della patologia.

Wong et al.  'Methylomic analysis of monozygotic twins discordant for autism spectrum disorder and related behavioural traitsMolecular Psychiatry, 2013; DOI:10.1038/mp.2013.41

13 maggio 2013

L’ ORGANO ADIPOSO: LA CENTRALINA DEL NOSTRO BENESSERE


http://www.nutrifun.it/2012/11/14/l-organo-adiposo-la-centralina-del-nostro-benessere/

Se vogliamo vedere la faccenda dal punto di vista del “bicchiere mezzo pieno”, potremmo dire che l’ aumento epidemico dell’ obesità e della sindrome metabolica (alti livelli di colesterolo, trigliceridi, iperglicemia ed ipertensione) degli ultimi anni, ha stimolato i ricercatori ad approfondire l’ analisi del tessuto ritenuto responsabile di un incremento eccessivo con conseguenti importanti scoperte. Grazie, in particolare, al lavoro del gruppo di ricerca diretto dal Dott. Saverio Cinti dell’ Università Politecnica delle Marche si è giunti alla conclusione, accettata dal mondo accademico, che il tessuto adiposo è in realtà un organo. Il punto di partenza, che ha portato alla formulazione di questo nuovo assioma, è rappresentato dalla presenza nell’ adipocita della leptina (dal greco leptos, cioè snello,magro) ovvero di quell’ ormone legato alla regolazione dell’ appetito noto anche come “ormone della sazietà”.
Da qui, è iniziata l’ “era endocrina dell’ adipocita”.
Per comprendere meglio, bisogna risalire alla struttura anatomo-fisiologica di questo organo. Anzitutto, la parola organo sta ad indicare la presenza di due o più tessuti che cooperano per un fine funzionale comune; in questo caso parliamo di tessuto adiposo bianco e bruno. Nel nostro organismo, una particolare struttura ha una determinata forma e disposizione spaziale proprio perché, da queste caratteristiche, derivano gli obiettivi che un preciso organo deve assolvere per mantenere l’ omeostasi generale. Le cellule uniloculari e sferiche dell’ adipocita bianco e quelle poliedriche dell’ adipocita bruno, portano rispettivamente all’ adempimento di due funzioni: la creazione di un intervallo di tempo tra un pasto e l’ altro (se l’intervallo si prolunga per settimane queste cellule rappresentano l’unico mezzo di sopravvivenza) e la produzione di calore per il mantenimento di una temperatura corporea stabile (non legato ad attività muscolare) a partire dagli acidi grassi.
Andando più a fondo possiamo ben capire che la morfologia e dunque le funzioni dei due tessuti sono antitetiche: l’ adiposo bianco accumula mentre il bruno dissipa. In realtà, in questo vi è un reciproco completamento in quanto il nostro corpo abbisogna di uno step di accumulo di energia per consentire poi una utilizzazione di questa per la normale sopravvivenza. La compensazione dei due tessuti è inoltre visibile nella disposizione intersecata che assumono all’ interno dell’ organo adiposo stesso.
Ma la genetica c’entra qualcosa in questo discorso? Evolutivamente parlando, possiamo dire che in un periodo storico in cui la scarsità di cibo era la norma si sono selezionati i geni che avevano la capacità di sviluppare velocemente il tessuto adiposo bianco. Oggi, che questo problema è stato (almeno nelle civiltà occidentali) abbondantemente risolto -tanto da verificarsi il caso contrario-la presenza di questi geni ha probabilmente portato all’ obesità.
Facendo una correlazione organo adiposo-obesità si può concludere che due condizioni in particolare portano ad uno stato patologico di sovrappeso: un aumento nel numero di adipociti (iperplasia) o un aumento del volume degli adipociti (ipertrofia); la prima si verifica maggiormente in età evolutiva mentre la seconda in età adulta. La negatività di queste condizioni sono determinate dal fatto che, essendo un organo, l’adipe rilascia sostanze infiammatorie -le adipochine- ma anche molecole importanti per il normale funzionamento immunitario, coagulativo e idro-elettrolitico. Problemi di disfunzione di questo organo, quindi, risulterebbero in alterazioni di tipo metabolico importanti.
Le sedi sottocutanee e viscerali, in cui l’adipe si va ad annidare, sono importanti per comprendere la sua essenzialità fisiologica. L’adipe sottocutaneo, che si estende per tutta la superficie del corpo, lo si può definire sesso-specifico in quanto nella donna è particolarmente sviluppato in regione gluteo-femorale e mammaria mentre nel maschio nella zona addominale. L’ adipe viscerale, invece, si distribuisce tra i vari organi della cavità addominale ed un suo eccesso è correlato ad un aumentato rischio di patologie cardiovascolari e diabetiche. La circonferenza vita è allora un dato importante in quanto rivelatore di tale eccedenza.
Scoperta alquanto affascinante è quella rappresentata dal concetto di “transdifferenziazione fisiologica reversibile” tra i due tipi di cellule adipose. Questo vuol dire che vi è la possibilità di trasformare una cellula adiposa bianca in bruna e viceversa a seconda delle necessità energetiche dell’ organismo quindi, tutti i geni presenti nel white adipose tissue sono presenti nel brown tranne quello dell’ UCP1 (proteina disaccoppiante 1 che permette il controllo della temperatura corporea non di tipo muscolare) e forse della leptina.
In ultimo, possiamo dire che l’organo adiposo presenta un caratteristica dielasticità dovuta alla presenza di un recettore adrenergico-beta3- che permette di mantenere due necessità fondamentali: la termogenesi ed ilmetabolismo; quando il nostro corpo necessita in maniera prioritaria della prima perché troppo esposto al freddo, l’organo diventa “più bruno” utilizzando i lipidi per produrre calore, mentre quando necessita un maggiore accumulo di lipidi , l’organo diventa “più bianco”.
Questa transdifferenziazione è ben visibile nella ghiandola mammaria(ricca in tessuto adiposo) che nel tempo subisce differenti modificazioni metaboliche: nella condizione pre-gravidica la mammella è costituita per il 90% da adipociti mentre durante la gravidanza, questi vengono totalmente persi per dare posto alla componente ghiandolare secernente latte. Questa condizione permane anche nella fase di allattamento e si modifica soltanto 10 giorni dopo la fine di questo, periodo in cui gli adipociti si riformano tornando alla condizione pre-gravidica. Codesto fenomeno è stato denominato “occultamento adipocitico” .
Per concludere, nei primi mesi del 2012 il Dott. Cinti ha esposto nel giornale Nature una nuova scoperta coinvolgente l’ ormone irisina; questo verrebbe rilasciato in circolo a seguito di una intensa attività fisica e avrebbe una funzione di trasformazione delle cellule adipose.
Insomma, grandi passi avanti nella comprensione del più affascinante dei mondi: il nostro corpo e, si spera, importanti conseguenti applicazioni in campo medico per un miglioramento del benessere sociale.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E SITOGRAFICI:
- La Transdifferenziazione nell’Organo Adiposo di Saverio Cinti, Review Società italiana obesità, 2008
- Il tessuto adiposo come organo multifunzionale di Gabriele Bittolo Bon,U.O. di Medicina Interna, Dipartimento di Medicina Clinica, Ospedale Umberto I, Mestre-Venezia,2008
- L’ organo adiposo di Saverio Cinti, Istituto di Morfologia Umana Normale, Università di Ancona
- “INFIAMMAZIONE DELL’ORGANO ADIPOSO IN MODELLI SPERIMENTALI DI OBESITA’” Tesi di dottorato di J. Perugini in Obesità e patologie correlate, Università politecnica delle Marche
- www.ilsole24ore.it

CARATTERISTICHE GENOTIPICHE NELL’ATLETA


http://www.nutrifun.it/2013/05/06/caratteristiche-genotipiche-nellatleta/

L’esercizio fisico è un complesso insieme di fattori che comporta l’integrazione di sistemi anatomici e fisiologici. Negli ultimi anni  la ricerca ha cercato di descrivere quali sono le caratteristiche antropometriche e funzionali negli atleti che raggiungono alti livelli nelle gare agonistiche, indagando anche sulle basi genetiche e molecolari dell’adattamento all’esercizio e sui differenti indicatori nelle varie discipline sportive.
genedoping cartoon
La prima documentazione attestante differenze genetiche in atleti d’elite risale ai Giochi Olimpici del Messico nel 1968 in cui vennero individuati comuni marcatori per verificare se vi fossero differenze nell’allele o nella frequenza genotipica (De Garay et al, 1974). Le indagini proseguirono con studi su geni di alcune proteine del muscolo scheletrico  in relazione ad indicatori di endurance cardio-respiratoria (Bouchard et al, 1988). Queste differenze vennero poi studiate a livello della molecola del DNA, grazie alle nuove tecniche di biologia molecolare: nel Marzo del 2000 un gruppo di scienziati riuscì a pubblicare la prima mappa genetica umana correlata alla performance, attraverso una revisione sistematica dei dati ricavati dalle maggiori pubblicazioni scientifiche e con successivi periodici update (The Humane Gene Map for Performance and Health-Related Fitness Phenotypes, Rankinen et al., 2001).
Con l’avanzare della ricerca, sono state individuate oltre 200 varianti genetiche associate all’eccellenza atletica. Tra i marcatori maggiormente correlati a manifestazioni fenotipiche del sistema muscolare rientrano il gene ACE ed il gene ACTN3.
gene sports enhancementIl gene ACE ha un ruolo importante nella regolazione della pressione arteriosa attraverso il sistema renina-angiotensina: converte l’angiotensina I in angiotensina II che a sua volta è implicata nella crescita dei tessuti e nell’ipertrofia cardiaca in risposta al caricamento meccanico. Sono stati identificati numerosi loci polimorfici all’interno di questo gene e quello più studiato è l’inserzione Alu nell’introne 16: la presenza di un frammento di 287 bp (allele I-insertion o “variante dello scalatore“) è associato a minori livelli di ACE nei tessuti e favorirebbe performance di endurance.
Il gene ACTN3 codifica per l’actinina-3, una proteina presente nelle fibre di tipo 2 (veloci) e viene quindi definito “The gene of speed”. Le actinine hanno la funzione di mantenere la stabilità e l’integrità della membrana cellulare durante la contrazione muscolare, permettendo inoltre il trasferimento della forza dalla struttura sarcomerica alla matrice extra-cellulare. Quindi la presenza dell’actinina-3 (polimorfismo 577R, presente nel 50% della popolazione euroasiatica e nell’85% di quella africana) aumenterebbe la performance di attività collegate allo sprint; al contrario la sua assenza (577XX)  favorisce gli sport di endurance.
ACTN3
Un’altra mutazione che influisce sulle prestazioni sportive è la mutazione dell’EPOr, il recettore per la produzione endogena dell’ eritropoietina: ne risulta una migliore capacità di trasportare ossigeno ai tessuti, soprattutto in chi pratica sport di resistenza.  Questa mutazione determina infatti policitemia con conseguente aumento nella capacità di trasporto dell’ossigeno del 25-50% ; è stata riscontrata ad esempio nello sciatore finlandese Eero Mäntyranta, vincitore negli anni ’60 di 7 medaglie olimpiche e di 5 titoli mondiali.
Altri geni candidati sono quelli che controllano la produzione di IGF-1 e di miostatina. L‘IGF-1 (Insulin-like Growth Factor-1) è un ormone coinvolto nella crescita e nella riparazione dei muscoli; l’introduzione dell’IGF-1 produce ipertrofia muscolare con aumento della forza di circa il 15% e un incremento della capacità di riparazione muscolare.  La miostatina (GDF-8, growth differentiation factor 8) è una proteina che  controlla lo sviluppo muscolare inibendo la proliferazione delle cellule satelliti nelle fibre muscolari. Il suo ruolo fisiologico non è ancora del tutto chiaro, anche se l’utilizzo diinibitori della miostatina (quali per esempio la follistatina) oppure mutazioni del gene MSTN , provocano un aumento della massa muscolare e possono migliorare la condizione rigenerativa in pazienti che soffrono di malattie gravi come nella distrofia muscolare di Duchenne. Nel 2005 uno studio della Johns Hopkins University ha messo in evidenza che topi privati del gene della miostatina (topi knock out) sviluppano una muscolatura ipertrofica.
Il PPAR-delta (Peroxisome Proliferator Activated Receptor) è un fattore di trascrizione coinvolto in alcune modificazioni del metabolismo energetico; risulta inoltre essere correlato alla formazione di fibre lente (tipo I) e quindi a un miglioramento significativo della resistenza. VEGF (fattore di crescita dell’endotelio vascolare) può essere utilizzato per promuovere la crescita di nuovi vasi sanguigni consentendo un maggiore apporto di ossigeno ai tessuti. Finora sono stati fatti esperimenti di terapia genica in patologie come l’ischemia cardiaca oppure in caso di insufficienza arteriosa periferica  ma non si esclude che la manipolazione genica possa essere applicata anche per cercare di migliorare la performance sportiva.
A partire dal 1 gennaio del 2003 il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) ha incluso il Doping Genetico nella lista delle classi di sostanze e metodi proibiti.
play true
Secondo la definizione della World Anti-Doping Agency(WADA) il doping genetico è “ l’uso non terapeutico di cellule, geni ed elementi genetici o della modulazione dell’espressione di geni aventi la capacità di migliorare le performance atletiche”.
L’importanza di comprendere come la specie umana sia capace di sfidare e superare quei limiti che conducono un atleta sul gradino più alto del podio, portano oggi ricercatori e studiosi ad unire le proprie forze. Questi approcci vengono valutati su modelli animali ma sono in atto ricerche antidoping preventive perché ci sono molte incertezze in merito agli effetti a lungo termine. A Trieste presso la sede italiana dell’International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology, c’è un gruppo di ricercatori incaricato dalla WADA per far luce sul fenomeno, individuando anche le possibili tecniche per controllare gli atleti.
Il miglior personal trainer è quindi il nostro Dna? Sebbene sia stato evidenziato che esiste un ampio numero di associazioni tra geni e performance fisico-sportiva attualmente la determinazione delle caratteristiche genetiche sembra non apportare contributi nella programmazione di allenamenti per il raggiungimento di risultati di eccellenza e ci sono ancora troppi punti critici da tenere in considerazione.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:
  • Rankinen T. et al. (2001) The human gene map for performance and health-related fitness phenotypes. Med Sci Sports Exerc. 33(6):855-67
  • Bouchard, C., R. Malina, and L. Pérusse (1997). Genetics of Fitness and Physical Performance. Champaign: Human Kinetics, pp. 400
  • Gayagay G, Yu B, Hambly B, Boston T, Hahn A, et al. (1998). Elite endurance athletes and the ACE I allele – the role of genes in athletic performance. Human Genetics 103, 48-50
  • Se-Jin Lee et al. (2004) Myostatin mutation associated with gross muscle hypertrophy in a child.N Engl J Med 350 (26): 2682–8
  • Gaffney GR, Parisotto R (2007). Gene doping: a review of performance-enhancing genetics.Pediatr Clin North Am. Aug;54(4):807-22
  • World Anti-Doping Agency. The 2013 prohibited list: international standard. http://www.wada-ama.org/
  • MacArthur and North (2004) A gene for speed? The evolution and function ofalpha-actinin-3.BioEssays 26:786-795
  • Yang et al. (2003) ACTN3 Genotype Is Associated with Human Elite Athletic Performance. American Journal of Human Genetics 73:627-631

12 maggio 2013

I fito-neuro-precursori




Nel regno vegetale esistono alcuni metaboliti secondari precursori dei neurotrasmettitori. Ad esempio nei semi della Griffonia simplicifolia (fam. Fabaceae) si concentra il 5-HPT, diretto precursore della serotonina. Diversi trial clinici hanno confermato gli effetti benefici del 5-HPT contro alcune patologie causate da deficit di serotonina (depressione, fibromialgia) (1,2). Effetti sulla depressione sono stati osservati già con 200 mg/die di 5-HTP, corrispondenti a circa 1 g di estratto di Griffonia tit. al 20%. In tale studio viene usato anche un inibitore periferico della carbossilasi che bloccando la degradazione periferica di 5-HTP, ne favorisce un maggi ore accumulo a livello del SNC (3). Ad oggi non esistono ancora studi in cui si sono messi a confronto gli estratti titolati di Griffonia con un pari quantitativo di 5-HTP per valutare l'influenza del fitocomplesso sulla farmacocinetica del p.a.. Un simile esperimento è stato invece realizzato per un altra fabacea di origine indiana, la Mucuna pruriens, avente i semi naturalmente ricchi di L-DOPA (LD), il precursore endogeno della dopamina. Non è l'unica fabacea ad essere un importante fonte di LD. Anche le comuni fave (Vicia Fava) lo sono, se pur in modo più modesto. Lo studio in questione è stato randomizzato su 8 pazienti affetti da Morbo di Parkinson's ai quali è stato proposto un doppio cieco in crossover; da una parte LD (200 mg) in presenza di carbidopa (CD) (50 mg), dall'altra15g o 30g rispettivamente di polvere di semi di Mucuna pruriens.. Rispetto a LD / CD i 30 g di Mucuna hanno portato ad un insorgenza notevol mente più veloce dell'effetto antidiscinesiaco(34,6 contro 68,5 min, p = 0,021), ed un miglioramento di tutti i parametri farmacocinetici. (4)
  1. Shaw K, Turner J, Del Mar C. Tryptophan and 5-hydroxytryptophan for depression. Cochrane Database Syst Rev 2002;:CD003198.
  2. Caruso I, Sarzi Puttini P, Cazzola M, Azzolini V. Double-blind study of 5-hydroxytryptophan versus placebo in the treatment of primary fibromyalgia syndrome.J Int Med Res 1990;18:201-9.
  3. Young SN. Are SAMe and 5-HTP safe and effective treatments for depression? J Psychiatry Neurosci. 2003 ;28(6):471.
  4. R Katzenschlager, A Evans, A Manson, P N Patsalos, N Ratnaraj, H Watt, L Timmermann, R Van der Giessen, A J Lees. Mucuna pruriens in Parkinson's disease: a double blind clinical and pharmacological study. J Neurol Neurosurg Psychiatry 2004;75:1672-1677

Angelo Siviero
Farmacista, esperto in fitoterapia clinica
Aosta